Momento topico dell’evoluzione del diritto penale europeo, era stato il Consiglio europeo di Tampere del 1999.
Nella proposta di decisione quadro che ne era nata e nei suoi sviluppi (DQ 2002/584/GAI), paludati dai consueti proclami eurocratici di libertà e di magnifiche sorti e progressive, avevano preso corpo principi che devastavano l’ordinamento costituzionale e penale italiano.
Per veicolare il tossico senza seri sussulti di coscienza, nel Belpaese si contava forse sulla tradizionale superficialità ideologica con cui i nostri governanti sono soliti accogliere le proposte europeiste. E probabilmente anche su un radicato, secolare spirito di sudditanza di larghi strati della società italiana nei riguardi degli altri europei.
Invece – fatto memorabile – si era sviluppato un confronto serrato sul tema, con cui si era segnalata all’attenzione del pubblico e degli specialisti meno attenti l’esistenza di una proposta europeista che prevedeva l’inimmaginabile.
Inimmaginabile come dovrebbe esserlo, ad es., la possibilità di essere puniti chissà dove – l’Europa è grande – per un fatto commesso in Italia, in spregio al principio costituzionale e di diritto naturale del giudice – la ripetizione è d’obbligo – naturale.
Inimmaginabile perché in quell’incredibile polpettone “giuridico” si stabiliva la consegna (anche) di cittadini italiani a Stati dell’UE, a fini penali, per fatti non previsti come reati dalla legge italiana. Inimmaginabile perché scardinando il principio di legalità, segnatamente declinato come tassatività e tipicità della legge penale, si individuavano 32 reati in una maniera genericissima, ulteriormente aprendo le cataratte di un euroarbitrio che è qui possibile tratteggiare solo per sommi capi.
Basti pensare – un esempio per tutti – al reato di “razzismo e xenofobia”, con cui si rendeva possibile impiegare concetti del tutto vaghi ed eminentemente ideologici in chiave e su scala euro repressiva.
Nonostante la martellante pubblicità eurofila, a dispetto del Corriere, della Repubblica e del coro mediatico egemone, si erano levate molte voci a condannare l’euromandato: dal professor Vincenzo Caianiello, già presidente della Corte costituzionale, che aveva definito la proposta europeista “giacobina”; al presidente ceco Vakclav Klaus; al guardiasigilli on.le Castelli, che si era dichiarato pronto a dimettersi se l’euromandato
fosse passato senza alcune capitali modifiche; all’avv. Randazzo, presidente dell’Unione della Camere penali italiane; ad una lunga lista di intellettuali che avevano sottoscritto un articolato manifesto di denuncia sul tema; alla sinistra italiana meno avvezza ai salotti.
Anche la Francia aveva modificato la propria Costituzione allo scopo di introdurre l’euromandato, con ciò confermando la portata eversiva dell’istituto europeista rispetto all’ordinamento francese.
La Corte costituzionale tedesca, a riprova dell’estrema gravità del colpo di mano attuato dall’Europa, nel 2005 aveva posto rimedio agli errori commessi annullando la legge tedesca di recepimento dell’euromandato…
E così, a dispetto delle geremiadi dei proponenti il ddl italiano di recepimento del mandato di arresto europeo – in particolare dei tre onorevoli magistrati diessini: Kessler, Finocchiaro e Bonito -, anche il governo Berlusconi aveva eretto un argine alle deviazioni più gravi e sovvertitrici di quell’istituto, pur pervenendo ad un esito che resta comunque critico, soprattutto sul piano teoretico.
Procura europea: prospettiva gulag, atto secondo?
Giriamo pagina.
Oggi l’UE ha varato una disciplina che sottrae ancora una volta sovranità agli Stati membri in un settore delicatissimo e cruciale quale quello penale: è stata istituita, nonostante manchi l’unanimità, una Procura europea, competente in materia di reati finanziari transfrontalieri.
L’Italia della passata legislatura ha ormai aderito a questa novità (Reg. UE 2017/1939) ed i margini per una azione di contenimento sono stretti: il tema è già in fase di concretizzazione in Parlamento.
Sorge egualmente un primo interrogativo di portata generale: è opportuno continuare a cedere sovranità al Moloch unionista? È opportuno fornire nuovi strumenti a chi in tutta evidenza – in spregio ai principi che proclama – mal tollera che le province UE, le quali almeno nominalisticamente parlando sono ancora Stati sovrani, possano godere di una conveniente autonomia?
È vero che oggi il nuovo istituto europeista è stato studiato in maniera assolutamente meno rozza rispetto all’euromandato.
Restano egualmente enormi dubbi.
La Procura europea dovrebbe vedersi riconoscere una prima competenza in tema di reati finanziari, sul presupposto superficialmente formalizzato (v. Reg. cit., cons. n. 3) che gli Stati membri non sono “sempre” (?) adeguati per gestire questa materia (sussidiarietà).
Quali sono in concreto gli studi ed i dati che dimostrano l’inettitudine della magistratura italiana a trattare la materia dei reati finanziari di valenza transfrontaliera, tenuto conto, oltretutto, degli strumenti giuridici unionisti già esistenti ed in buona parte attuabili nel rispetto della sussidiarietà (Dir. 2107/1371)?
Anche poi se questi presupposti fossero fondati – benché non dimostrati – colpisce che la competenza della Procura unionista sia predicabile, secondo criteri insidiosi e fumosissimi, ad es. quando “la reputazione delle istituzioni dell’Unione e la fiducia dei cittadini dell’Unione” siano gravemente minacciati, e comunque
sempre tenuto conto che la competenza stessa andrebbe esercitata “nel modo più ampio possibile”
(considerr. nn. 59 e 64).
Una cosa è certa: l’UE norma così, in maniera spesso ambigua ed unilaterale – senza un vero confronto – e predatoria delle sovranità nazionali.
Nel labirinto del Minotauro della sterminata produzione normativa unionista c’è dentro di tutto: proclami assertivi, proposizioni al condizionale, grandi principi e la loro negazione.
Le regole dell’UE, in effetti, richiamano alla mente i famigerati wuerstel di Bismarck: se il cittadino vuole dormire bene, ammoniva il cancelliere prussiano, è meglio che ignori come si confezionano le leggi e le salsicce (soprattutto quelle così rigorosamente omogenee della tradizione nord europea).
Non a caso la Procura europea non fa in tempo a nascere per i reati finanziari, che già l’UE pensa di approfittarne per sottrarre ulteriori competenze agli Stati.
Gli unionisti colgono infatti l’occasione del summit che si terrà in Romania il 9 maggio 2019 per provare adestendere le competenze della Procura europea ai reati di terrorismo (artt. 83 e 86 Tfue).
Insomma, visto che gli Stati membri più fiduciosi hanno già promesso all’UE una mano, l’Unione si affanna immediatamente per appropriarsi anche di un braccio, a livello continentale.
Siamo in presenza di un colpo di coda, fra i tanti possibili, di una classe eurocratica che a maggio rischia di tornare a casa, pur comunque mantenendo – non bisogna dimenticarlo – fortissimi legami con la classe
euroburocratica ancora in sella.
Manca il tempo – ed in fondo non avrebbe neppure molto senso farlo – di approfondire la direttiva 2017/541/UE sul terrorismo, con gli immancabili, mille interrogativi che ne conseguono.
Di fronte a questo metodo, ora strisciante, ora arrogante, e quasi immancabilmente raffazzonato di erodere le fondamenta degli Stati ed i loro spazi di libertà, non è saggio impantanarsi in una discussione il cui presupposto è la fiducia in un interlocutore di cui sarebbe stolto avere fiducia.
Non è assolutamente prudente estendere le competenze UE al terrorismo ed alle sue innumerevoli declinazioni.
Al contrario, sarebbe necessario contenere l’emorragia in atto; pretendere riforme radicali, linearità, sussidiarietà e partecipazione reali degli Stati e delle loro istituzioni sovrane al processo unionista; rifiutare una volta per tutte produzioni normative a carattere torrentizio ed ambiguo, somministrate agli europei – malamente coperte da una mano di vernice istituzionale – allo stesso modo in cui il piazzista rifila le sue
dubbie merci ai propri clienti.
È infine opportuno tener presente che i settori di sovranità penale ceduti assoggettandoci alle regole unioniste rischiano di essere ceduti per sempre, a causa della forza eversiva degli ordinamenti nazionali che ha l’UE.
Saremo sempre meno padroni di noi stessi: salvo aspetti non ancora ben chiariti (v. caso Taricco II), l’ampiezza del nostro recinto di libertà verrà infatti “interpretata” dalle competenti istituzioni unioniste. È questo che vogliamo?
Recentemente, intervistato da La Verità, con l’esperienza che gli proviene dal fatto di essere uno statista, un professore di materie economiche, una persona anziana che ha vissuto direttamente la storia sovietica, Valclav Klaus ha voluto nuovamente ammonire i suoi ascoltatori: attenti perché, anche se forse non ve ne rendete conto, l’UE assomiglia molto all’URSS.
Non è affatto sensato sottovalutare lo spirito di dominio e di coercizione che anima questa UnionE.
Saverio Agnoli