Alla rabbia e al dolore in cui abbiamo galleggiato mentre veniva allestito il patibolo per un bambino che, senza voce, implorava la grazia perché aveva voglia di vivere, segue la tentazione della stanchezza e della rassegnazione. Pare che ora non ci sia più nulla da fare se prima nulla si è potuto di fronte a un orrore così enorme proiettato in mondovisione a beneficio di una platea inebetita, coi posti in prima fila riservati alle autorità compiacenti. Autorità scientifiche, politiche e giudiziarie, morali e religiose.
Il film che la regia ci ha imposto di vedere era già stato approvato dal Potere del mondo quale necessario rito di passaggio per un’umanità straniata che deve autoannientarsi in tempi compressi. Evidentemente, è deciso che non si può più indugiare. E tutto assume i contorni sinistri di un cerimoniale blasfemo, ricamato nei minimi dettagli e cadenzato dai rintocchi di un orologio funesto costruito chissaddove per manomettere i ritmi inviolabili della vita e della morte stabiliti da Dio. I protagonisti di questa macabra messinscena indossano, insieme al ghigno beffardo di chi è inebriato dal delirio di onnipotenza, la divisa richiesta per le occasioni ufficiali. Vestono il camice e il doppiopetto, la toga e la parrucca, la tonaca e lo zucchetto.
Il sipario del primo atto è calato sulla scena della morte di Alfie, avvenuta nottetempo nel campo di battaglia reso deserto e muto dall’armistizio fatale. Ma il lugubre rituale non è affatto concluso, e basti pensare che tra qualche giorno sono in programma i funerali di Alfie, officiati nel tempio della cattedrale di Liverpool da uno o più dei componenti dell’accolita che lo ha voluto morto. Non può non correre un brivido lungo la schiena al pensiero di come al clero traditore, quello che ha tirato la volata agli esecutori materiali del suo omicidio, spetti suggellare il definitivo commiato del piccolo martire innocente. È l’apoteosi della perversione proiettata in veste liturgica davanti agli occhi del mondo.
L’ordine invincibile
Questo blocco coeso di malfattori in abito formale è talmente determinato a portare a compimento la propria missione di morte, da essere pronto a sfidare e a sbaragliare persino la biologia fondamentale, che ha programmato anche le bestie a placare la propria aggressività quando la preda abbia i connotati di un cucciolo indifeso. Qui, l’obiettivo delle telecamere era puntato su un cucciolo d’uomo, un bambino bellissimo capace di sorridere e di tenersi aggrappato alla sua mamma, un bambino che visibilmente non soffriva, ma chiedeva di godersi ancora, per il tempo voluto da Dio, il calore di un abbraccio e di una carezza. Come si fa a concepire la sua uccisione, sotto i riflettori, per decreto irrevocabile di un giudice-dio preda del proprio sadismo perverso? Come si fa a ordire per giunta, sotto quei riflettori, l’annientamento fisico e psichico dei genitori del condannato innocente, e di chiunque altri abbia tentato di difenderlo dai suoi carnefici?
Il boia collegiale, stavolta, ha avuto l’ardire straordinario di forzare l’immaginario collettivo e le pulsioni più profonde che albergano nell’animo umano e persino nell’istinto animale, fino a colpire ripetutamente a morte una creatura sopravvissuta alla prima esecuzione, dopo averla torturata, affamata, assetata e soffocata, e strappata alle braccia di sua madre e di suo padre, presi a male parole e costretti a dormire per terra.
Tutto ciò è avvenuto davanti alla macchina da presa, nel tempo di tutti i diritti e di tutte le libertà. E ci si chiede di cos’altro ci sia bisogno, ancora, per smascherare l’imbroglio planetario dei cosiddetti “diritti umani” e delle cosiddette “libertà fondamentali”, zuccherino partorito dalle menti della rivoluzione per ingabbiare i sudditi nella peggiore delle schiavitù, qual è quella consenziente travestita da democrazia.
Il gran ballo in Cappella Sistina
La parodia che tra pochi giorni verrà allestita a Liverpool in cattedrale sarà un estremo sberleffo alla vita, alla pietà e alla giustizia. Vogliamo immaginare come veri funerali di Alfie, i mille rosari che si leveranno al Cielo da tante città d’Italia in sua memoria.
Ma lo sfregio al dramma di questo bambino, e di tutti coloro che ne hanno sentito sulla carne la magnitudine simbolica nella barbarie incipiente, si era in parte già consumato in una significativa anteprima, proprio nel cuore di Roma.
Alla vigilia della data fissata per il distacco del respiratore – nonché vigilia della memoria di San Giorgio, patrono d’Inghilterra – mentre tante persone di buona volontà soffrivano, trepidavano, pregavano e digiunavano, e mentre qualcuno, davanti al Sant’Uffizio, implorava gridando e piangendo il rilascio del passaporto per la famiglia Evans e quelle grida e quel pianto risuonavano per tutta la città del Vaticano (come abbiamo raccontato nel nostro articolo del 2 maggio scorso), in quegli stessi momenti, a pochi passi di distanza, l’establishment ecclesiale britannico (e non solo) affluiva nella Cappella Sistina per assistere allo Stabat Mater del compositore scozzese Mac Millan.
C’erano il primate della chiesa di Inghilterra e arcivescovo di Westminster Vincent Nichols, l’arcivescovo Gallagher, Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e originario di Liverpool, lord David Alton, leader pro-life anch’egli di Liverpool. Ma c’erano anche il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, e il cardinale Sanchez-Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. C’era l’alto dirigente della BBC e del NY Times Mark Thompson; c’era il potente leader conservatore Michael Heseltine, storico rivale di Margaret Thatcher.
Di costoro, nessuno ha speso una sola parola in difesa del piccolo Alfie Evans, figlio di Dio e di Santa Madre Chiesa, in un momento decisivo per la sua vita ormai appesa al filo del capriccio omicida dei suoi simili più forti. Nonostante tutto quanto era trapelato sul trattamento disumano riservato a lui e alla sua famiglia, nonostante quanto era emerso sui precedenti raccapriccianti dell’Alder Hey Hospital (omicidi seriali, occultamento e traffico di organi), tutti i papaveri della chiesa, della politica e della comunicazione si sono schierati dalla parte dell’ospedale degli orrori, rendendosi di fatto complici dell’assassinio di un innocente e garanti di una micidiale macchina di morte.
Del resto, proprio il cardinale Nichols non ha mancato di confermare in prima persona, subito dopo la morte di Alfie, quanto già aveva sottoscritto insieme all’episcopato unanime, e cioè che l’Alder Hey Hospital con il suo operato promuoveva il bene del bambino e che “è molto difficile agire nel miglior interesse di un bambino quando questo non è sempre quello che i genitori desiderano, ed è per questo che un tribunale deve decidere quello che è meglio non per i genitori, ma per il bambino”.
Se la chiesa anglicana si è distinta per il silenzio assoluto davanti al sacrificio di un essere umano innocente, quella sedicente cattolica si è rivelata talmente permeabile al potere del male da fargli da cassa di risonanza e da andare graziosamente a concerto nel luogo sacro dove si fanno i conclavi e da dove escono i papi, volutamente ignorando chi fuori implora pietà.
L’istantanea feroce di quella domenica in Vaticano ritrae un contrasto tanto stridente quanto agghiacciante: nello stesso luogo e nella stessa ora in cui si poteva toccare con mano il dolore dei giusti, specchio del dolore di Maria sotto la croce di Cristo, il Sinedrio inscenava il contraltare di quel dolore, ed esibiva la pompa vacua di uno show che dello “Stabat Mater” era null’altro che la sarcastica parodia.
La fortezza espugnata
Ma ben ci sguazzano, tutti costoro, nel brodo di necrocultura che ormai tracima dagli ambienti vaticani. Combinazione su combinazione, mentre Alfie veniva barbaramente ucciso in una stanza d’ospedale, il vertice della chiesa ex cattolica era impegnato a promuovere, sempre a casa propria, la quarta edizione dell’evento internazionale “Unite to cure. A global health care initiative“, presentato come un’occasione di “dialogo aperto e interdisciplinare” tra scienziati, medici, pazienti, esperti di etica, funzionari governativi e rappresentanti di differenti confessioni religiose “sul progresso della tecnologia, sui bisogni globali dei pazienti e sulla diffusione delle conoscenze che migliorano la salute umana”, allo scopo di prevenire le malattie e proteggere l’ambiente.
Tutto secondo il noto copione utilitarista della vita “di qualità”, degna di essere vissuta nei limiti degli standard fissati in base alle esigenze di bilancio, nel mito perenne del “benessere” coltivato dai benpensanti educati al credo salutista finalmente sposato anche dalla chiesa del fitness del terzo millennio.
Al “dialogo aperto e interdisciplinare“, sappiamo, partecipano gli alfieri e le corifee delle ideologie mondialiste, abortiste, eutanasiche ed eugenetiche, e le starlette di turno col vizietto del satanismo che fanno da testimonial alla sarabanda (vedi la passerella di Katy Perry, marionetta delle élite massoniche e delle lobby gay, estasiata dal capo inclusivo della neochiesa inclusiva).Gli unici per cui non c’è spazio, nel frullato dialettico “aperto e interdisciplinare”, sono quelli che si spendono a intransigente difesa della vita umana innocente. Ed è tutto molto logico, perché il dialogo pluralista e democratico si confà a chiunque cianci di vita degna, di dolce morte e di molte altre belle idee politicamente correttissime, ma non a chi, facendosi portatore di principi veritativi per loro natura assoluti e immutabili, rovina il giocattolo psichedelico a quanti si sono votati alle seduzioni del mondo. L’inclusione di tutto implica l’esclusione della verità.
La verità è che, con Alfie, abbiamo assistito allo scempio dell’esecuzione di un bambino che respirava da solo e sorrideva a sua madre. L’Inghilterra si è macchiata ancora una volta di questo crimine orrendo, ma attorno a lei i potenti hanno fatto quadrato e hanno messo all’angolo l’esercito improvvisato che si è speso anima e corpo per cercare di fermare il braccio del boia.
Liverpool ha chiamato Roma. E Roma ha risposto. Anche il centro della cristianità è espugnato, e i suoi abitanti festeggiano la nuova gestione e lo fanno alla luce del sole e recitano ebbri in tutte le lingue un credo ormai capovolto. I loro riti e i loro paramenti vengono ancora ostentati, alla bisogna. Ma non servono più ad adorare Dio.
I riti del potere celebrano la morte di Alfie – di Elisabetta Frezza