di Roberto PECCHIOLI
Alleluia: l’anno 2018 finisce in gloria. Il Financial Times elegge uomo dell’anno nientemeno che George Soros, l’arcimiliardario finanziere di origine ungherese quasi novantenne. Il quotidiano londinese è la voce del potere finanziario internazionale apolide, di proprietà della Nikkei, la società giapponese che controlla la Borsa di Tokyo. E’ considerato universalmente “autorevole” e “prestigioso”. Potremmo anzi dire che i due aggettivi stanno alla Bibbia economica della City esattamente come il bravo medico è un luminare, il relatore di tesi di laurea chiarissimo professore e il collega esperto è eminente.
Dunque, inchiniamoci alla scelta del giornalone dei mercati e festeggiamo come merita l’uomo dell’anno, rendendo altresì omaggio a posteriori all’ex primo ministro Gentiloni, antico esponente dell’ultrasinistra, che lo ricevette con tutti agli onori a Palazzo Chigi nel maggio 2017. La creatura più nota di Soros è Open Society, società aperta, un’organizzazione non governativa (ONG) finanziata con somme a molti zeri, tanto è denaro nostro, sottratto agli attoniti cittadini comuni con le peggiori speculazioni, pardon le più abili operazioni finanziarie. Il budget annuale è di un miliardo di dollari, dei quali alcuni milioni spesi in Italia per sostenere associazioni pro immigrazione e anti discriminazione.
Grazie, generoso filantropo! Sì, filantropo lo definisce l’articolista del Sole 24 Ore nel dare la lieta novella della nomina del Financial Times. La scelta, ammette il FT, è politica: “Di solito scegliamo la persona dell’anno solo in base agli obiettivi raggiunti, stavolta l’abbiamo scelta anche per i valori che rappresenta: Soros è l’alfiere riconosciuto della democrazia liberale e della società aperta, idee attaccate sistematicamente dai populisti”. Bum, smascherati, colpiti e affondati!
L’umorismo sembra diventato una specialità dei gazzettieri di Confindustria, poiché sostengono senza arrossire che “ quella del FT è chiaramente anche una scelta di resistenza: Soros è additato ovunque nel globo, presso una certa opinione pubblica, come l’origine di tutti i mali, l’uomo che in virtù dei suoi soldi e delle speculazioni degli anni Novanta sulla lira e sulla sterlina, ha il potere – secondo le bacheche di Facebook e i siti di complotti – di manovrare l’opinione pubblica di Europa, Americhe, Paesi sperduti della sconfinata Asia, formare e far cadere governi, decidere recessioni e causare improvvisi crolli di Borsa, spostare carovane di migranti da un continente a un altro, svuotare addirittura quei continenti per riempirne altri (Mosè si era limitato a separare le acque per un fugace passaggio). “
Il buon vecchio George, al contrario, è un innocuo benefattore incompreso dalla suburra populista, un generoso filantropo, vecchia parola dal retrogusto massonico. Secondo Paolo Mieli, giornalista autorevole e prestigioso almeno quanto il FT, dietro gli attacchi alla persona dell’incolpevole Soros si cela il solito demone, l’antisemitismo. Eh no, dottore e professore Mieli, non ci stiamo. George Soros non è il nostro modello, né l’uomo dell’anno per motivi assai più concreti, gli stessi che, in filigrana, elenca il Sole 24 Ore. La rassicuriamo: l’uomo dell’anno non ci piacerebbe per ciò che rappresenta e fa neanche se fosse del nostro stesso quartiere e parlasse con l’accento della nostra città. Davvero, è ora di smetterla finita con questo ricatto morale, teso a demonizzare, screditare a prescindere, espellere dal campo il dissidente senza ascoltarne e confutarne gli argomenti.
Soros non è “l’origine di tutti i mali”, ma negli 90 ha davvero attaccato la sterlina e la lira italiana con danni immensi per i governi, gli Stati, i risparmiatori, le popolazioni; la democrazia liberale diventata plutocrazia oligarchica e mondialista meriterebbe difensori migliori del miliardario ex ungherese. La società aperta teorizzata da Karl Popper non è poi così spalancata. Chi non crede nelle sue libertà, fondamentalmente ridotte a una sola, quella del mercato padrone, non ha diritto a farne parte, può essere represso e diffamato, a partire dalla stigmatizzazione delle parole. I populisti sono pessimi soggetti, l’accusa di far parte di quell’orribile consorteria è rivolta a giudizio insindacabile dei sostenitori della mitizzata open society a chiunque si opponga alla globalizzazione, all’immigrazione indiscriminata, al potere finanziario, alla privatizzazione di tutto, alla precarizzazione sociale, all’Europa, alla Banca Centrale eccetera eccetera. La democrazia è liberale nel senso che comandano loro, Soros e colleghi, poche centinaia di superuomini, liberi di fare ciò che vogliono delle nostre vite.
Piaccia o meno a FT e al Sole24 Ore molti milioni di persone considerano nemico ciò che rappresenta il loro uomo dell’anno. Nemico poiché si comporta come tale e, parafrasando un anti eroe del cinema di Hollywood, Forrest Gump, nemico è chi il nemico fa. Soros non è certo l’unico, probabilmente non è neppure il peggiore, ma chi attacca la moneta sovrana, chi manipola i mercati finanziari, chi ha in mano l’emissione monetaria, finanzia movimenti di popolazioni, manovra l’arma letale del debito e possiede tutto, compresi i media di informazione e intrattenimento, non può pretendere gli applausi delle vittime. Aveva ragione Ezra Pound, non tutti i liberali sono usurai, ma tutti gli usurai sono liberali.
Ciò che più indigna di costoro e dei loro servitori è la pretesa di convincerci che “loro” fanno ciò che fanno per il nostro bene, sono illuminati e superiori a noi, il popolaccio, vanno quindi onorati e ringraziati. Noam Chomsky li ha chiamati i padroni dell’umanità. Un grande psichiatra italiano, Vittorino Andreoli, evidentemente lettore disattento del Financial Times, considera il sistema finanziario vigente una delle contraddizioni più evidenti della logica e dei principi di razionalità.” Di certo questa economia, come sistema di gestione della ricchezza, è giunta alla totale follia e, almeno per questo, è giustificato che persino uno psichiatra tenti di inserirla dentro la sua disciplina” (Homo Stupidus Stupidus, pag.97).
L’arroganza del potere ha raggiunto vette di sfacciataggine impensabili fino a pochi anni fa. La scelta del FT ne è la prova. Non può essere derubricata a buffonata, come titola il quotidiano di Vittorio Feltri: Soros è tutt’altro che un buffone, Duca di Mantova non Rigoletto. Interessanti sono anche le voci dal sen fuggite agli apologeti del tycoon: promotore e finanziatore delle rivoluzioni “colorate”, paladino delle “spontanee” insurrezioni nell’Europa dell’Est. Buone notizie, intanto, per chi temeva che l’università fondata da Soros e rifiutata dalla nativa Ungheria dell’arcidiavolo Orbàn non avrebbe trovato una sede. L’Austria del cancelliere Kurz, sovranista a giorni alterni, sarà felice di ospitarla.
Umoristica è anche l’immagine di Soros circondato, sotto l’attacco di orde di mascalzoni informatici “per il suo attivismo umanitario e la sua visione liberale del mondo”, nonché l’idea che la nomina a uomo dell’anno sia “una scelta di resistenza” in un mondo malvagio. Il partigiano George, a capo della valorosa brigata di banchieri, finanzieri e speculatori oppressi dal popolo, non cede neppure un metro, come nella saga di Giarabub!
Grazie a lui conosciamo il vero volto della democrazia liberale, della società aperta e dei suoi premurosi camerieri. Per quanto ci concerne, noi membri della plebaglia ignorante, populista e retrograda non abbiamo eletto alcun uomo o donna dell’anno. Tuttavia, abbiamo simpatia per certi francesi di campagna, Pierre, Jean e Marie qualunque, vestiti con il giubbotto giallo, i gilè della rivolta contro Macron, il Rothschild-boy. Non meriteranno la qualifica di personaggi dell’anno, ma sappiamo che non sono finanziati dall’ Open Society del filantropo Soros: ci basta.
ROBERTO PECCHIOLI