di Roberto PECCHIOLI
Individuare il nemico, chiamarlo con il suo nome e mostrarne le contraddizioni è l’operazione preliminare di ogni battaglia culturale, sociale o politica. Il nemico, lo sceriffo di Nottingham del nostro tempo, è il neoliberismo. La difficoltà più grande non è mostrarne i difetti, ma indicarne la natura totalitaria. Nel caso della narrazione neoliberale, la definizione, che dobbiamo al filosofo della politica americano Sheldon Wolin, è quella di totalitarismo invertito. Ciò in quanto millanta con successo una natura opposta, la maschera di una società aperta, liberale, tollerante, democratica, il contrario dei totalitarismi del passato recente. Si tratta di una sfacciata menzogna. Il totalitarismo sta vincendo in Occidente con pelle d’agnello, occultando il suo vero volto. Il ritorno di prassi totalitarie, considerato impossibile dagli ingenui, è la logica conseguenza del sistema di governo/dominio chiamato neoliberismo.
Occorre muovere dalla chiarificazione dei significati. Nella definizione comune, figlia delle esperienze del XX secolo, esito delle riflessioni di pensatrici come Hannah Arendt, il totalitarismo è un “sistema politico autoritario in cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della politica, della cultura, e alla repressione poliziesca” (Treccani). Sembrerebbe l’opposto del regime vigente, senonché la politica, i partiti e gli Stati sono stati destituiti dall’economia e dalla finanza, che li utilizza per mantenere le forme liberali e le procedure democratiche. Nela definizione citata, sostituiamo politica con economia e finanza, ed il carattere totalitario del presente emergerà senza ombra di dubbio. Il potere di chi possiede l’intero apparato economico e finanziario, i mezzi di comunicazione e impone la sua cultura attraverso il dominio sul sistema educativo ha un unico nome: totalitarismo.
Si rende dunque indispensabile smascherare il sistema per costruire un progetto, una mappa di futuro alternativa destinata a chiudere la lunga pagina dell’egemonia di oligarchie che, sotto l’apparenza della libertà, sempre più celata dal giogo della paura e dal debito, hanno imposto il feudalesimo postmoderno. Le ragioni del successo del nuovo totalitarismo sono la logica conseguenza del sistema politico forgiato dal liberalismo. Intendiamo riferirci alla farsa cui è ridotta la democrazia attuale, in cui ciò che conta è la volontà di una minoranza esterna potentissima. Totalitarismo invertito è il momento politico in cui il potere delle cupole finanziarie e industriali transnazionali smette di mostrarsi come fenomeno esclusivamente economico e si trasforma in potere globalizzato che esautora gli Stati e riduce al silenzio i popoli.
Il sentimento dei cittadini diventa irrilevante, i loro desideri disprezzati, la democrazia sequestrata. Senza attaccare in forma esplicita l’idea di governo in nome del popolo, ne hanno svuotano i contenuti, cooptando nell’oligarchia i membri della classe politica, ridotta, con le parole di Costanzo Preve, a gruppo dominato all’interno della classe dominante. Avanza un’antidemocrazia chiamata di volta in volta “governance”, regole dei mercati, autorità monetarie, investitori, un pilota automatico che è vietato infastidire con la volontà popolare o il principio di maggioranza. Le reazioni sono liquidate con disprezzo dai padroni di tutto, a partire dal discredito di cui il potere circonda il termine populismo.
L’opinione di Alain de Benoist è illuminante. “I populisti non vogliono meno democrazia, ne vogliono di più. Piuttosto, vogliono integrare, se non sostituire, la democrazia rappresentativa con la democrazia partecipativa, esercitata continuamente e dal basso secondo il principio di sussidiarietà. La critica che fanno verso la democrazia liberale si giustifica con la crisi della rappresentanza e il fatto che le democrazie liberali si sono trasformate in oligarchie finanziarie, indifferenti al destino delle classi medie e popolari. Carl Schmitt ha giustamente affermato che una democrazia è più democratica perché meno liberale. Rousseau osservava che in una democrazia rappresentativa e parlamentare il popolo è sovrano solo il giorno delle elezioni: il giorno dopo, la sua sovranità viene confiscata dagli eletti che sono quindi liberi di agire come credono.” Al servizio dei loro burattinai, aggiungiamo.
Tutto è sibillino, rovesciato, falsificato al fine di suscitare la smobilitazione civile delle masse, condizionando l’elettorato a partecipare solo per brevi periodi, controllandone il livello di attenzione, promuovendo la successiva distrazione sino all’apatia.
A tal fine, si utilizza senza scrupoli l’intrattenimento più volgare e, concretamente, l’insicurezza lavorativa e sociale come mezzo di demoralizzazione collettiva. Il principio di cittadinanza è privatizzato come tutto il resto: non siamo che produttori a basso costo, consumatori a debito, folle plaudenti al fischio del padrone. Ogni riforma del “mercato” del lavoro – l’uomo è una merce e riformare è una delle parole magiche dal significato invertito- ha l’obiettivo di creare lavoratori precari, perciò cittadini docili, timorosi, piegati al ricatto. La paura di perdere il lavoro e non poter pagare i debiti indotti dal desiderio di consumo inibisce qualsiasi petizione di cambiamento, giustizia, democrazia reale.
Wolin descrisse con lucidità la realtà distopica in cui siamo immersi da oltre vent’anni: un corpo legislativo debole, una struttura legale obbediente e repressiva, un sistema di partiti nel quale ciascuno, al governo o all’opposizione, si impegna a riprodurre il sistema esistente e a favorire i gruppi dominanti, i più ricchi, gli interessi delle oligarchie. La maggioranza dei cittadini è lasciata nell’impotenza e nella disperazione politica. Contemporaneamente, si impoveriscono progressivamente le classi medie, oscillanti tra la proletarizzazione e l’aspettativa di una fantastica ricompensa alla ripresa economica, rimandata di anno in anno. Ovvio che il miraggio non si concretizzi mai.
Il neoliberismo si basa su falsi presupposti economici. L’evidenza si accumula brutalmente e diventa storia. E’ un progetto chiamato disastro, che non potrebbe essere peggiore per l’economia e la politica. Prescrive politiche impopolari e disfunzionali, ricattando senza vergogna chiunque voglia discostarsi dal modello imposto. I cittadini vengono messi in ginocchio con la perdita di sicurezza e del posto di lavoro, il timore di veder sfumare i risparmi. Diminuiscono i redditi, l’economia reale inclina all’instabilità, alla stasi e poi alla crisi, le banche si appropriano ormai direttamente del risparmio della gente. Il progetto beneficia una piccola minoranza che lega a sé con vari privilegi ceti di funzionari di servizio, ma a spese di una maggioranza sempre più grande. Paura chiama disciplina sociale, narcosi ideale, scambiate con la libertà di seguire impulsi, desideri, capricci soggettivi. Lo specchio è la classe viziata e narcisista di individui senza identità ad alto reddito, sostenuta da tecnocrati che diffondono false teorie economiche smentite dalla realtà.
E’ uno schema distopico alimentato senza pudore da mezzi di comunicazione ogni giorno più servili, da una macchina di propaganda istituzionalizzata dotata di mezzi economici immensi (denaro sottratto a ciascuno di noi…) oltreché da un sistema in cui la repressione legislativa, poliziesca e mediatica delle idee comincia ad essere avvertita al di là del perimetro dei dissidenti. Hanno l’improntitudine di chiamare fake news, false notizie, le idee non conformi. Trasmettono paura e seminano conformismo. Le élite infangano, manipolano e confondono ogni concetto.
Si sono appropriate anche del mito di Robin Hood: lo sceriffo di Nottingham, nella menzogna neoliberista, è lo Stato, lo stesso che permette a costoro di vivere a nostre spese nelle mille caste di potere. Secondo la narrazione invertita, è lo Stato, non la cupola dei padroni del mondo, a saccheggiare spietatamente la proprietà e il sudato peculio. Robin Hood diventa il sistema che abbassa le tasse sul reddito ai mega ricchi e alle società di capitali, unici beneficiari, finora, delle politiche di tagli alle imposte. Nel nuovo linguaggio, sono loro “la gente che lavora”. Sono riusciti a spostare lo sguardo dalla verità, che mostra la più grande accumulazione di capitali e proprietà nel minor numero di mani che la storia ricordi, mentre la maggioranza delle famiglie è indebitata fino agli occhi con loro.
Secondo alcuni, siamo all’alba di una seconda grande recessione. La prima cosa che faranno – sono all’opera da tempo – è di metterci una museruola più stretta, legarci a un guinzaglio più corto. Perciò è necessaria una reazione globale contro le conseguenze del neoliberismo. Il sistema ha fallito clamorosamente, non ha mantenuto, per l’immensa maggioranza delle persone, nessuna delle promesse che abbondano nei manuali delle facoltà di economia di tutto il mondo. Di fallimento in fallimento, è più difficile conservare il consenso popolare, quindi hanno la necessità di chiudere spazi, ridurre al silenzio le voci ribelli, portare nuova legna alla costruzione di una società totalitaria.
E’ la fase in cui sono costretti a togliere la maschera a cui abbiamo creduto per decenni, l’ora di insorgere contro lo sceriffo di Nottingham globale senza confini, strappandogli la maschera liberale, tollerante, benevola, persino democratica. Riconosceremo finalmente il volto invertito del totalitarismo.
ROBERTO PECCHIOLI