IL MALE RADICALE

                                                                    di Roberto PECCHIOLI

Lo stato di salute di una civiltà può essere valutato da differenti punti di vista. Uno dei più recenti – e grotteschi- è quello dell’identificazione tra progresso e civiltà, o meglio civilizzazione, nel senso della distinzione tra kultur e zivilisation. Si diventa civili, secondo la vulgata del progressismo un tanto al chilo, se si inseriscono nel corpo giuridico norme opposte alla legge naturale, specie in ambito morale. L’estensione continua dei cosiddetti diritti, dichiarati universali, ha condotto all’attuale disordine, in cui si è arrivati a codificare i diritti degli omosessuali in quanto tali, tanto che gli Usa, Stato guida dell’Occidente, si sono spinti, nel febbraio 2015, a istituire la figura dell’inviato speciale americano per lesbiche, omosessuali, bisessuali e trans (LGBT). Mai nella storia umana si era arrivati a assolutizzare specifici ed esclusivi diritti legati all’orientamento sessuale, anzi omosessuale, ovvero di coloro i cui rapporti non permettono la riproduzione sociale in senso biologico, la procreazione naturale. Un salto culturale spaventoso, che ci proietta al più basso dei livelli. L’aspetto che intendiamo qui analizzare è il rapporto della società contemporanea, autoproclamata la più civile della storia, con i suoi figli, bambini e ragazzi.

Apparentemente, il nostro tempo ha reso patrimonio comune attitudini, normative e difese dell’infanzia e dei minori sconosciute nel passato. Non vogliamo disconoscerli, né fare di ogni erba un fascio: sappiamo di quanto amore siano circondati molti bambini ed adolescenti, né quanto siano forti i sentimenti di rigetto nei confronti di chi sfrutta, usa, violenta, maltratta il figlio dell’uomo. Tuttavia si deve registrare la persistenza di costumi e drammi antichi insieme a nuove forme di male contro i più giovani. Male radicale l’abbiamo definito nel titolo, poiché una società che non ami, protegga, difenda ed educhi al bene i suoi figli non è degna del nome di civiltà, né può avere un futuro.

Il libro estremo di Ida Magli, scritto in età grave – aveva compiuto i 90 anni e dopo pochi mesi sarebbe morta- si intitola Figli dell’uomo, ed è una spietata confutazione di tutta la retorica sparsa attorno all’infanzia. La grande antropologa si pone dal punto di vista del bambino e dimostra in maniera drammatica di quanta violenza, di quanto male i bambini siano stati vittime nel corso della vicenda umana. Sacrifici rituali, abbandono, sfruttamento sessuale, costrizioni di ogni tipo, persino puerofagia, cioè orrendo cannibalismo. La stessa Bibbia ha passi raccapriccianti, stranamente passati sotto silenzio: nel Levitico 26,29 si afferma” mangerete perfino la carne dei vostri figli”, mentre nel secondo libro dei Re è ordinato” sfracellerai i loro bambini” (8-12).

Ida Magli, non cristiana e probabilmente atea, sottolinea l’enorme cambio di paradigma intervenuto con la figura di Gesù, colui che chiama i bambini a sé, li prende in braccio e proclama (Matteo 18-6) “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, meglio sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina (…) e fosse gettato negli abissi del mare”. Ecco dunque che dobbiamo riflettere su noi stessi, sull’enorme responsabilità che ci siamo presi continuando a fare del male ai figli dell’uomo. Basta attingere alle cronache quotidiane per prendere atto che ci sono genitori che uccidono i propri figli o li usano per abominevoli pratiche sessuali, spesso traendone vantaggio economico da altri adulti. In molte parti del mondo si praticano torture come l’infibulazione femminile o si costringono bambini di pochi anni a diventare soldati combattenti.

Dinanzi a ciò, sembrano poca cosa finanche il lavoro minorile o l’utilizzo di bambini per l’elemosina. L’Inghilterra padrona del mondo del XIX secolo ci ha lasciato, attraverso Charles Dickens, memorabili pagine sulla piaga della miseria e del lavoro infantile, sul fatto che bimbi di pochi anni fossero arrestati e costretti in galera. Oscar Wilde, che fu carcerato come corruttore di minorenni, raccontò con tratti di profonda umanità la terribile esperienza di piccoli imprigionati e sottoposti alla punizione dell’isolamento.

In forme diverse, sembra che poco sia cambiato. In particolare, lascia senza fiato la nostra incapacità di educare. I giovani, e i bimbi soprattutto, imitano ciò che vedono, specie i comportamenti di coloro di cui si fidano, come i genitori, e tendono a credere gli insegnamenti dei maestri. A Napoli, la città italiana in cui è più viva la retorica dell’umanità e della bontà (i figli sono pezzi di cuore fu il titolo di un popolare film di Mario Merola, icona della napoletanità popolana), un ragazzino è stato accoltellato senza motivo da un gruppo di coetanei. La madre della vittima, con molta lungimiranza e fuori dalla logica del finto perdono che tranquillizza ed esenta dalle responsabilità, ha ricordato come il futuro dei giovanissimi carnefici sia segnato: altra criminalità, altri reati, sempre più gravi, un cursum dishonorum di cui è responsabile un clima generale che non ha difeso i più giovani, al contrario li ha usati per i propri scopi e comunque ha del tutto rinunciato ad insegnare, indicare la strada. Come Pilato, ce ne siamo lavati le mani: facile, comodo, come l’ipocrita stupore del giorno dopo.

Il problema è che per educare occorre possedere valori e principi da trasmettere. Nessuno come i più piccoli coglie l’insincerità, l’ipocrisia o la malafede dei “grandi”. I figli dell’uomo sono il prodotto dei padri e del clima sociale che osservano, l’unico che conoscono. Si è liquefatta la funzione delle agenzie di senso – Chiesa e scuola – la famiglia è implosa con effetti travolgenti. Il male radicale è tutto ciò che sporca, degrada e spinge in basso fin dall’infanzia. D’altronde, è difficile immaginare il ruolo educativo di generazioni assenti e conquistate all’attimo, i devoti del carpe diem.

Non si può amare il figlio dell’uomo se si è banalizzato l’aborto, considerato la semplice espulsione di un grumo di cellule fastidiose, formatosi per mancanza di cautela in rapporti sessuali spesso casuali e frutto unicamente dell’istinto. C’è chi ha abortito – o imposto di abortire, non scordiamo le responsabilità maschili-  per non perdere l’opportunità di una vacanza o di un lavoro. In ogni caso, i bambini sono un gran problema per i civilizzati occidentali del III millennio. Bisogna accudirli costantemente, consolare il loro pianto, insegnare tutto. Beati gli animali, ci disse una volta una giovane donna alle prese con il primogenito: dopo lo svezzamento, i cuccioli vanno per la loro strada, poiché la dotazione naturale, il patrimonio filogenetico consente loro di affrontare l’avventura della vita. L’animale incompleto, l’essere carente ma intelligente che è l’uomo deve essere accompagnato per lunghi anni sul sentiero. Che disgrazia l’ingegno!

Una donna di acuta sensibilità, Simone Weil, ricordò l’importanza del radicamento per gli esseri umani fin dall’infanzia, descrivendo con grande partecipazione l’alienazione, cioè lo sradicamento, nella condizione dei giovanissimi figli degli operai. La verità è quindi che l’uomo continua ad essere homini lupus ed ancor più puero lupus, belva verso il bambino. Non si spiega altrimenti il fenomeno terribile della pedofilia, niente affatto nuovo, ma che ha assunto caratteristiche inedite, da riassumere in una, l’idea che tutto sia un mezzo, e gli esseri umani siano cose, da usare per i propri scopi senza scrupoli. Può essere lo sfruttamento come forza lavoro a basso costo, il cinico utilizzo della pietà diffusa verso i piccoli mendicanti, ed è, purtroppo anche il possesso del corpo infantile per un piacere vizioso, aggravato oggi dalla diffusione delle immagini, il turpe fenomeno della pedopornografia.

Non sfugge al male l’indottrinamento che avviene nella quotidianità, attraverso l’esposizione alla violenza delle immagini e delle situazioni, ma anche alle suggestioni della macchina pubblicitaria. E’ noto che una parte rilevantissima dell’apparato della propaganda commerciale è rivolto ai bambini e ai ragazzi: più facili da colpire, privi di filtri, non ancora in possesso dell’esperienza per distinguere vero e falso, bene o male. Di più, convinti da un sistema criminale che scopo della vita sia correre a consumare, tuffarsi senza limiti in ogni esperienza, alla mercé di tutto poiché il bene e il male dipendono esclusivamente dal nostro giudizio. Intanto impediscono la formazione del pensiero critico, affinché crescano generazioni ignoranti, dipendenti da un sapere strumentale e immediato, manipolabili come la plastilina.

Viviamo sempre più tra contraddizioni ed opposti. Molte famiglie soffocano i bambini – più numerosi che mai i figli unici, privati del confronto con i fratelli – per troppo amore, cure eccessive, protezione oltre ogni logica, finendo per indebolirne ulteriormente il carattere ed esporli alle insidie di un mondo sempre più complesso e in cui si celano violenze e cattiverie di ogni genere. Il fatto che i mezzi siano diventati tanto potenti non ha cambiato in meglio l’indole predatoria dell’animale uomo: al contrario, liberato dai vincoli morali, dal rispetto della legge naturale e persino dai pregiudizi protettivi della comunità, indifferente alla dimensione spirituale, ignaro della trascendenza, l’uomo regredisce a scimmia sapiente, sino a compiere, per interesse o appetito, le azioni più ripugnanti.

Nel 1996 un medico e uomo politico appartenente ad una famosa famiglia marxista, Giovanni Berlinguer, scrisse un saggio sul traffico di organi le cui vittime privilegiate sono bambini e ragazzi. Il suo titolo è illuminante, La merce finale.  Finale è lo stadio di una società in cui i freni etici sono tanto deboli, ed i mezzi tecnici ed economici tanto forti che il figlio dell’uomo è utilizzato come magazzino di pezzi di ricambio, previo assassinio. Negli ultimi anni sono scomparsi nella sola Italia migliaia di bambini e ragazzi. Ne dette notizia senza battere ciglio il ministro Alfano, ed è evidente che nella maggioranza dei casi la scomparsa è da attribuire alle forme più efferate di delitto che l’umanità conosca, lo sfruttamento sessuale e l’omicidio a scopo di espianto di organi.  Qualche minore sarà stato venduto come schiavo, o come combattente, alcuni, i più fortunati, avranno alimentato un altro mercato di cui non è percepita la miseria morale rivestita di altruismo, quello delle adozioni illegali.

Dobbiamo ammettere che di tutto questo si parla assai poco, come del fenomeno crescente dei minori e dei bambini che arrivano da soli sui barconi dell’invasione clandestina. Il destino dei più è segnato: degrado sociale, sfruttamento, riduzione a merce, schiavitù, persino morte per alimentare traffici indicibili, come ricorda alle coscienze il libro di Giovanni Berlinguer.

I figli fortunati, quelli che crescono nella bambagia e nelle comodità sono a loro volta vittime di altra natura. Fragilissimi, esortati a non crescere e a non impegnarsi, convinti dalla scuola specchio di una civiltà malata terminale persino a non riconoscersi nell’identità maschile o femminile, spinti nelle braccia della precocità di tutti i desideri sino ad esaurire nell’immediato stimoli ed esperienze, tenuti in una perenne infanzia dell’anima. Il mercato tritura tutto ciò che può essere fatto oggetto di scambio economico, profitto, compravendita. Prescrive anzi che nulla debba sfuggire alla logica del prezzo, nessun patrimonio è indisponibile, niente è sottratto alla forma merce. Esiste quindi non solo una moda per i bambini, ma addirittura concorsi di bellezza a loro riservati, con tutto il contorno di trucchi, belletti, esibizione, diseducazione, brame malate.

Peter Pan più il Paese dei Balocchi, mentre ogni impulso davvero naturale viene negato o represso. Pensiamo ad un certo grado di violenza nei maschietti, un sentimento virile negato e colpevolizzato: devono diventare imbelli, dimenticare il loro istinto, mentre non hanno quasi più padri, fratelli maggiori, insegnanti, modelli maschili da imitare. E’ così strano se la violenza tanto compressa, che le società tradizionali sapevano organizzare, incanalare e sublimare, produca tanti stupidi bulletti, protagonisti di episodi come quello di Napoli, ma anche violenza di gruppo, vigliacche forme di emarginazione a carico di coetanei e, più tardi, il volgare cinismo carrierista ed amorale?

Anni fa, all’ apparire sul mercato dei videofonini unito allo spettacolare sviluppo delle reti sociali furono facili profeti coloro che ne prevedevano un uso miserabile da parte di molti. Come sempre, non sono i mezzi ad essere negativi, ma bambini e ragazzi non possono sottrarsi al male se nessuno osa insegnare o educare, proibire quando necessario, se viene revocato il giudizio morale, lasciato al criterio soggettivo di personalità ancora fragili e immature. Possiamo stupirci della precoce sessualità – e ovviamente degli enormi problemi relativi – dei ragazzi se vedono quel che vedono, in rete, in televisione e per la strada? Molti giovanissimi, perfino bambini, sono disposti a qualsiasi cosa per ottenere ricariche, apparati informatici e telefonici, abiti “firmati” ed altri beni di consumo. Sono consapevoli purtroppo, ma banalizzano, perché questo è il clima generale in cui vivono. La merce finale è la loro vita, rubata dai mercanti di morte, ma anche resa povera, infeconda, da chi ha promosso la riduzione di ciascuno a cosa, materiale umano.

Per questo, possiamo credere di vivere in un mondo civilizzato, ma non fingere che sia anche civile. Il comportamento schizofrenico nei confronti nel figli dell’uomo, i figli nostri, ne è la prova.  Se tutto, anche la persona è un mezzo, uno strumento, una cosa, persino un deposito di parti e pezzi staccati da utilizzare all’occorrenza e con il cartellino del prezzo, vittime siamo tutti, ma prima di ogni altro i più piccoli. L’uomo lasciato a se stesso, a cui è stato espiantato il senso morale e quello religioso della vita, è il più feroce degli animali, l’unico a considerare prede i suoi stessi figli.

Il male radicale contro i piccoli è una costante della nostra specie, per quanto ci turbi ammetterlo. Le culture che hanno spezzato i legami con la comunità, irriso quelli di sangue, dimenticato il senso della trascendenza che ci separa drasticamente dagli altri esseri, non possono vivere d’altro che di rapporti di forza. Riemerge la ferocia primigenia, la brutalità, l’oscurità malamente nascosta dietro la finta razionalità moderna. Il bottino più facile, la preda più scontata è il più piccolo, il più debole: il figlio dell’uomo.

L’ iconografia perfetta, nella sua durezza, è quella di una delle pitture nere di Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli. Il dio è rappresentato in una nudità quasi oscena, scarmigliata come la barba grigia su un viso stravolto su cui spiccano gli occhi allucinati. L’atto è quello di divorare un bambino, un figlio, colto dall’artista nella parte posteriore del corpicino, con l’accecante luminosità del rosso del sangue che contrasta violentemente con i toni scuri dei corpi e il nero tenebroso dello sfondo. Ciò che toglie il fiato dello spettatore è lo sguardo di Saturno/Crono, un misto di aggressività e orrore. La Rivoluzione francese e l‘incendio napoleonico – il dipinto è del 1821 – avevano mutato, sfigurato l’Europa in maniera irreversibile. Il sismografo dell’artista colse quel mutamento radicale, e lo smarrimento altrettanto totale dell’uomo privato dei vecchi principi, senza fedi o punti di riferimento, nudo davanti alla materia, alla carne della sua carne che diventa cibo, con lo sguardo sbarrato davanti al Nulla che avanza. E’ il trionfo della Bestia intelligente, impotente e terrorizzata di fronte al proprio destino di morte, tanto da divorare la sua umanità nel sangue dei figli.

Il male radicale ci ha posti al servizio della Merce Totale: l’innocenza, la bellezza, la vita stessa dei nostri discendenti. Una civilizzazione terminale, una disinfettata camera mortuaria senza sacramenti. Bontà astratta verso i lontani, concreta violenza contro i vicini, tanto prossimi da essere i figli nostri.

ROBERTO PECCHIOLI