G.B. Vico costruì la sua Scienza Nuova attorno a postulati universali che chiamava “degnità”, condivisi da tutti gli uomini, confermati dalle vicende storiche. E’ assai conosciuto il brano seguente. “Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; né tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consegrate solennità che religioni, matrimoni e sepolture. Ché, per la degnità che idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon aver un principio comune di vero, dee essere stato dettato a tutte: che da queste tre cose incominciò appo tutte l’umanità, e per ciò si debbano santissimamente custodire da tutte perché ‘l mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo. Perciò abbiamo presi questi tre costumi eterni ed universali per tre primi principi di questa Scienza. “
In questa riflessione a cavallo tra filosofia, antropologia culturale e sociologia (scienze, queste ultime, non ancora nate al tempo di Vico) avvertiamo i rintocchi di una campana a morto per la civiltà di cui siamo i figli estremi. La religione– travolta dal materialismo, da infinite superstizioni e dal culto della scienza- è sparita dal nostro orizzonte, il matrimonio – con la famiglia suo corollario- è screditato, sfuggito come la peste, ridotto a stipula privata a cui è quasi estranea l’alleanza affettiva tra uomo e donna e il rilievo comunitario della nascita di figli. Il contratto, revocabile in ogni momento, è indifferente al sesso dei contraenti e presto al loro numero, in omaggio al poliamore, nome postmoderno della poligamia.
E poiché l’Occidente è attraversato da una sconvolgente pulsione di morte unita a un culto spurio, un singolare pan-ateismo animista nel quale si mescolano in un’infernale pozione il disprezzo di sé, la tensione verso un’indefinita energia cosmica e un naturalismo con tratti scientisti, è scomparso il rispetto per la morte e per il corpo defunto. Di qui nuove pratiche che saltano a piè pari i riti di sepoltura che gli uomini professano da migliaia di anni; diventano inutili i cimiteri, luoghi del ricordo e della custodia fisica dei resti mortali. Le ultime barriere violate, prova del carattere antiumano e necrotico della postmodernità, sono idee come quella di un professore svedese che, in nome della salvaguardia ambientale, propone un’umanità saprofita che si ciba dei cadaveri dei congeneri appena defunti.
Nel disprezzo radicale per la creatura umana e in nome del culto parareligioso tributato a una natura dal nome mutato in ambiente, l’ultima novità ha un nome sconosciuto ai più, inventato in area francofona, humusation, la trasformazione delle salme degli homines sapientes (?) in humus, la materia organica che si forma nel suolo (humus è il termine latino per “terra”) a seguito della decomposizione di materia vegetale e animale.
Nulla sapevamo della diffusione di questa pratica (e tecnologia), ma la navigazione in rete ci ha sbigottito: sono molte le pagine che propagandano con entusiasmo la riduzione della salma d’uomo a humus. Gelido conforto “panico” di fronte al nulla, una sorta di abbraccio finale – nella dissoluzione fisica- a una confusa anima mundi. O, per cavarsela con una battuta, il romanesco “consolarsi con l’aglietto” di chi è a digiuno, ovvero non crede più ad alcuna trascendenza e nemmeno allo speciale posto nel mondo della scimmia nuda e intelligente. In concreto, l’humusation, che ci azzardiamo a tradurre “umusazione” in lingua italiana- a sua volta a rischio di estinzione per l’indifferenza e l’esterofilia coloniale di gran parte dei locutori- è un processo controllato di trasformazione dei corpi umani – per l’azione di microrganismi presenti nei primi centimetri di terreno- in un composto sminuzzato che trasforma, in dodici mesi, i resti mortali in humus sano e fertile. Una simil resurrezione senz’anima e senza Sé. Traiamo dal sito humusation.org la sua appassionata giustificazione, sentimentale e culturale. “Perché l’umusazione? Perché a differenza della sepoltura e della cremazione, il procedimento crea un ricco humus che può essere utilizzato per rigenerare la terra. Ecologicamente ed economicamente, l’umusazione è la soluzione per permettere ai nostri corpi, alla fine della loro vita, di seguire dolcemente il ciclo completo di trasformazione. Riduco il mio impatto. Quando moriamo, generalmente abbiamo solo due opzioni per i nostri corpi: la sepoltura e la cremazione. Entrambi però sono molto inquinanti e interrompono irrimediabilmente il circolo virtuoso della vita sulla terra. Grazie all’umusazione è possibile rimediare a questi problemi.”
In nome di Gaia, cancelliamo la traccia – biologica e culturale- di noi stessi, in attesa di sparire come specie o di essere trasformati in cyberuomini ibridati con la macchina, peraltro inquinante ed energivora. Non resta che sparire, calare il sipario sull’ animale fastidioso che pretende di attribuire un senso a se stesso, alla vita, all’ universo. Un distillato di nichilismo. Il nulla “nulleggia”, scrisse Heidegger, ma anche la logica positivistica alla Carnap o Wittgenstein non se la passa granché bene, se il destino dell’uomo d’occidente è di oltrepassare il materialismo nell’abbraccio – mortuario- non con la Terra, ma con l’humus.
L’uomo occidentale non crede più a se stesso, a nessuna trascendenza e non intende neppure lasciare traccia di sé- come individuo, civiltà e forse specie. E’ cancellata anche la memoria consegnata a chi resta: normale, in una civilizzazione fatiscente che non riconosce padri e non vuole eredi. Si accontenta di diventare – con opportuni trattamenti tecnici- humus, come un vegetale qualsiasi o una carcassa animale. Nessuna orma dietro di sé, nessun nome, individualità o identità: un brandello di carne che affida una precaria eternità alla dissoluzione nei processi rigenerativi dell’ambiente naturale.
In quest’ottica, si comprende meglio la portata nichilistica della cultura della cancellazione e diventano meno oscuri i moventi dei mandanti di chi istiga giovani senza istruzione e senza speranza (una terribile miscela di inanità dell’intera esperienza umana: non a caso si chiamano Ultima generazione) a lordare o distruggere opere d’arte. Niente come l’arte- ossia l’eccellenza degli uomini migliori, la volontà di perdurare e trascendere la quotidianità, conferire senso, significato, grandezza alla creatura umana – rappresenta la distinzione, la diversità costitutiva dell’essere umano rispetto a ogni altra creatura.
Nessun animale dipinge, canta, inventa la musica come arte dei suoni, scolpisce, fa sgorgare poesia dal linguaggio, indaga i perché dei fenomeni naturali. Nessun altro che l’uomo attinge il pensiero astratto da cui nasce la matematica, chiave per decifrare i misteri del mondo fisico. Nessun’altra creatura ha il senso di sé, della propria finitudine e l’inesausta aspirazione all’infinito. Jorge Luis Borges arrivò a scrivere che “essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte”. Turba il nostro modo di animalizzarci perdendo l’ultimo riguardo di sé, il culto dei defunti e la sepoltura, che la liturgia cristiana chiama pietoso ufficio, dovere di rispetto, devozione religiosa in senso lato (religio: ciò che lega).
A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, scriveva Foscolo. Presto nessuno capirà più il significato del verso dei Sepolcri, parola del passato che sparirà dai vocabolari di domani. Contemporaneamente, liberato da tutto ciò che “non serve” immediatamente a un’esistenza animale, matrimonio e famiglia, fede trascendente e culto dei morti come eredità, proiezione e continuazione, autostima, l’uomo, con il lessico di Vico, “s’infierisce e si rinselva di nuovo”, cioè torna allo stato selvaggio, ferino, ma con la virtuosa giustificazione green. Dare la vita dopo la morte rigenerando la terra, recita uno slogan pro-umusazione. Magra consolazione per l’orgogliosa specie sapiens sapiens, ridotta a considerare il proprio corpo defunto rifiuto da smaltire ed a entusiasmarsi per il compostaggio umano come elemento dell’economia circolare che ci riconnette con la natura. “La sola pratica funeraria rispettosa al cento per cento dell’ambiente”, proclama la pagina iniziale di amisdelaterre.be. Amici della terra, nemici dell’uomo.
Il solco è tracciato e in sei stati Usa l’umusazione è già legale, con tanto di protocolli e tecnologie dedicate. L’ultimo arrivato è lo Stato di New York, capitale del progressismo globale. Nessun dubbio che gli interrogativi etici, fragili dubbi in tempo di mercato misura di tutte le cose, verranno travolti dal combinato disposto dell’ideologia neo-ambientale e degli interessi economici che si stanno formando. Superati alcuni inconvenienti al processo di umusazione dovuti alla persistenza di alcune parti del corpo, si correrà spediti verso la nuova frontiera postumana.
A causa della presenza di elementi umani nell’humus della terra coltivata, diventeremo- indirettamente- un po’ cannibali. In un film degli anni Settanta, Soylent Green, (I sopravvissuti), la sovrappopolazione e la povertà hanno convinto a legalizzare il suicidio assistito in luoghi chiamati significativamente Templi, non troppo diversi dai lindi ospedali dell’eutanasia e ora dall’ “humusarium” in cui si pratica la procedura di smaltimento umano, che- evviva- farà di ciascuno un metro cubo e mezzo di ottimo humus. Nel film, dai resti umani è ricavata una farina – il Solyent verde- che diventa- all’insaputa della gente- il principale alimento umano.
Giacomo Leopardi, nella sua lirica estrema, La ginestra o il fiore del deserto, così scriveva “son dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco, (…) e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami.” La differenza è l’”umana” gente, adesso spinta nel progetto totalitario transumano e disumano, mascherato da progresso e liberalizzazione. L’umusazione è presentata da alcuni sostenitori, tra cui il filosofo Gaspard Koenig, animatore di Génération Libre, organismo teso a “promuovere le libertà, tutte le libertà”, come un elemento di liberazione dell’uomo. In un testo diffuso attraverso la facoltà di Scienze Politiche della Sorbona, ripreso dalla stampa di lingua francese, Koenig descrive il compostaggio umano come “liberalizzazione della morte”. Il ragionamento è semplice e, dal punto di vista del soggettivismo radicale saldato all’ideologia green, non fa una grinza: quando una persona muore, dovrebbe poter disporre del suo corpo in modo da nutrire il pianeta.
Koenig stima – chissà in base a quali calcoli- che dall’arrivo in Europa dell’homo sapiens, cinquantamila anni fa, si siano accumulate oltre tre miliardi di tonnellate di cadaveri, “con grave rischio per la salute e l’ambiente”” e (ça va sans dire) trasmissione di virus attraverso la percolazione dell’acqua dei cimiteri. Un argomento assai suggestivo in tempi di Covid, nonostante la possibilità sia assai remota. Ma tutto fa, per diffondere la “buona“ causa. Gaspard Koenig elogia l’umusazione e ne propugna la legalizzazione in quanto, oltre ai benefici ambientali – “ci consentirebbe una vera scelta di ciò che facciamo del nostro corpo anche nella morte”. Sottolinea i benefici ecologici di questa tecnica, ma ritiene innanzitutto che non debbano essere posti vincoli o limiti all’ autodeterminazione soggettiva, in vita e dopo. “Le società occidentali sono state fondate sul principio della libertà, ma in realtà l’essere umano non ha una libertà totale sul proprio corpo. Divieto di partorire un figlio per un altro, divieto di prostituzione, divieto di tecniche funebri: oggi ci sono proibite una moltitudine di pratiche o scelte, senza che possano recare danno agli altri“.
Nessuna preoccupazione etica, non diciamo spirituale, nessun interesse per altro che non sia l’assoluta autodeterminazione, tanto da esigere con toni ispirati di conquistare la proprietà di sé, del proprio corpo vivo e del proprio cadavere: “liberalizziamo la morte”. Ce la faranno, nell’Occidente che è già morto e non lo sa. Che i figli degeneri delle più longeva civiltà apparsa sulla scena del mondo finiscano in compostaggio, una storia intera ridotta a un metro e mezzo di humus pro capite, ha elementi di grottesca comicità. Per restare in tema, se non fosse l’ultimo atto della nostra tragedia, diremmo: una risata ci seppellirà.