“Blondet si occupa di ogni materia dello scibile umano…” : ancora una volta un lettore lancia un commento del genere, naturalmente con l’idea di screditare le informazioni che vi dò. Se ciò fosse solo irritante, pazienza; ma invece questa frasetta nasce da una totale ignoranza della professione e funzione del giornalista.
Il motivo originario per cui il giornalista esiste, la sua giustificazione etica, è di essere “un modesto ausiliare della democrazia”. La professione è nata in paesi e in secoli dove i cittadini si sollevarono contro le tasse dei re al grido: “No taxation without representation”. Ossia: tu, o re, quando vuoi infliggerci una nuova imposta, devi informare noi. Noi cittadini. Gente del popolo che noi eleggeremo per rappresentarci. Tu parla con loro, re, e cerca di convincerli. Se non ci riesci, noi (loro) ti votiamo contro. Ma possiamo anche decidere che la spesa è utile alla comunità e giusta, e allora votiamo pro.
Non è una gran cosa, la democrazia. Nemmeno è una cosa mistica (tipo “La costituzione più bella del mondo”), ma una cosa pratica e modesta da contadini e bottegai e contribuenti. Il “popolo” si arroga il diritto-dovere di “decidere”. E non è un’arroganza insensata: la legittimità della pretesa non sta nel fatto che il popolo è migliore del re o più intelligente; sta nel fatto che sarà poi il popolo, la cittadinanza, a subire le conseguenze delle decisioni politiche. Quindi vuole avere voce in capitolo. Ed ha strappato questo diritto (dovere) in epoche da noi ormai dimenticate.
Fra le cose che abbiamo dimenticato c’è questa: che la decisione “politica” non è mai una scelta fra il bene e il male, perché altrimenti sarebbe facile scegliere. Quasi sempre, invece, è la decisione fra due meno peggio. Sono scelte “discutibili”: per questo appunto vanno discusse. Pubblicamente, ché non vengano imposte in segreto.
Una scelta in una comunità ha sempre degli effetti collaterali sgraditi. Anche lo stanziamento per fare una strada di cui quasi tutti sentono il bisogno suscita obiezioni – per esempio di chi si vede espropriato il terreno o la casa. Decisioni più grandi e complesse – come alleanze internazionali , ma anche le nozze gay, la legalizzazione della cannabis o dell’eutanasia – possono avere effetti collaterali disastrosi, alla lunga, sulla società intera; effetti che poi sarà la cittadinanza nel suo insieme a subire. La maggioranza come tale non ha –e le deve esser chiaro – nessuna garanzia di infallibilità. Quel che le deve esser chiaro, è che poi sarà lei ad accollarsi i costi, e non potrà dar la colpa “al governo” o al re.
E’ la (magra) consolazione in cui consiste la democrazia.
E qui entrano (entravano) in funzione i giornali e i giornalisti: si documentano sul problema in discussione – spesso un difficile argomento tecnico – e lo spiegano all’incolto pubblico, che tuttavia deve “decidere”. E deve “conoscere per decidere”. Tutto qua.
Chi diffida e si stupisce che il giornalista è un “tuttologo”, non sa che il giornalista fa’ questo: si documenta. E’ la sua specializzazione professionale. Se è un “tecnico”, lo è in questo: nel documentarsi. Il giornalista politico, davanti ad un problema d’interesse pubblico, anzitutto “studia”. Si cala in archivi. Intervista addetti ai lavori. La sua deontologia e capacità sta nell’identificare e valutare le fonti, i dati ufficiali e quelli alternativi, vagliarli, approfondirli, selezionarli . Per offrire poi al “popolo” i mezzi di conoscenza perché “decida”.
Ma attenzione, non voglio dire che il giornalista sia un apostolo. Ancor meno che sia infallibile e limpidamente onesto. Nient’affatto. Il giornalista è per essenza “di parte”, lo è anzitutto perché anche lui è un cittadino e “parteggia” a favore di una decisione contro un’altra, ma anche perché viene pagato da editori o padroni per promuovere una decisione e non la contraria.
Non credete a chi vi ripete che il giornalismo onesto ha come motto: “I fatti separati dalle opinioni”. E’ il trucco di poteri che si vogliono sottrarre alla discussione, il trucco dell’opinione ufficiale, tipicamente del’imperialismo anglosassone. I “fatti” non possono essere separati dalle “opinioni”, per un motivo elementare: i “fatti” hanno un disperato bisogno di essere interpretati.
[1 Quale “fatto” più oggettivo del sorgere e tarmontare del Sole? Eppure gli Aztechi interpretarono questo chiarissimo fatto in modo tale, che ritennero necessario strappare il cuore a migliaia di prigionieri di guerra, altrimenti il Sole non sarebbe sorto l’indomani].
Bisogna prendere il rischio di interpretarli, i fatti, ovviamente sapendo che nell’interpretazione si è di parte.
Il giornalismo è “sporco”, ma ciò non diminuisce affatto la sua funzione di (modesto) ausiliario della democrazia. Il giornalismo “di parte” mette comunque in luce effetti collaterali, dannosità della decisione che oppone, che il popolo ha diritto (e dovere) di sapere, perché poi ne sopporterà lui le conseguenze. Altri giornalisti, dalla parte opposta, mettono in luce i motivi per votare pro…nasce il dibattito pubblico. Alla fine del quale il popolo prende una decisione: anche lui sapendo che la maggioranza non dà alcuna infallibilità. La maggioranza si prende il rischio, tutto qui. Si assume la responsabilità. Il rischio della libertà.
Personalmente, quando ho cominciato a fare il giornalista (1968) e m’è piaciuto, ho assunto il programma di non essere superficiale, visto che dovevo “servire il popolo” in questo modo. Ho messo a frutto una tendenza che avevo acquisito al liceo classico di allora, che cercava di formare degli “umanisti”: persone con una cultura generale, una “curiosità” per ciò che accade nel mondo del pensiero, una conoscenza e passione per la storia, che consentiva poi di affrontare anche questioni scientifiche, tecniche, economiche di interesse collettivo – in una parola, politiche. Ci sono state anche le personali scoperte e passioni che sono entrate come esperienza utile al mestiere: letterarie (i grandi russi, il dirizzone per Kafka, Bulgakov, Solgenitsyn) e filosofiche (Evola, Guénon, Ortega y Gasset – quest’ultimo come filosofo della politica d’oggi), letture di arte come sintomo della patologia moderna (Sedlmayr), memorabili interviste con Teller, con Frankl, con Speciani ed altri – la tenuta di grandi inchieste di economia al Giornale di Montanelli, la fase di inviato speciale di guerra nei conflitti balcanici fino a Sarajevo e Pristina, fino all’11 Settembre…se permettete, è tutta un’esperienza vissuta che ho messo al vostro servizio per consentirvi di conoscere per decidere: ossia di essere cittadini. Per poi sentirmi chiamare tuttologo.
In fondo, però, non è colpa vostra. Un po’ siete chiamati a considerare giornalisti, che so, quelli che stanno davanti a Montecitorio per strappare una dichiarazione al volo al politico che esce; quelli che si occupano “solo” di ciclismo, o del Festival di San Remo; gli specializzati in gossip; i ricevitori di intercettazioni scandalistiche; quelli che organizzano “i dibattiti tv”; i battutisti, i comici e i teppisti radiotelevisivi, Cruciani, Parenzo…sì lo so, sono giornalisti anche quelli. Generalmente guadagnano un sacco di più del giornalista come sono – o sono stato – io . Se vanno “in video”, è facile che guadagnino 10 o 20 volte lo stipendio di un giornalista: il che li definisce. Sono le paghe che corrono nel mondo dello spettacolo: ne fanno parte. La loro specializzazione sta nella battuta pronta, nel togliere la parola a chi dice cose che possono disturbare i padroni del vapore, nel confondere e fare impappinare chi ha bisogno di riflettere prima di rispondere. E’ una grande qualità molto ben pagata, la prontezza, l’improvvisazione.
Ma c’è un altro motivo per cui si diffida del giornalista come “tuttologo”, e mi sembra molto meno innocente. E’ che si dà fiducia agli “esperti”. Credete che siano “i tecnici” ad avere un sapere “vero”, oggettivo, non di parte; quelli non sono dilettanti come il giornalista, quelli “sanno le cose”. Economisti cattedratici, premi Nobel, oncologi di grido, Kommissari di Bruxelles. Vogliamo fare qualche nome di “esperti” che venerate, o avete venerato? Mario Monti, Carlo Azeglio Ciampi, Padoa Schioppa, Mario Draghi, Veronesi [2 Come sapete, per il mio cancro al polmone, invece di rivolgermi a Veronesi, mi sono rivolto a …Marcello Pamio, un “dilettante” autore di un opuscolo sugli effetti della chemio. Era facile valuarlo come fonte: disinteressato, intellettualmente onesto. In seguito, amico fidato. Se mi fossi affidato al tecnico, non sarei qui a scrivervi. Grazie ancora, Marcello.]…ma a Bruxelles ce n’è una serqua, di tali esperti. Ancor di più ce ne sono all’Onu, al WTO, al FMI, all’Organizzazione Mondiale della Sanità.
I tecnici non discutono con voi dilettanti. Sono quelli del pensiero unico: “Non ci sono alternative” all’euro, al mercato globale… l’ideologia vigente non la presentano come ideologia, ma come la verità.
In troppi avete preferito affidare a loro le decisioni, senza dover discutere voi i pro e i contro, scontrandovi nel dibattito pubblico con “dilettanti” e giornalisti “di parte” per capire a ragion veduta come decidere – come assumervi collettivamente la responsabilità di scelte collettive, di cui sarete poi voi, e i vostri figli, a pagare le conseguenze.
Avete rinunciato a una cosetta da poco: la democrazia. Non vi interessa più pretendere “No taxation without representation”. Sono i tecnici, gli esperti, che vi impongono le tasse e in generale quel che è bene per voi – che è sicuramente e solo bene, perché, loro, mica sono di parte, mica fanno gli interessi di qualcuno, mica sono “sporchi”. Con loro, non correte i rischi – i rischi della libertà, dell’assunzione di responsabilità. Loro sono i venerati maestri. Anche se a tratti vi accorgete che hanno governato nel modo più disumano e demente; che hanno portato l’Europa alla rovina; che la loro “tecnicità” è solo la maschera che il Potere ha fornito loro per sottrarli alle critiche, dando loro cattedree lauree – non ne cavate le dovute coclusioni.
E cioè che la democrazia, è cosa da “dilettanti”. Aiutata da tuttologhi che v’informano come sanno e possono, senza pretendere che di darvi un’opnione discutibile, appunto perché la possiate discutere. Da cittadini che non sono “esperti” ma – da padri di famiglia – devono conoscere per decidere.
Ora, avendo la tecnocrazia ceduto alla democrazia, la discussione su temi discutibili essendo stata rimpiazzata dal pensiero unico (la verità ufficiale), la sovranità essendo stata consegnata agli esperti, effettivamente non si sente più bisogno di giornalisti tuttologhi, dilettanti che si documentano, e parteggiano. Disturbano il Sistema, che non vede perché dovrebbe pagarli, e irritano gli ex-cittadini. Il futuro è di giornalisti specialisti: del gossip, dello sport, degli insulti e delle parolacce per radio. Insomma l’entertainment. Personalmente, son contento di non dovermi guadagnare la vita in questo giornalismo.