Roberto PECCHIOLI
Nella temperie fulminea dei cambiamenti di questi anni frenetici, svolge un ruolo centrale una narrazione ripetuta sino allo sfinimento, creduta per bombardamento mediatico: l’ideologia del cambiamento climatico. Come insegnò Carl Schmitt, le ideologie sono concetti teologici secolarizzati e nel caso del “climatismo” (il termine fu coniato nel 2015 da Mario Giaccio) ciò è assolutamente evidente. E’ un’autentica fede religiosa, con i suoi riti (le conferenze internazionali periodiche), i suoi fedeli e discepoli, i suoi sacerdoti – scienziati e militanti – una Gran Sacerdotessa, Greta Thunberg, dal linguaggio apocalittico, il volto imbronciato e il tono ansiogeno. La divinità a cui prestare culto, femminile come prescrivono i tempi, è Gea, la terra, organismo senziente il cui nemico è l’homo sapiens.
I banditori non sono profeti disarmati o apostoli, ma i livelli alti del potere economico, finanziario e scientifico, che ha imposto la nuova ideologia nell’ambito di piani di dominio a lungo termine (Grande Reset, Agenda 2030) nascosti dietro la doppia cortina del cambiamento climatico e della transizione energetica, che ha già reso carissime le bollette elettriche e del gas.
Rispetto al passato, vi è un cambiamento di non poco conto: prima si parlava di riscaldamento globale, oggi i padroni delle parole hanno ripiegato sul più generico cambio climatico. In ogni caso, non si esce da un’ideologia il cui principale cortocircuito riguarda il ruolo della specie umana. Il dogma indiscusso, infatti, è l’origine antropogenica del cambiamento climatico del pianeta. E’ l’uomo, con la sua volontà di potenza, il predatore responsabile dello squilibrio naturale. Fin qui, nulla da eccepire: tesi proclamate da più parti senza successo.
La contraddizione è chiara: se il clima cambia, la ragione non sta nei cicli della natura, bensì nell’esclusiva opera dell’uomo. E’ un peccato di hybris, la dismisura invisa ai greci. Gea fa i capricci o semplicemente segue il suo cammino epocale? No, il responsabile è l’uomo. Con arroganza e volontà di potenza uguale e contraria, la religione climatica offre la soluzione: sia l’uomo a modificare Gea, a interrompere e ribaltare il cambiamento, attraverso la declinazione ecologica e “sostenibile” della tecnologia. La tecnica e la scienza umana restano i Demiurghi, gli strumenti di un Dio minore ma non troppo, l’Homo sapiens riconfigurato in alleato di Gea.
Il climatismo è volontà di potenza mascherata dalla proclamata bontà dei suoi obiettivi. Sarà l’Uomo a cambiare il corso del clima terrestre attraverso comportamenti, condotte, modelli di sviluppo che placheranno l’ira di Gea. A livello simbolico, è una captatio benevolentiae, il tentativo di farsi amica una potenza superiore, con la quale dialoghiamo da pari e pari. Sempre Prometeo, sempre Titano al potere, con la differenza che adesso non sfida più la collera degli dei, ma se ne fa alleato.
Il primo baco dell’ideologia climatica è l’impossibilità di verificarne – al tempo delle verità scientifiche- la veridicità. E’ infatti impossibile affermare o negare che il pianeta si stia riscaldando o raffreddando a lungo termine. Comincia ad ammetterlo lo stesso IPCC (International Panel for Climate Change, Gruppo Internazionale sul Cambiamento Climatico), foro mondiale creato nel 1998. Nonostante la tesi di fondo resti quella del cambiamento del clima, confortata da decenni di osservazioni e rilevamenti, l’IPCC ha concluso che “nella ricerca e creazione di modelli climatici, dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte ad un sistema caotico, e quindi la previsione a lungo termine degli stati climatici futuri non è possibile”. La ragione scientifica è che i modelli matematici complessi utilizzati non sono in grado di calcolare le infinite variabili del sistema. Anche il comportamento delle temperature future in riferimento alle emissioni di CO2 non è previsibile se non con approssimazione. Le previsioni meteorologiche restano affidabili entro l’arco temporale di quindici giorni. Per il resto, vale la regola dei nostri nonni: sotto i nostri cieli farà caldo in estate, freddo in inverno e in autunno pioverà.
La metodologia della predizione climatica soffre di un difetto irrimediabile che dimostrò sessant’anni fa Edward Lorenz, le infinite piccole variazioni nelle condizioni iniziali che rendono inaffidabile l’esito finale. L’atmosfera – scoprì – è un sistema deterministico caotico, dando inizio alla Teoria del Caos. Il calcolo determina una strana curva arricciata, a farfalla, di lunghezza infinita, detta attrattore di Lorenz. Di tutte le soluzioni matematiche finali, una sola è vera, ma ignota. E’ popolare la semplificazione detta effetto farfalla, dal celebre l’articolo di Lorenz intitolato Predittività: può il battito d’ali di una farfalla in Brasile determinare un tornado in Texas? Gli scienziati più seri parlano di probabilità, non di certezze. Le fedi come il climatismo, però, non conoscono sfumature. Il cambiamento climatico, per i suoi devoti, è certo, va nella direzione del riscaldamento globale ed è dovuto non a fattori naturali ignoti, ma all’azione umana.
Anni fa si diffuse l’acronimo LOHAS, (Lifestyle of Health and Sustainibility) stile di vita salutare e sostenibile. Oggi il fenomeno è diventato di massa, appoggiato da un gran numero di accademici, attori, politici, giornalisti, manager. Lo stile LOHAS rappresenta le più elevate classi sociali, domina i media e il dibattito politico. Incarna lo spirito dell’epoca e inclina a sinistra. Lontani i tempi in cui i partiti di sinistra volevano dare redditi migliori e opportunità ai più poveri. Oggi, solo l’élite progressista può permettersi viaggi costosi, mentre fa lucrosi affari con le lobby del clima. Per loro, il climatismo genera un doppio vantaggio. Possono elevarsi al di sopra della massa moralmente e materialmente: la folla proletarizzata viaggia in metropolitana, in bicicletta o su affollati treni di prossimità, loro si muovono in eleganti auto elettriche sovvenzionate dalle tasse di tutti. È la nuova morale, incurante che le batterie al litio della nuova mobilità siano frutto di attività estrattive di enorme impatto ambientale e dai drammatici costi umani (sfruttamento, salute, condizioni di lavoro).
Il secondo pilastro su cui si regge la politica climatica, dopo la dogmatica della colpa umana, è il ricatto della mancanza di alternativa, che sfocia nella proclamazione dell’emergenza. Lo stato di eccezione- lo verifichiamo con la dittatura sanitaria epidemica- esige sottomissione, che realizza combinando la paura della catastrofe con il timore di essere espulsi se non si è “fedeli alla linea” e la punizione per chi non si dichiara adepto della nuova fede. Funziona: crea vittimismo, conformismo e indignazione contro un potere “cattivo”, finalmente smascherato dai “buoni”, manipolati dai burattinai con consumato cinismo.
Annunciare la catastrofe non basta: bisogna che il messaggio sia incessante, caricato di urgenza e di paure sempre rilanciate. Ogni dubbio va combattuto costantemente su un ampio fronte. Funziona perché è stato creato un apparato di migliaia di funzionari “climatici” a tempo pieno nelle ONG, in fondazioni, agenzie, istituti di ricerca, autorità pubbliche, imprese, chiese e ovviamente nelle redazioni giornalistiche.
I lobbisti verdi, generosamente finanziati dai governi e dalle fondazioni private, tutte controllate da straricchi, primi responsabili dei guai ambientali, hanno una salda presa su tutto ciò che accade. E’ il potere di Fridays for Future, Amici della Terra, Greenpeace, WWF.Siamo investiti da un’informazione permanente a senso unico nei media pubblici e privati. Gli scettici – detti spregiativamente negazionisti come tutti coloro che dissentono dalle narrazioni imposte – non hanno praticamente alcun sostegno finanziario e diventano invisibili. Lo spirito del tempo verde è sacrosanto e onnipresente.
Nessuno è disposto a impegnarsi in un dibattito sulle incertezze della ricerca e dell’impatto sul clima, sui molti modi per affrontare il cambiamento climatico o sull’equilibrio tra costi e benefici. Nessuno riconosce pubblicamente che l’obiettivo di essere “climaticamente neutri” nel 2045 o nel 2050, è una fissazione arbitraria. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.
Un quotidiano liberal, la Frankfuerter Allegemeine Zeitung, ha scritto: “i bilanci degli Stati sono importanti poiché superarli significa superare la temperatura della terra, che provoca danni irreversibili, cioè cambia il clima per sempre.” Il bilancio in questione riguarda un’altra credenza “per fede” della narrazione verde, la quantità di CO2. L’assurdo è che la Germania per raggiungere zero emissioni e limitare il riscaldamento globale a 1,75 gradi, può emettere in totale a 6,7 gigatonnellate sino al 2029, la metà della quantità annua cinese!
Per il fisico Matthew Crawford “una delle caratteristiche più sorprendenti è che siamo governati da tattiche intimidatorie inventate per ottenere il consenso del pubblico. Alle sfide politiche dei critici, presentate con fatti e argomenti, non si risponde in modo amichevole, ma con la denuncia. Quindi, minacce epistemiche per risolvere l’autorità in un conflitto morale tra buoni e cattivi”. Vale non solo per il clima, ma anche per la dittatura sanitaria e ogni altro punto dell’agenda oligarchica. E’ il meccanismo che permette alla narrativa della “catastrofe climatica da evitare con urgenza” di diventare la base permanente di politiche lontane dalla realtà.
Infatti, dopo quasi 30 anni di politica di protezione del clima, il vento e il sole forniscono in Europa circa il 6,5% dell’energia. Nessuno crede che raggiungeremo il 100 per cento di energia rinnovabile in 25 anni. In compenso spenderemo enormi somme di denaro fingendo che sia così. Il conto, lo attestano le bollette energetiche, è a carico nostro. Circa l’84 per cento dell’energia mondiale continua a provenire da fonti fossili. Venticinque anni fa era l’86. Si prevede che potrebbe scendere al 73 entro il 2040, lontanissimo dallo zero.
Il calo delle emissioni tedesche negli ultimi dieci anni è stato di 200 milioni di tonnellate. Nello stesso periodo, la Cina ha aumentato le sue di 3 miliardi di tonnellate. L’inquinamento è trasferito da un’area all’altra di Gea, l’unico pianeta disponibile, come ripetono le anime belle.
Il cinque per cento dell’umanità ha un livello di ricchezza per il quale un sacrificio in cambio della piacevole sensazione di salvare il pianeta sembra un buon affare. L’altro novantacinque non è convinto che l’energia, gli alloggi, i viaggi, il cibo siano troppo a buon mercato e debbano diventare sempre più costosi. Siamo di fronte a un’egemonia culturale dell’allarmismo climatico senza alternative. I giovani sono educati nella minaccia di una catastrofe incombente. Se un politico affermasse che il cambiamento climatico è sì una sfida, ma che il mondo ha problemi più urgenti, penseremmo che è pazzo. La ricerca sul clima, che produce ogni giorno nuove scoperte e crea un panorama sempre più differenziato, è in gran parte ignorata. Rimane una sola politica: quella della paura.
Scienza significa valutare i dati, cercarne di nuovi ed essere pronti a esaminare ipotesi e prove con salutare scetticismo. L’ evidenza empirica può essere manipolata o utilizzata per mascherare l’ideologia e creare consenso a sostegno di tesi e ipotesi care al potere, lo stesso che finanzia le ricerche, sceglie e paga chi le esegue. Scienziati se supportano la volontà dei potenti, ciarlatani, negazionisti e ignoranti se si oppongono o chiedono chiarimenti.
La tendenza al riscaldamento globale e la sua natura sono messe in dubbio. Non molto tempo fa, esisteva consenso su una tendenza al raffreddamento a lungo termine delle aree terrestri del Nord America. Le affermazioni di consenso scientifico sul riscaldamento antropogenico non sono prive di controversie, ma nell’era dei divieti e delle verità di Stato non è più sorprendente che la versione ufficiale sia imposta punendo per via giudiziaria le opinioni dissenzienti.
Eppure il metodo scientifico prescrive di osservare, formulare ipotesi, prevedere, testare, analizzare e rivedere. La conferma sperimentale non può stabilire verità assolute poiché i test futuri potrebbero invalidare la teoria. In quanto tali, tutte le teorie sono provvisorie e soggette a revisione se appaiono prove migliori o contrarie. Piuttosto che applaudire la versione ufficiale, dovremmo celebrare l’incertezza e l’apertura alla base della scienza. L’ideologia fideistica del climatismo vuole che gli scettici vengano messi a tacere, perseguiti per crimini inseriti ex novo nei codici penali. Nel frattempo, l’insistenza sul “consenso scientifico” circa la natura e le cause dei problemi orienta i finanziamenti e le proposte di ricerca verso coloro che promuovono la visione dominante.
La regola è “follow the money”, segui il denaro. I finanziamenti affluiti a chi indaga sul cambiamento climatico hanno superato nel 2017, nei soli Usa, i 13 miliardi di dollari. La spesa totale per gli studi sul clima tra il 1989 e il 2009 ha raggiunto i 32 miliardi, più altri 79 in ricerca tecnologica e agevolazioni fiscali per energia verde. La perdita di sussidi e posizioni di potere sarebbe enorme se il riscaldamento globale o il cambiamento climatico fossero messi in dubbio, magari per le ragioni esposte riguardo la complessità e le infinite variabili.
Mentre la complessità del clima rende difficile valutare con precisione le tendenze, sembra che esistano meccanismi interni tendenti a stabilizzare, entro certi limiti, temperature e variazioni climatiche. Ad esempio, le nuvole e il vapore acqueo svolgono un ruolo dominante nel determinare le temperature globali medie. Ma non c’è un’idea chiara sulla risposta delle nuvole al riscaldamento attribuito a progressivi aumenti dell’anidride carbonica nell’atmosfera.
Le argomentazioni scientifiche sui cambiamenti climatici sono il fulcro delle imminenti politiche di “azione per il clima” nell’ambito del Grande Reset, la sedicente necessità dello sconvolgimento dell’economia globale. Le restrizioni alla libertà e all’attività privata imposte dai governi per la pandemia di Covid-19 sono probabilmente l’antipasto dell’espansione del controllo politico e tecnologico per affrontare il cambiamento climatico.
L’IPPC annunciò nel 1990 un “codice rosso” basato su vari fattori, tra cui l’aumento “irreversibile” del livello del mare. Sussistono prove dell’innalzamento del mare, ma interpretazioni alternative suggeriscono che l’effetto potrebbe essere di 3 pollici in un secolo, un tempo sufficiente per le contromisure. Il dibattito, invece, tende a enfatizzare il tono allarmistico, la scienza si fa ancella del potere. L’ esito è un neo feudalesimo in cui il dominio diventa assoluto, con la maggioranza ridotta a servi della gleba impoveriti per “buone cause”, narrazioni che si fanno fede: il climatismo, la sanitarizzazione della vita, nemiche della libertà e della prosperità. Leggiamo le nostre bollette e sarà chiaro: nessun concetto astratto o lontano, ma vita – e fregatura – quotidiana.