Da tutta la vita non capivo del tutto il Padre Nostro. Ho sempre attribuito questa mia incomprensione, non senza motivo, al fatto che la mia condizione spirituale non è all’altezza che Cristo richiede quando insegna la preghiera. –
Di fronte al “sia santificato il Tuo Nome” facevo mia la domanda: “Non è Dio la santità stessa? Perché augurargli la santità?”.
E’ la domanda che trovo nel volumetto dell’abbé Jean Carmignac (1914-1986), massimo esperto dei Rotoli del Mar Morto, oggi edito dalla Ares. E la risposta è: Gesù deve aver usato il termine qadash, che significa “separare, rendere distinto” (la radice che si trova in Cavaliere Kadosh, grado 33), e allora capisco: la riconoscere al Padre la “sanctitas” è tollerabile in latino, perché sanctus significa tutto ciò che è “separato” perché “sacrum”, per superiorità ontologica non profanabile dall’impurità del mondo sub-lunare. Non è tollerabile in italiano, dove “santo” è scaduto nel senso ridotto di perfezione morale, privato ormai del senso di “grandezza” e “maestà” che manteneva in latino.
La preghiera giusta dunque dovrebbe essere: “sia glorificato il Tuo Nome”. E come lo dobbiamo glorificare diventa facile capirlo dalle parole di Gesù: Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo lì’opera che mi hai dato da fare” (Giovanni 17,4). Quando operiamo secondo la Sua Volontà, lo glorifichiamo. Onoriamo la sua maestà; che – cosa difficile per noi imbevuti di democrazia e uguaglianza – dobbiamo intendere nel senso nobiliare, di superiorità gerarchico-aristocratica. “ Nell’antica Scrittura, “sovente Dio agisce “a causa del suo Nome, cioè per l’onore e la gloria connessi al suo Nome”, come un re, un imperatore.
Così, Padre Nostro “che sei nei cieli” non significa che Gesù abbia voluto segnalare dove sta Dio. Voleva distinguerlo dal padre terrestre; che non era, per i contemporanei giudei, il papà genetico. Per “nostro padre” intendevano Abramo. Il capostipite Quante volte non si vantano: “Abbiamo Abramo per padre, non siamo nati da prostituzione”, “nostro padre è Abramo!” . La precisazione “nei cieli” è in qualche modo secondaria, tant’è vero che il greco Luca, che scrive per non ebrei, tralascia il dettaglio. Anzi tralascia persino “nostro”, gli basta l’invocazione “Padre”.
Il punto centrale è che Gesù sta dicendo ai giudei, che quella temibile Presenza Reale nel penetrale del tempio era per loro Padre. E questo non nella versione (ideologico-massonica e bergogliana) che “siamo tutti fratelli”, ma grazie al fatto – inaudito e per molti blasfemo – che Lui, Uomo-Dio, col sacrificio di sé li aveva riscattati e resi fratelli. Adottivi. San Paolo insiste sul concetto giuridico: è perche avete da figli adottivi ricevuto lo “Spirito del Figlio che invoca nei vostri cuori Abbà, Padre”, altrimenti non potreste; Giovanni esalta il fatto che il Logos incarnandosi ha dato agli uomini “la possibilità di diventare figli di Dio” (Gv1,12). “La possibilità” non l’automatismo. E’ la fraternità soprannaturale ad essere messa in risalto: “Solo quando il catecumeno era immerso nel Cristo con il battesimo che poteva cominciare ad invocare il suo Padre celeste”. Padri della Chiesa ripetono che questa preghiera non può che convenire ai “santi”, e che è offendere Dio chiamarlo “Padre” quando ci si rifiuta di comportarsi come suoi figli”.
Che dire della frase “ne nos inducas” che l’horridus attualmente regnante ha voluto imporci come “non ci abbandonare alla tentazione”? Può Dio “abbandonarci?”. Ancora una volta il testo latino è più preciso della sua traduzione italiana: “ne nos inducas” non significa “non indurci”, bensì non farci entrare” nella tentazione, fa che non entriamo in tentazione. Il passo è però stati discusso e tormentato da secoli, anche da Padri della Chiesa. Facciamola breve. Si tratterebbe di una coniugazione ebraica “causativa”, per cui il senso corretto sarebbe “…e non ci far entrare in tentazione” , “non consentire che”: allo stesso modo Gesù nell’orto degli ulivi, ai discepoli colti da quella pesante, tragica sonnolenza post prandiale mentre si avvicinano le guardie venute a catturarlo, esorta: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione”.
Infine “Liberaci dal male”, mentre è chiaramente nominato il Maligno. “Ma tienici lontano il Maligno”, preghiera naturalissima. Illuminati e vanificati i dubbi sul Padre Nostro, resta l’ultimo mistero: come mai la preghiera centrale della nostra fede, dettata personalmente da Gesù, sia stata così mal tradotta e fraintesa. Non sono lontano dal vedere in ciò l’opera del Soprannominato.