https://twitter.com/riannuzziGPC/status/1748768711597547834
Glu UE anno ricevuto il comando dai neocon, Applebaum, Frum… andate a cercarne le biografie e vedrete.
L’Occidente [j} deve sconfiggere la Russia, proclama la Applebaum
.@anneapplebaum on flaw in calls for ceasefire in Russia's war upon Ukraine:
"A ceasefire means that both sides have to stop fighting. [T]here is no evidence that Putin wants to to stop fighting, or that he has ever wanted to stop fighting." https://t.co/bot3FniSx8 pic.twitter.com/UM6O7RuWX6
— David Frum (@davidfrum) November 10, 2023
La Polonia mobilita:
Mobilitazione militare. Sei ore per presentarsi all’unità
altrimenti in carcere
Da sabato 13 gennaio è in vigore un nuovo modello di carta di leva militare. Attirano l’attenzione le disposizioni sulle sanzioni in caso di mancata presentazione all’esercito quando 7annunciata la mobilitazione e in caso di guerra.
https://twitter.com/Lukyluke311/status/1749379749095301147
NATO: prove di guerra su larga scala con la Russia in Europa Preparativi della NATO per bloccare l’accesso della Russia al Mar Baltico e isolare la regione di Kaliningrad Corridoio di Suwalki: dispiegamento forze NATO in Polonia e Lituania
Cosa accadrà? Una interessante analisi strategica di “Inimicizie” di probabili fonti militari:
Sempre senza la pretesa di prenderci troppo sul serio – proviamo a fare qualche considerazione e cauta previsione sull’anno appena iniziato. (queste erano le nostre considerazioni sul 2023).
L’impianto teorico di fondo rimane lo stesso: attraversiamo il periodo di gestazione di un ordine multipolare, in cui gli attori devono ancora trovare il proprio posto e l’incidente, il “momento Gavrilo Princip” – vedi guerra nel Levante, variabile impazzita – rimane una possibilità concreta ma la cui probabilità non va esagerata.
Gli Stati Uniti devono riuscire ad accettare di diventare solo una – per quanto forte – delle potenze del sistema internazionale, e non la sola superpotenza egemone, fissando il proprio limes in un complicato processo di razionalizzazione imperiale, che ha ripercussioni inquietanti anche sul piano interno. Gli attori (comprensibilmente) revisionisti – che vedono aumentare la propria potenza relativa, la propria influenza regionale e globale – hanno obiettivi che talvolta combaciano (si pensi all’obiettivo dei BRICS+: scalzare la presa ferrea degli angloamericani sul sistema finanziario internazionale) ma spesso sono anche in aperto conflitto, sia per quanto riguarda gli interessi economici che anche quelli strategici e territoriali. Del resto, è risaputo che le coalizioni anti-egemoniche restino in piedi solo fino a quando esiste un concreto pericolo egemonico. Non un minuto in più.
Un’altra grande incognita è il futuro dell’UE: rimarrà ferma nel ruolo assegnatole da Brzezinski alla fine degli anni ’90 e attualmente ricoperto – una testa di ponte americana in Eurasia – o nonostante i migliori sforzi della Commissione Europea e il suo legame strutturale e genetico con Washington, verrà costretta dalla storia a diventare una potenza in tutto e per tutto? O si disintegrerà per le sue spinte centrifughe, dando luogo a scenari del tutto nuovi?
In questo complicato contesto, quali risposte ci potrà dare il 2024? Quali saranno i possibili spartiacque che decideranno i destini del sistema internazionali?
UCRAINA
L’anno scorso non avevamo azzardato nessuna previsione sulla guerra in Ucraina. Nell’autunno-inverno 2022 la Russia era riuscita – sotto il comando dell’ora disgraziato Surovikin – ad arginare l’arretramento del fronte con l’arrivo dei mobilitati sulle linee di combattimento, assestando il fronte su linee più difendibili (Nipro), fortificando le zone in campo aperto più vulnerabili (Zhaporozhye) e “sbilanciando” l’Ucraina con massicci attacchi missilistici nelle sue retrovie. A gennaio 2023, le forze russe avanzavano su Soledar e Bakhmut. Il futuro però appariva del tutto incerto: si apriva una nuova fase, in cui gli eserciti avrebbero dovuto sfondare linee fortificate per avanzare.
L’Ucraina ci ha provato in estate-autunno – bruciando una forza meccanizzata difficilmente replicabile – la Russia non si sa se e quando farà il suo tentativo di offensiva su larga scala. Chi sostiene che ce ne sia una in corso mente: basti guardare i conteggi delle perdite di Mediazona, fonte pro-Ucraina, inferiori rispetto al periodo di offensiva su Bakhmut e di poco superiori alla fase difensiva durante l’offensiva ucraina. Da studi quantitativi sappiamo che attaccare senza successo produca perdite di gran lunga superiori ad una difesa di successo: se fosse in corso un offensiva su larga scala russa, i rigorosi conteggi di Mediazona lo dimostrerebbero molto chiaramente.
Sul fronte sono in corso operazioni minori – una testa di ponte ucraina aldilà del Nipro, un lento accerchiamento russo di Avdeevka, tentativi di sondare il terreno nella direzione del fiume Zerebets – ma la guerra appare in tutto e per tutto una guerra d’attrito.
Oggi, forse sbagliando, ci sembra di poter individuare più chiaramente 3 variabili che decideranno il corso della guerra, elencate in ordine di “incertezza”: sostegno NATO all’Ucraina, fronte interno ucraino, fronte interno russo.
Della prima ci siamo occupati nel dettaglio in un articolo su Inimicizie a novembre, e più recentemente su Lettera da Mosca. Riassumendo: sia a Washington che a Bruxelles si stanno discutendo pacchetti di aiuti per l’Ucraina, assolutamente fondamentali in quanto senza flussi continui di denaro e armi dall’estero per lo stato ucraino proseguire sarebbe impossibile. Tra gli addetti ai lavori americani ed (atlantisti) europei si caldeggia la possibilità che siano gli europei della NATO ad occuparsi d’ora in poi della guerra in Ucraina – è precisamente questo il significato dell’”autonomia strategica” decantata da Macron e Mattarella: eseguire in autonomia i compiti che arrivano da oltreoceano – mentre gli USA spostano i propri asset militari verso la prima catena di isole (la nuova cortina di ferro, dove si svolge il confronto di gran lunga più importante del nostro tempo) ma anche verso il continente americano, dove si sta formando una nuova dottrina Monroe atta ad assicurare il vitale cortile di casa all’interno del nuovo perimetro imperiale.
Un appalto della guerra agli europei, tra l’altro, non impedirebbe in futuro una limitata intesa anglo-russa in funzione anti-cinese, ma è troppo presto per parlarne. Quantomeno, la Russia dal punto di vista dell’Anglosfera deve essere “assorbita” al 100% dall’Ucraina, quindi in condizioni di non nuocere in un eventuale confronto cino-americano nel Pacifico.
La riuscita di questo “piano” però è tutto fuorché che scontata, e non è detto che l’uso della Commissione Europea e dei fondi UE come oggetto contundente riesca a convincere i governi degli stati membri all’unanimità. Senza un vincolo esterno pluriennale, è difficile che gli stati europei riescano a mantenere un credibile supporto a lungo termine, neanche con una Germania andata completamente all-in sulla “dottrina Scholz“. Vedremo: il Consiglio si riunirà di nuovo a inizio febbraio, e fonti UE riferiscono a Politico di essere ottimiste sulle prospettive dell’Ukraine Facility Regulation. In ogni caso, neanche con questi 50 miliardi la questione si potrebbe considerare risolta.
Un’altra questione su cui si otterrà un chiarimento è quella della confisca dei fondi russi congelati, per trasferirli all’Ucraina, un passo che permetterebbe di finanziare la guerra senza pesare sugli erari dei paesi NATO, ma con pesanti controindicazioni dal punto di vista dello stato di diritto (di fatto, un atto di pirateria) e quindi dello status di questi paesi come mete sicure di capitali e investimenti. Particolarmente pericoloso in un anno in cui i BRICS – giova continuamente ricordarlo: una coalizione esclusivamente finanziaria – si sono espansi e sono presieduti dalla Russia. Dunque muoveranno con ancora più convinzione nella direzione della de-dollarizzazione, come mostra il recente annuncio dell’emissione di buoni in valute diverse dal dollaro per 28 miliardi, da parte della banca BRICS.
Naturalmente, angloamericani e Commissione lavorano affinché sia l’UE ad aprire le danze su questo fronte, sacrificando ulteriormente il ruolo dell’euro per fare scudo al dollaro, come già avvenuto nell’anno appena concluso.
Viktor Orban e Ursula von Der Leyen
Scendiamo dunque alle altre due variabili. I calcoli dei rapporti di forza in una guerra d’attrito si basano ovviamente anche sui fronti interni. La Russia – al netto di eventuali forniture NATO – ha un’innegabile vantaggio demografico, industriale, economico ed amministrativo rispetto all’Ucraina, ma per mantenerlo è necessario che il fronte interno regga. L’Ucraina può sopperire al suo deficit di capacità produttiva (e in misura minore, di uomini) appoggiandosi ad aiuti esterni, ma anche in questo caso è necessario un fronte interno compatto che sia in grado di sostenere politicamente e psicologicamente i costi di una lunga guerra d’attrito.
Come mai riteniamo il fronte interno ucraino una variabile più incerta? Per un semplice motivo, anche questo spiegato più nel dettaglio su Lettera da Mosca: la Russia ha già attraversato di recente una fase di caos interno dovuto agli insuccessi in guerra. A febbraio 2022 il fronte interno russo si presentava assolutamente compatto, ma gli insuccessi nella guerra lampo, la ritirata da nord, da Kharkiv e dalla riva destra del Nipro hanno causato importanti ripercussioni. Inizialmente limitate alle gerarchie militari, con l’imposizione di Surovikin a comandante dell’”Operazione Militare Speciale” – tentativo di esautorare Shoigu e Gerasimov – e attacchi sempre più virulenti da parte di Evgenii Prigozhin, capo della Wagner, all’esercito russo. Poi precipitate in un vero e proprio tentativo di golpe. Il fallimento della “marcia su Mosca” però – questo era chiaro a tutti, tranne agli “esperti” di politica estera più gettonati in Italia – ha avuto l’effetto di consolidare il fronte interno russo: una fine simile a quella del capo della Wagner è stata condivisa da molti che hanno puntato sul cavallo sbagliato in quella caotica giornata di giugno, e il contropotere dell’armata mercenaria è stato definitivamente abolito.
Con questo non si vuole affermare che non ci siano più problemi per la tenuta interna russa, altrimenti non la considereremmo una variabile ma una costante. Eventi attesi (elezioni, che si terranno quest’anno, con eventuali movimenti di opposizione) e inaspettati – morte improvvisa di Putin, attacchi terroristici, crisi nel Caucaso o nell’estero vicino – potrebbero mutare radicalmente le cose. Semplicemente, si sottolinea che la Russia è appena uscita da una fase di “chiarimento” interno, il sistema ha retto e ne è uscito consolidato. La situazione politica appare meno fluida.
E’ sempre più fluida, invece, la situazione politica interna all’Ucraina, che sta entrando nella sua fase di chiarimento. Il fronte interno – dopo aver retto con pochissime crepe a quasi due anni di guerra – adesso deve affrontare questioni spinose: come proseguire dopo il fallimento dell’offensiva “decisiva”, come mobilitare un numero sempre maggiore di persone, lavoratori essenziali e giovanissimi senza esperienza militare, come sopperire ad un flusso di aiuti dall’estero che appare incerto? Diversi personaggi di spicco conducono conflitti più o meno aperti con Zelensky: il capo di stato maggiore Zaluzhny, l’ex consigliere militare Arestovich, il sindaco di Kiev Klitschko, gli ex presidenti Poroshenko e Timoshenko, oligarchi ex-zelenskiani come Igor Kolomoisky. Nell’ultimo anno, sono stati azzerati i vertici del ministero dell’interno (in un tragico incidente di elicottero) del ministero della difesa, dei commissariati militari e di buona parte degli oblast (per ordine di Zelensky), sia il capo di stato maggiore che il direttore del GUR – Budanov – sono stati oggetto di tentativi di assassinio.
Possiamo limitarci ad evidenziare i parallelismi tra l’attuale situazione ucraina e quella russa tra l’inverno 2022 e la primavera 2023: che risulti in un consolidamento o in un crollo del fronte interno Ucraino, sembra probabile che un chiarimento di qualche tipo sia in arrivo.
Senza la pretesa né la capacità di dire come andrà a finire la guerra, abbiamo evidenziato le tre variabili fondamentali da tenere d’occhio, in ordine di importanza. Il risultato sarà frutto, oltreché delle operazioni militari sul campo, di scelte politiche che devono ancora essere prese a Bruxelles, Kiev, Mosca, Washington, Londra, Pechino.
Scelte non scontate, ricordando sempre che la geografia alla politica offre opzioni, non obbliga a scelte pre-determinate: per l’Anglosfera, ad esempio, un confronto ad oltranza (per procura) con la Russia ed un’entente limitato in funzione anti-cinese con essa sono entrambe opzioni valide. Per Russia e Ucraina, provare a raggiungere una fine negoziata del conflitto o cercare di rompere lo stallo ad ogni costo sono entrambe opzioni valide.
RAZIONALIZZAZIONE IMPERIALE
Consigli di lettura di Inimicizie
Naturalmente, anche il 2024 sarà plasmato dalle scelte americane nel processo di razionalizzazione imperiale. Oltre allo scontato fronte dell’Indo-Pacifico, in cui il corso d’azione appare comunque più lineare, evidenziamo 4 questioni fondamentali: Europa, America Latina, Vicino Oriente, fronte interno.
Europa e America Latina sono le due pan-regioni che gli Stati Uniti vorranno e dovranno mantenere sotto il proprio controllo alla fine di questo processo. Anzi, come insegnano gli eventi degli anni ’70 e le vicende dell’Impero Romano, bisogna aspettarsi che Washington tenti di esercitare un controllo maggiore di prima in queste due regioni.
Dell’America Latina – e degli eventi che plasmeranno il 2024 nella regione – abbiamo parlato approfonditamente in un recente post sul “ritorno della Dottrina Monroe”, e nel successivo podcast con Emanuel Pietrobon.
Le vicende europee ruoteranno intorno alla guerra in Ucraina di cui abbiamo appena detto, e alla capacità americana di mantenere (o meno) il controllo sull’Europa – aumentato con covid e guerra in Ucraina – attraverso le evoluzioni della guerra. La diplomazia americana, le strutture semi-ufficiali come USAID, CFR, NED, Trilateral, Atlantick Brucke – e sicuramente anche le strutture segrete e di intelligence – lavoreranno insieme alla Commissione Europea al fine di prevenire l’emergenza di nuclei riottosi nel vecchio continente. Un lavoro particolarmente insistente si nota in Ungheria, ma in futuro potrebbe proporsi un problema ben più grande: la Germania.
La Germania – tenuta “sotto” dalla NATO e imbrigliata a livello europeo dal “triangolo di Weimar” – è il cuore dell’impero americano in Europa, anche dal punto di vista prettamente militare. Da dopo il 1991 ha quasi sempre agito o per effettiva sincronia, o per imposizione, a favore degli interessi statunitensi: guida le guerre nella post-Yugoslavia, sottomette la Grecia tramite l’UE per evitarne un’uscita di fatto dal campo atlantico, aiuta Francia, Regno Unito e USA ad attaccare l’Italia per indebolirla durante l’intervento in Libia e oggi con la “dottrina Scholz” tenta di contestare l’heartland eurasiatico alla Russia sperando di ricevere dagli americani una parte delle eventuali spoglie di guerra. Il governo Schroder, che lavora contro l’intervento americano in Iraq e fornisce le coperture politiche alla grande industria tedesca per allacciare legami – anche fisici, vedi Nord Stream – con la Russia, rappresenta un incidente di percorso i cui effetti sono cancellati con pazienza e perseveranza dalla Merkel.
La Germania è il paese che può creare più problemi agli Stati Uniti per molteplici ragioni. Fermo restando che non ne creeranno né Scholz né tantomeno la CDU/CSU, ci si interroga invece sul populismo tedesco. Totalmente normalizzato in senso atlantista quello italiano, in Germania – che mantiene di fatto lo stesso assetto politico della guerra fredda – deve ancora avvicinarsi all’area di governo. Bisogna ancora capire come lo farà.
Quest’anno l’Alternative fur Deutschland, in costante crescita, affronterà 4 impegni importanti: le elezioni europee a giugno, le elezioni regionali in Sassonia, Brandenburgo e Turingia in autunno. In quest’ultima regione, potrebbe addirittura vincere, mentre si fanno sempre più forti le voci di chi vorrebbe mettere al bando il partito, accusandolo di incompatibilità con la costituzione tedesca: già ora, la polizia politica tedesca ha messo sotto sorveglianza il partito, il ché significa che i suoi tesserati possono essere “sorvegliati” dai servizi segreti senza mandato e i membri di certe fazioni non possono accedere al pubblico impiego.
Nasce inoltre il nuovo partito politico di Sara Wagenknecht – da una scissione della Linke, il partito più a sinistra dell’arco parlamentare tedesco – caratterizzato da una politica economica “Schroderiana” e da posizioni sui temi sociali (immigrazione, ambientalismo etc etc) tradizionalmente di destra. Più importante, il partito è esplicitamente contrario alla NATO, favorevole al ritorno dei legami energetici e commerciali con la Russia e nei primi sondaggi sembra aver già conquistato intorno al 5-10% delle preferenze. Tutto ancora da confermare elettoralmente, ma di certo un ulteriore motivo di preoccupazione per chi lavora per mantenere la Germania ancorata agli Stati Uniti.
Altri “problemi” potrebbero sorgere in Slovacchia – piccolo paese ma confinante con l’Ucraina e con diritto di veto in UE – in Olanda (con moltissimi se) in Austria dove si voterà in autunno e soprattutto in Spagna. Il governo spagnolo di Sanchez si è dimostrato particolarmente freddo nei confronti degli Stati Uniti, sconfessando l’operazione Prosperity Guardian, pressando per promuovere un cessate il fuoco a Gaza in sede UE, espellendo spie americane, posizionandosi silenziosamente come hub del gas naturale liquefatto russo, riallacciando i rapporti con l’Algeria a spese del Marocco. Oltretutto, la compromissione della coalizione di Sanchez con i separatisti catalani rischia di radicalizzare l’opposizione di destra, rafforzando Vox a spese del più rassicurante PP.
Nel 2024 in Spagna con ogni probabilità non si voterà, ma la questione catalana potrebbe riaccendersi.
Pedro Sanchez con il presidente iracheno Mohammed Al Sudani, una figura chiave nelle vicende della guerra in Vicino Oriente, in grado di spostarne gli equilibri.
Per quanto riguarda il fronte interno americano, “spaventato” dalla nuova vulnerabilità evidenziata dall’emergenza di vari “peer competitors” – messa sotto ai riflettori dai coniugi Obama nella loro recente produzione per Netflix – il 2024 sarà un anno cruciale: di fatto la stagione elettorale è già iniziata, con le prime primarie repubblicane che hanno registrato una vittoria schiacciante di Trump, mentre alcuni stati cercano di impedire all’ex Presidente di partecipare alle elezioni e i guai giudiziari pendono come una spada di Damocle. Le elezioni – a prescindere da chi le vincerà – porteranno allo scoperto le divisioni nella società americana, aumentando il rischio che episodi come le rivolte e i saccheggi degli afroamericani del 2020, o l’assalto a Capitol Hill degli estremisti repubblicani il 6 gennaio 2021 si ripetano.
La traiettoria di politica estera americana non cambierà nei fondamentali se Biden non verrà rieletto, ma una vittoria repubblicana molto probabilmente porterebbe ad un peggioramento dei rapporti con Cina, Iran ed Europa occidentale, ad un miglioramento dei rapporti con Israele, con la “nuova destra” latinoamericana e con l’intermarium europeo. Forse, ma è tutto da vedere, ad un disimpegno dall’Ucraina (sempre in funzione anti-cinese) che però come abbiamo visto non sarebbe da escludere anche nel caso in cui proseguisse l’amministrazione Biden.
Unisciti alla Newsletter di Inimicizie
Il Vicino Oriente è una delle regioni che gli Stati Uniti sentono di dover abbandonare secondo lo schema della razionalizzazione imperiale. Sperabilmente, lasciandolo in mano ad una coalizione arabo-israeliana in grado di contenere (e se necessario, aggredire) l’Iran autonomamente o quasi. L’accordo saudi-iraniano segna una momentanea sconfitta per questa prospettiva, e la guerra di Gaza rende politicamente difficile per gli stati arabi – almeno fino a quando la “questione palestinese” non sarà del tutto liquidata, il che potrebbe avere l’effetto opposto – la normalizzazione con Israele. Questo probabilmente era chiaro anche ad Hamas, nel momento in cui ha sferrato l’attacco.
Gli stati produttori di petrolio, inoltre, iniziano a sganciarsi con sempre più convinzione dal petro-dollaro (sauditi con cinesi, emiratini con indiani) processo che rischia di avere ampie ripercussioni sulla potenza americana nel mondo.
Ma oggi il pericolo principale per Washington è un altro: essere trascinata da Israele in una guerra regionale che Tel Aviv sembra avere ogni intenzione di innescare, ad esempio invadendo il sud del Libano come da diverse settimane si specula sui media e fanno intendere importanti funzionari israeliani.
Per gli interessi americani una guerra regionale con l’Iran sarebbe disastrosa (anche nel caso si riuscisse ad ottenere una “vittoria” in tempi ragionevoli) diventando un buco nero per preziose – e scarse – risorse militari, economiche e politiche; incoraggiando la Russia a cercare una vittoria totale in Ucraina e lasciando “aperto” l’indo-pacifico alla Cina. Già le prossime settimane saranno cruciali in tal senso: tramite manovre diplomatiche e militari – come la ritirata della portaerei al largo del Libano – Washington dovrà dissuadere Israele dai suoi obiettivi massimalisti, e lavorare per una veloce dipartita politica di Nethanyahu – a cui gli USA lavoravano senza successo già dall’inizio dell’anno scorso – e della sua coalizione, in favore di forze più orientate verso una distensione con palestinesi, arabi e iraniani.
Marinai americani a bordo della USS Bataan, cruciale nelle intercettazioni di missili Houty nel Mar Rosso sin dai primi tentativi degli yemeniti
CINA E VIA DELLA SETA
Ascolta il Podcast di Inimicizie!
La competizione tra Stati Uniti e Cina non è destinata ad alleviarsi nel prossimo futuro.
Pechino ha rapidamente dimostrato di saper affrontare le sanzioni nel comparto dei semiconduttori, shockando gli addetti ai lavori con il rapido sviluppo di chip all’avanguardia, quindi rendendo manifesta a Washington la necessità di un approccio più aggressivo anche su questo fronte.
Oltre all’Indopacifico – dove Taiwan e Mar Cinese Meridionale rimangono due flashpoint in grado di far precipitare le cose nel giro di pochi mesi – la principale direttrice di competizione tra Washington e Pechino sarà la Via della Seta, che collega la Cina con il suo principale partner commerciale: l’Unione Europea.
Scollegare l’UE dalla Cina – torniamo al punto precedente, il controllo sull’Europa – sarà uno dei principali obiettivi americani quest’anno, obiettivo che potrebbe dimostrarsi ancora più arduo rispetto alla mobilitazione dell’Europa in funzione anti-russa e il sabotaggio dei legami commerciali con Mosca, riusciti con pochi inconvenienti nel 2021-2022.
Dunque la partita si continuerà a combattere sulle due direttrici della Via della Seta: quella che passa attraverso la Russia e quella che attraversa il Mar Caspio e il Caucaso.
A prescindere da chi controllerà cosa in Ucraina, Washington deve assicurarsi che i legami transfrontalieri tra Russia e UE continuino a deteriorare, è un obiettivo fondamentale che riguarda il confronto con la Cina. Nelle ultime settimane del 2023 si sono registrati i primi tentativi di chiudere il confine da parte dei paesi baltici.
Sul “Middle Corridor” invece la questione si fa più complicata: i tre snodi fondamentali sono il Kazakistan, l’Azerbaijan e la Georgia.
Nel Caucaso le grandi e medie potenze competono per trovare una risoluzione al conflitto tra Armenia e Azerbaijan, in bilico tra un accordo di pace e una nuova guerra per il “corridoio di Zangzeur” dalla definitiva liquidazione del Nagorno-Karabakh nel 2023. Chi plasmerà il rapporto tra Baku e Yerevan sarà in grado di influenzare sia la via della seta est-ovest, che il corridoio nord-sud che lega India, Russia, Iran e Asia Centrale.
Conversazione con Marco Uncini di Geopoli. Tra le altre cose, si è parlato delle prospettive tra Armenia e Azerbaijan.
La Georgia invece è il porto sia del Middle Corridor della Via della Seta, sia del consorzio di esportazione petrolifera e gasiera dell’Asia Centrale (pipeline Baku-Tblisi-Ceyhan) alternativo all’esportazione attraverso la Russia. Nel 2024 in Georgia si voterà: la Russia molto probabilmente sosterrà con le sue reti d’influenza il partito di governo Sogno Georgiano – che ha mantenuta una linea di distensione con Mosca dall’inizio della guerra, evitando la riaccensione delle ostilità con le regioni separatiste e profittando economicamente nel ruolo di intermediario tra Russia e UE nell’aggiramento delle sanzioni – mentre gli Stati Uniti e la Commissione Europea sosterranno l’opposizione con il solito arsenale, ripetendo lo scontro a cui si è assistito nel marzo scorso in occasione della proposta di legge sugli agenti stranieri, quando si è assistito a moti di protesta ma anche ad una spaccatura, di fatto una crisi costituzionale, tra governo e presidenza della repubblica.
Non è da escludere che le elezioni in Georgia sfocino in una vera e propria crisi, vista l’enorme importanza geopolitica di questo piccolo paese.
La lotta per il controllo dei legami commerciali Cina – UE si combatterà naturalmente anche sul mare: il controllo dello stretto di Malacca, del canale di Suez e Bab el Mandeb – dove uno scontro prolungato a bassa intensità con gli Houti potrebbe essere nell’interesse americano – dello Stretto di Bering e delle rotte artiche sarà cruciale nel determinare i rapporti di forza per tutto il secolo.
Chi controllerà le rotte commerciali tra le due zone costiere più ricche dell’Eurasia, sarà nella giusta posizione per emergere come vincitore nella competizione geopolitica dei prossimi decenni.
Potete sostenere inimicizie con una piccola donazione, acquistando qualsiasi cosa tramite i nostri link affiliato (qui alcuni consigli) o iscrivendovi alla “Lettera di Inimicizie“, la nostra newsletter esclusiva. Ogni aiuto è fondamentale per la crescita del blog e mi permette di offrire un servizio sempre migliore.