Stefano Fontana
“Vaccinarsi è un atto d’amore”: il tweet di ieri di papa Francesco non solo è banale e inconsistente, ma mette in mostra una tendenza ormai consolidata a intervenire e dare direttive precise su temi tecnici, che sono opinabili e comunque non sono al centro della missione della Chiesa.
Non si sentiva per niente il bisogno di una simile banalità detta nientemeno che dal Pontefice regnante. È vero che Twitter non permette di scrivere trattati articolati, ma non è forse che si sceglie Twitter proprio per dire banalità senza approfondire nulla? È vero che la frase è la sintesi di un videomessaggio alle popolazioni dell’America Latina, ma non è che ascoltando tutto il contenuto il giudizio cambi di molto. Non diamo, quindi, la colpa a Twitter, anche se lasciar perdere Twitter sarebbe una gran cosa per il Vaticano e il papa: obbligherebbe ad articolare discorsi un po’ più ragionati.
Assistiamo a cambiamenti considerevoli nel magistero. Un intervento come questo di papa Francesco sui vaccini – subito ripreso da tutti i media del mondo, complici di un twitteraggio planetario campione nel diffondere messaggi a patto che siano banali e vuoti – appartiene di fatto al campo della Dottrina sociale della Chiesa, dato che la vaccinazione è un tema sanitario, sociale e politico. Il Twitter (e anche il videomessaggio) di Francesco sarebbe quindi da attribuire al campo del magistero sociale. Ebbene, proprio il magistero sociale ha sempre detto di non avere ricette per le singole, particolari, complesse, contingenti questioni sociali, quelle che devono essere attentamente considerate in tutti i loro aspetti e in tutte le loro sfumature e che quindi hanno bisogno di ascolto delle competenze e della complessa valutazione morale delle situazioni.
Il testo più famoso circa questa incompetenza del magistero nelle singole situazioni è – giustamente o meno – il paragrafo 4 della Octogesima adveniens di Paolo VI (siamo nel 1971 e si sta commemorando la Rerum novarum). Lì si dice così: “Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e nemmeno la nostra missione”. Spetterà alle comunità cristiane e ai fedeli laici debitamente formati esaminare le singole situazioni contingenti, molte delle quali – osserva poi la Nota Ratzinger del 2002 – sono così complesse da non permettere una indicazione univoca di comportamento.
Ora, la situazione della pandemia e del vaccino è proprio una di queste situazioni, di fronte alle quali il magistero non dovrebbe pronunciare delle ricette superficiali come è appunto il tweet “vaccinarsi è un atto d’amore”, ma dovrebbe fornire i grandi orientamenti religiosi e morali (sempre ambedue insieme) e i grandi criteri della Dottrina sociale della Chiesa e lasciare poi che siano altri a decidere se veramente vaccinarsi sia un atto d’amore, dato che potrebbe anche essere esattamente il contrario. La scelta della vaccinazione riguarda questioni sanitarie, sociali, economiche, politiche, religiose che non possono essere rinchiuse in un magistero che procede per slogan semplificatori.
Il cambiamento cui stiamo assistendo è interessante e preoccupante. Il magistero non insiste più sui grandi criteri teologici e morali, ma interviene sulle piccole cose che, proprio per la loro contingenza, sono piccole e hanno bisogno di essere illuminate e poi conosciute nel dettaglio. Proprio il contrario di quanto il magistero ha sempre detto di doversi fare. Esso non è mai intervenuto nelle questioni strettamente tecniche, ora invece interviene proprio e prevalentemente in queste: vaccinazione, riscaldamento globale, energie alternative, riciclaggio dei rifiuti, boicottaggio della plastica, rinuncia al carbone entro il 2050, positività dello slow food, sanità pubblica (Francesco, dopo l’operazione chirurgica subita di recente ha anche detto che bisogna assolutamente difendere la sanità statale “gratuita”: giudizio tecnico legittimamente contestabile che esula dalle competenze del papa).
Mentre la morale cattolica contesta la casistica e la lascia (perfino troppo) alla coscienza personale, il papa interviene su una questione che più di ogni altra dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale, dopo avere eventualmente indicato i valori in gioco. Da un lato si lasciano aborto ed eutanasia, suicidio assistito e gender, alla coscienza personale e dall’altro si disciplinano magisterialmente le vaccinazioni. I primi a dolersi dei twitter pontifici dovrebbero essere i teologi cattolici progressisti, quelli per i quali non c’è legge morale che non passi dalla coscienza e secondo i quali la Chiesa non deve dare leggi ma formare coscienze. Ora, invece, vaccinarsi è diventata addirittura una legge d’amore.
Questo trapasso da un magistero dai grandi orientamenti ad un magistero del piccolo cabotaggio, questo passaggio dai principi di riflessione alle spicciole direttive d’azione (anche le “direttive d’azione” dei documenti sociali della Chiesa non erano per niente particolari ma mantenevano un notevole respiro di prospettiva), questa transizione dal “non sarò io a dirti cosa devi fare qui e ora, io ti dico i principi che ti devono guidare” al “fai così: vaccinati!” debba comunque essere spiegato, tanto è ormai evidente. E infatti non solo è spiegabile ma è persino da ritenersi ovvio se si considera che la tendenza attuale della Chiesa è di vedere il mondo dall’interno del mondo stesso. Così facendo essa perde molto in visuale e naviga a ridosso dei fatti e delle situazioni, che non riesce più a vedere dall’alto. Vedere le situazioni dall’alto vorrebbe dire astrarsene, per questo bisogna parlarne dal basso, appiattiti sulla situazione stessa. Anche se in questo modo si assume lo stesso criterio di chi quella situazione l’ha prodotta, e non a caso.