di Roberto PECCHIOLI
Chi scrive queste note ha dei seri problemi: anziché pensare di vivere nel migliore dei mondi possibili, quello delle “magnifiche sorti e progressive”, è convinto di sopravvivere in un gaio obitorio. Probabilmente è una particolare disforia, o magari una fobia, una di quelle nuove, uscite dal cappello da prestigiatore dell’estenuata post modernità. Cammina per la strada, ascolta la gente e non incontra i temibili omofobi e transfobi. Nonostante tutti gli sforzi, non si imbatte nelle quadrate legioni dei lesbofobi. Quanto ai “bifobi”, di cui ignorava l’esistenza, devono essere una setta chiusa, una loggia segreta con riti sconosciuti a noi comuni mortali.
Invece, vediamo miserabili immagini di un essere umano di sesso (o genere?) apparentemente maschile seminudo, con i tacchi, legato a una croce, che, nei pressi di San Pietro mette in scena, immaginiamo tra l’euforia dei suoi sodali, un Gesù Cristo gay. In attesa che qualcuno di questi signori e signore rappresentino – buttiamo lì un nome a caso- un Maometto transessuale (paura, eh?), pare che le istituzioni italiane applaudano freneticamente. Infatti, a norma dell’articolo 7 del ddl Zan all’esame del Senato, già approvato dalla Camera, si istituisce addirittura una giornata nazionale “contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia, la lesbofobia”. Entusiasmante: caccia ai nuovi mostri e silenzio di fronte all’insulto continuato nei confronti di qualcuno che per molti è il figlio di Dio e resta comunque uno dei fondatori della civiltà – morente – nostra, divenuta il gaio obitorio che piace ai progressisti.
Obitorio e per di più gaio: questa è la diagnosi. La prognosi è severa, anzi infausta ed è l’unico sollievo. Una cultura nichilista ha come esito la morte: sega da sé l’albero disseccato su cui siede. Come non chiamare obitorio una civilizzazione che ha oltrepassato la nera previsione di Heidegger del “vivere per la morte”? Se siamo anziani, malati, o semplicemente depressi, possiamo (dobbiamo?) chiedere l’eutanasia, ossia, se non abbiamo la forza o il coraggio di suicidarci, chiediamo allo Stato di predisporre dei boia in camice bianco per lasciare questo mondo. Nessun transito verso qualsiasi “al di là”, solo il nulla. Siamo radicalmente materialisti: la scienza non riconosce nessun “altrove”, nessuna dimensione diversa da quella materiale. Questo, secondo la fisica quantistica, non è poi neppure vero, ma il popolo-gregge non lo sa.
Tacciono le religioni stabilite, intimidite dal fracasso altrui e in crisi di fede, incerte tra l’igienizzante al posto dell’acqua santa e l’interruzione dei riti, veicolo di virus e batteri. Puoi anche scegliere – questa sì è libertà- se alla morte essere trasformato in compostaggio, come nello stato americano di Washington, se disperdere le ceneri in mare – la traccia della vita deve essere cancellata a ogni costo- o diventare un soprammobile in un’urna a casa di un parente. Anche il culto dei morti- elemento comune di ogni civiltà- crolla dinanzi all’obitorio-Occidente. C’è anche, in Svezia, chi propone che i cadaveri umani diventino cibo, un cannibalismo saprofita che conduce a una sconvolgente regressione morale e culturale. Ci sbagliamo: è un progresso che aiuta la salvaguardia dell’Ambiente (con la maiuscola).
Eutanasia, ma solo se hai la fortuna di essere nato e vissuto. Confesso che ho vissuto, scrisse Pablo Neruda. Non lo potranno mai dire i non nati per colpa – o merito, scegliete voi- dell’aborto legale a carico dello Stato. Strana società che paga non per riprodurre se stessa (primum vivere…), ma per sopprimere in anticipo sulla nascita milioni di nuovi membri. Può essere una triste necessità, l’aborto, ma non riusciamo a considerarlo un diritto. Abbiamo torto, anzi siamo fuorilegge: il parlamento europeo ha approvato l’informativa che definisce l’aborto un “diritto umano” e ingiunge imperiosamente ai paesi membri di eliminare ogni ostacolo per accedervi. La maggioranza rumina e digerisce tutto, come le mandrie bovine, e passa inosservato, resta non percepito il passaggio storico, il portone spalancato sul nulla, l’allegro suicidio collettivo.
Se un atto, un comportamento, una condotta, un desiderio sono dichiarati diritti umani, occorre rimuovere ogni ostacolo che lo limiti o vieti. Sarebbe un inammissibile violazione di un diritto che ogni (fortunato) cittadino europeo possiede per il fatto di essere tale. E’ interessante chiedersi come potranno goderne gli umani di sesso maschile, che, almeno finora, non portano figli in grembo. Forse potranno obbligare la madre dei figli che hanno concepito– è un loro diritto umano! –all’interruzione di gravidanza (come è più gentile e gaio questo sintagma burocratico rispetto al cupo “aborto”!). Lo scopriremo vivendo nel manicomio Occidente.
La posizione pro vita non è “diritto umano” e quindi verrà assoggettata divieti e restrizioni. L’obiezione di coscienza, vietata: non si può limitare un diritto umano! Largo dunque al boia obbligatorio, medico o infermiere. Incredibile davvero la torsione mortuaria, tanatologica, della nobile professione medica, il cui primo comandamento – nel buio del passato- era di non fare del male al paziente, lavorare per la vita. Eutanasia e aborto: due facce dello stesso obitorio. Gaio perché si avvia al patibolo con l’allegria incosciente di chi ha perduto il senno e chiama ogni follia libertà, anzi diritto. Se abortire è un diritto umano, essere contrari- in tutto o in parte- diventa una credenza illecita, una falsa religione, un crimine da reprimere, codice penale alla mano.
In qualche paese, sta diventando legge il cambio di sesso “biologico” dei minori, anche in assenza del consenso dei genitori. I figli, quelli superstiti, sopravvissuti all’aborto-diritto umano, non sono dei genitori, ma dello Stato o di chi esercita il potere. Quale progresso. L’Europa matrigna, intanto, accusa di ogni nefandezza l’Ungheria per aver approvato una norma che impedisce la propaganda LGBT ai minorenni. Il primo ministro dei Paesi Bassi- uno Stato in prima linea nella distruzione della povera Grecia con l’arma del debito – afferma che i magiari sono fuori dai “valori europei”. Se questi sono i “valori “(ovvero ciò che vale) Dio ci liberi da quell’Europa e ci restituisca la patria della civiltà.
Uno dei “valori”, adesso lo sappiamo, è la cultura della morte. Farla finita con i non nati è “Europa”, è un diritto umano. Lo è usare i feti abortiti chirurgicamente per lavorazioni industriali (profumeria, estetica) e per la preparazioni di pozioni- si deve dire punturine, altrimenti c’è la censura! – che sono terapie geniche spacciate per salvavita contro i virus. Abortire non è più una misura di salvaguardia della salute della madre, o un atto di triste volontà: è un diritto umano, inattaccabile, inalienabile. Barack Obama, saltando a piè pari cinque millenni almeno di civiltà umana, chiamò allo stesso modo il matrimonio tra persone del medesimo sesso.
Nel gaio obitorio vige una regola ferrea: chiamare diritto ogni desiderio o sproposito, spacciarlo come atto di suprema libertà: il successo è assicurato per chi possiede la schiacciante maggioranza dei mezzi di comunicazione. Non ci stanchiamo di ripetere un assioma di Von Hajek, liberale nemico di ogni monopolio: chi possiede tutti i mezzi, determina tutti i fini. Si riferiva all’economia, ma è vero sempre. Se il Dominio chiamasse diritto umano portare per copricapo un vaso da notte, dalla sera alla mattina sorgerebbero partigiani irriducibili del pitale, e la moda in un attimo offrirebbe al gregge- oops, al pubblico- vari modelli, da giorno, da sera, multicolori, per tutti i gusti ammessi da lorsignori. Delatori carichi di rancore sarebbero pronti a denunciare i dissidenti del cappello- vaso da notte, nemici del popolo “risvegliato”.
Intanto si accaniscono contro i giovani “irresponsabili” che vogliono divertirsi. Ohibò, corrugano la fronte pensosa i neo puritani, dimenticando di essere stati loro a diffondere e imporre il modello del consumo (anche di sé, purtroppo), dello sballo, dell’alcool e a considerare perfino la droga come una ragazzata. Ovvio, la droga di massa, mezzo secolo fa, l’hanno inventata lorsignori, come arma di controllo e cretinizzazione delle generazioni. Di passaggio, è diventata anche un formidabile affare economico, a mezzadria con la criminalità che difendono e coprono nei loro paradisi finanziari.
Un gaio obitorio che, a pensarci bene, assomiglia molto al mondo di Lucifero, l’angelo caduto. Che cosa combatteva Lucifero, se non la creazione? L’Occidente post moderno, progressista, risvegliato, obituario, ma allegro, scioccamente felice, fa la stessa cosa. I due tabù postmoderni sono la razza e il sesso. Si nasce bianchi, neri, gialli e non si può cambiare. Orribile: Prometeo non può sopportare un mondo in cui non può creare se stesso e neppure è sfiorato dall’ assurdo logico di questo desiderio. Ugualmente, perché essere, definitivamente, dalla nascita alla morte, uomo e donna? Meglio il “genere “, liquido come i tempi, ma i liquidi sono informi e assumono la forma del recipiente in cui sono versati.
La definizione di genere secondo il ddl Zan, ovvero in base alla legge, è la seguente: “qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso. “Chiarissimo, vero? L’identità “di genere è l’identificazione di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.“ In attesa della transizione, chiamatemi Samantha, oggi mi sento donna. Domani non escludo di identificarmi in un codice a barre o nel QR, dopodomani chissà. Disgraziati i tempi in cui i pazzi conducono i ciechi, disse Re Lear. Per Aldous Huxley, l’umanità del Mondo Nuovo avrebbe liberamente scelto nome e cognome. Distruggere le identità ricevute, rendere arbitrarie, provvisorie, fluide e cangianti quelle auto create: un programma che finisce prima a Babele, poi degenerazione sociale, poi, fortunatamente, all’obitorio.
Arriverà, più presto che tardi, dopo l’ubriacatura che dobbiamo avere la fortezza di sopportare (ora la chiamano resilienza) qualcuno che smantellerà il gaio obitorio e rifarà, su nuove basi, una civiltà. Per questo abbiamo il dovere di resistere, di non coricarci anche noi nel freddo lettino di morte e rendere testimonianza. L’arduo dovere a cui siamo chiamati è il mestiere di Don Chisciotte.
Sulla spiaggia sabbiosa di Barcellona, il Cavaliere della Bianca Luna – in realtà l’amico di sempre, il baccelliere Carrasco che vuole riportare a casa Don Chisciotte – lo sfida e lo sconfigge nelle armi. Gli chiede di riconoscere che Dulcinea non è la dama più bella del mondo. Dulcinea era una rozza contadina, ma Chisciotte non può rinunciare alla sua missione: è un cavaliere e non tradisce il giuramento. Alla mercé del suo avversario, la lama puntata alla gola, con un filo di voce così parla: “Dulcinea del Toboso è la più bella donna del mondo e io sono il cavaliere più sfortunato della terra, poiché la mia debolezza ha defraudato questa verità. “Chisciotte si è consegnato a Dulcinea senza condizioni, senza aspettative. Non è la debolezza del braccio del cavaliere che mette in ombra Dulcinea, ma l’opinione mutevole degli uomini che vuol cambiare la sostanza della verità.
Miguel de Unamuno segnalava che in quella scena si condensa l’intera filosofia del Chisciotte. Non importa se, combattendo per la verità, ci sconfiggono e ci umiliano: la verità resta e tornerà a splendere. Don Chisciotte combatte le sue battaglie poiché le ritiene nobili e giuste, sa accettare serenamente l’insuccesso poiché è convinto della verità che difende. Per questo non ammette compromessi e non si ritrae dal combattimento. Sa che la verità deve essere difesa contro vento e marea. Bisogna lottare contro il proprio tempo, la maledetta “modernità” – che significa solo al modo odierno e non superiore o inferiore – anche se le speranze di vittoria non riguardano oggi.
Don Chisciotte non era pazzo: sapeva discutere saggiamente con elevata virtù, proprietà di argomenti, purezza di linguaggio. La sua è la pazzia di chi non accetta un mondo che gli appare orribile e lo combatte senza dimenticare il giusto, il vero, la virtù. Vinto, Don Chisciotte vince misteriosamente ed è il primo ad aver capito che i mulini a vento – ovvero gli inganni del mondo- sono veri giganti. E’ il solo ad averli riconosciuti. Noi oggi riconosciamo, dietro i lustrini di un circo abbagliante di cui siamo spettatori e vittime, un obitorio a cielo aperto, che si ammanta di colori, arcobaleni e musiche, un paese dei balocchi in cui l’Omino di burro- lo spirito del tempo- ci porta a svendere la nostra anima, a rinunciare al formidabile privilegio di essere uomini liberi, senzienti, giudicanti, amici della verità che vediamo e non servitori della menzogna diffusa a reti unificate.
In tempi di menzogna universale, chiamare obitorio l’Occidente è già un atto rivoluzionario. Scriveva Tacito, lo storico romano contemporaneo di grandi imperatori come Adriano e Traiano, che sono felici i tempi in cui puoi provare i sentimenti che vuoi e ti è lecito dire i sentimenti che provi. Orribile il tempo in cui tocca sguainare la spada per affermare che l’erba è verde e la neve bianca.