Un ricco guardaroba di alte uniformi, mimetiche benissimo stirate, completi militari di sartoria, sono la notevole testimonianza visiva della forza dell’esercito del maresciallo Haftar; anche il portavoce ufficiale indossa una uniforme da generale. Non solo: dispone persino di un ammiraglio e di un ammiragliato, in smaglianti uniformi blu.
Tutto quel che occorre per mostrare che Haftar dispone di una vera forza armata.
Ma ce l’ha? “La LNA (Lybian National Army) è un mix di giovani soldati addestrati professionalmente, resti dell’armata di Gheddafi e milizie locali e tribali, e le brigate dei salafiti Madkhali, che vogliono instaurare la purissima sharia”: così Heba Saleh, la corrispondente dal Cairo del Financial Times.
https://www.ft.com/content/f4ce781c-384c-11ea-a6d3-9a26f8c3cba4?list=intlhomepage
S’intende che le forze di Al Sarrraj, capo del governo “internazionalmente riconosciuto” o GNA, sono più o meno altrettanto formidabili. “La sicurezza del GNA a Tripoli è composta di una combinazione di milizie, brigate islamiste e i guerriglieri di Misurata, che auto-governano la città”.
Tale composizione è condivisa da JALEL HARCHAOUI, analista franco-algerino che lavora per l’Istituto Olandese di Relazioni Internazionali.
https://www.clingendael.org/person/jalel-harchaoui
Anzi, il dottor Harchaoui ha raccontato a Le Monde:
“Quando Haftar ha cominciato la sua campagna nel maggio del 2014, il regime algerino l’ha vista di buon occhio, essendo il noto nemico della movenza islamista (che ha “eradicato” in Algeria) e non gli piace affatto che Tripoli sia in mano alle milizie salafite. Quando Haftar – a quel tempo sostenuto dall’Egitto e Arabia Saudita – ha lanciato una campagna militare relativamente organizzata contro gli islamisti di Benghasi, ha suscitano una certa simpatia. Algeri ha cominciato a guardare il maresciallo con occhi diversi quando, a fine agosto 2014, dei caccia degli Emirati hanno bombardato l’aeroporto di Tripoli. Era assolutamente intollerabile per la presidenza Bouteflika di allora. Hanno cominciato ad aver paura di Haftar. “Bombardare una città libica a meno di 200 chilometri dalla frontiera tunisina saboterà tutti i nostri sforzi che abbiamo realizzato per scongiurare la destabilizzazione della Tunisia”.
Negli ambienti che contano, ci si è cominciati a chiedere: “Se Haftar dice di avere un vero esercito, perché non riesce ad avanzare? Dove sono i suoi disciplinati battaglioni? Perché ha bisogno di reclutare tanti mercenari? Perché produce tanti civili profughi?”.
https://mobile.twitter.com/LNA2019M/status/1218599656264994821
Insomma, ebbene sì: “Haftar non dispone dell’armata regolare e forte di cui proietta l’immagine. E’ per questo che deve dispiegare una forte aggressività, a causare molte distruzioni, magari senza raggiungere i suoi obiettivi”.
Il ricercatore ha evidentemente buone entrature nei servizi e nel Pouvoir algerino: questa specie di senile comitato centrale a partito unico (FNL, quello della “liberazione” dalla Francia), che nel 1989 ha visto l’emergere del Fronte Islamico di Salvezza nel paese e lo ha letteralmente “eradicato” con metodi che evocherebbero i repulisti di Stalin, se se ne sapesse qualcosa di preciso (i morti della guerra civile si valutano dai 100 mila a 3 milioni). Si deve aggiungere che il regime dispone, al contrario di Haftar, di un vero esercito, il secondo dell’Africa, temibile e armato con aerei e cingolati russi, per cui spende il 6 per cento del Pil, che è la colonna stessa del regime.
Un regime che mentre guarda con “scetticismo” alle raccogliticce “forze” di Haftar come di Sarraj, teme soprattutto una cosa: la spartizione della Libia in Tripolitania e Cirenaica. Perché? “Perché Le Pouvor è assillato dal timore dello smembramento del proprio paese. Hanno visto la separazione del Sudan, l’infiammarsi del separatismo curdo, ed hanno ragione di temere che dentro l’Algeria si sviluppino velleità di secessione”, che li obbligherebbe ad una nuova “eradicazione” di cui probabilmente non avrà più la spietata qualità occorrente.
Nello stesso, Le Pouvoir guarda con immaginabile e acuta inquietudine la “internazionalizzazione” della crisi libica: i bombardieri degli Emirati, l’Egitto che appoggia Haftar, il gruppo Wagner, e adesso Erdogan che ha mandato qualche centinaio di jihadisti ripescati della guerriglia anti-Assad in Siria e pagati 2 mila dollari il mese per andare a combattere in trasferta per Serraj.
Il portavoce di Haftar ha intanto fornito le seguenti cifre:
M.LNA (@LNA2019M) Tweeted:
The libyan National Army #LNA was rebuilt by order of the democratically elected parliament #HoR.
Growing stronger everyday.
May 2014: 300 soldiers
May 2017: 34,000 soldiers
April 2019 : 82,000 soldiers
September 2019 : 110,000 soldiers
January 2020 : +174,000 soldiers
#Libya https://t.co/sHcyuxp0vl https://twitter.com/LNA2019M/status/1219235701054722053?s=20
(Si sarà notato che anche i russi, senza parere, sono meno presenti a fianco del maresciallo)
Il timore dell’Establishment algerino è che la crisi libica obblighi all’uso delle proprie forze armate. “Escluderei che partecipi in modo ufficiale ad un intervento fuori dei confini: la dottrina della non-ingerenza è sacrosanta nel Pouvoir, e meno ancora probabile in un momento di transizione (Bouteflika è stato sostituito con Tebboune alla presidenza, un passaggio difficile secondo lo stile sovietico). D’altra parte, aiutare Haftar e gli Emirati a continuare la loro offensiva è percepita, nel Potere come atto antidemocratico; e nello stesso tempo, vogliono mantenere i migliori rapporti con gli Emirati, da cui sperano investimenti miliardari di cui l’economia ha bisogno (gli Emirati hanno appena finanziato 23 miliardi in Indonesia per rinnovo di infrastrutture); ragion per cui non possono permettersi di mostrare alcuna simpatia politica per Erdogan e il suo intervento pro-Serraj”. D’altra parte Algeri, nella riunione della Lega Araba del 31 dicembre 2019, ha contrastato sottilmente la posizione dell’Egitto – con la sua mozione ferocemente anti-turca – attenuandone la dichiarazione finale nel senso della condanna di “Ogni” ingerenza straniera in Libia, raccogliendo attorno alla sua mozione Irak, Sudan, Palestina, Tunisia: il che rivela una qualità diplomatica piuttosto capace. Del resto l’Algeria è un gigante militare, demografico e diplomaticamente apprezzato dagli stati arabi come presenza intesa alla stabilità.
C’è da sperare che il potere algerino riesca ad esercitare il suo influsso moderatore anche sul nostro “ministro degli esteri e capo politico”, colla sua fiabesca volontà di mettere l’armata italiana a disposizione di una “forza d’interposizione”, insieme “caschi blu” e “UE” per “far rispettare l’embargo sulle armi” sia per “garantire la pace” fra i due .. Una forza d’interposizione che separi quali tribù precisamente ? Parlare di “popolo libico” è tragico e ridicolo, davanti al ripresentarsi, virulento e infine debilitante, del velenoso e irriducibile particolarismo beduino: notoriamente il paese fu “unificato” da Graziani – conquistando oasi per oasi e pozzo per pozzo – con metodi inadatti ai tempi delle sardine.
“Un buon esercito evita più guerre di quelle che fa”, e si vede qui la verità di questa regola militar-politica. L’assenza di un buon esercito farà della Libia un perenne nido di serpenti per i prossimi decenni, ditelo al maresciallo Di Maio. Prima che anche lui si faccia confezionare l’uniforme dal miglior sarto di Pomigliano d’Arco.
Anche perché non è ben chiaro dove, in quali scuole militari ed operazioni il ben vestito si sia guadagnato il titolo che fu di Guderian e Rommel, essendo stato un esule impiegatizio, abitante in Usa presso la sede CIA per una vita.