L’ignoranza soddisfatta, convinta di possedere le chiavi della sapienza, è una delle più sorprendenti caratteristiche del nostro tempo. A differenza del vecchio Socrate, che sapeva di non sapere e considerava quella consapevolezza l’unica vera scienza, l’uomo contemporaneo è afflitto dalla presunzione della competenza. Considera invariabilmente se stesso superiore alla media, capace di discernere, valutare, agire meglio degli altri. I risultati – desolanti- sono sotto gli occhi di tutti.
In psicologia si chiama effetto Dunning-Kruger: la distorsione cognitiva per la quale persone di modesta o nessuna competenza in un campo – o in tutti- sovrastimano la propria preparazione. Al termine di un’indagine scientifica, i due studiosi conclusero che l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è più capace ( e spesso si sottostima) deriva da un equivoco sul conto degli altri . Il genio di Shakespeare ci arrivò per primo: “il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio”. Non diversamente si espresse Baruch Spinoza sugli incolti: “quanto più uno è ignorante, pensavo tra me, tanto più è audace”.
Dunning e Kruger pervennero alle medesime conclusioni muovendo dalla condotta di un rapinatore convinto che se si fosse spalmato il volto di succo di limone sarebbe risultato non identificabile dalle telecamere di sorveglianza. Ovviamente fu prontamente arrestato. L’ espediente – di cui aveva letto confusamente in un articolo – non aveva fondamento alcuno. L’uomo pensava di essere più astuto, meglio informato degli altri; non era il primo e neppure l’ultimo. Infatti dilaga qualcosa che pare l’inversione della “dotta ignoranza” di Nicola Cusano , l’atteggiamento del saggio cosciente di quanto sia piccola la sua conoscenza rispetto all’immensità di ciò che gli è ignoto.
Gli anni del Covid ci hanno consegnato, insieme con la boria saccente dei cosiddetti esperti, una massa che discetta di virus, sintomi, rimedi e vaccini come i luminari della materia. Da quando è scoppiato il conflitto ucraino assistiamo ogni dì a lezioni di tattica bellica al bar, e ascoltiamo pensose riflessioni geopolitiche al mercato rionale. Quanto allo spread e alle questioni finanziarie, milioni di affetti dalla sindrome di Dunning –Kruger pontificano da vari pulpiti, facendo al portafogli – proprio e altrui- più danni dell’inflazione. Insomma, si è impadronita di noi un’ignoranza sfacciata e inconsapevole.
E’ il tempo di Tuttosà e Chebestia, i protagonisti di una favola letteraria della francese Coline Serreau. I due, diametralmente opposti, si interrogano su questioni esistenziali; i punti di vista, ora paralleli, ora opposti, rispecchiano il legame inscindibile tra personalità che si rivelano facce della stessa medaglia nell’eterna battaglia tra sapienza e ignoranza. La caratteristica dei Tuttosà e Chebestia reali è che le due figure si fondono in un’unica persona, il soggetto convinto di sapere, capire, padroneggiare tutto mentre non è altro che un’inconsapevole pedina eterodiretta. Una sostanziale differenza con le generazioni precedenti. Consce di non sapere, esortavano allo studio e alla conoscenza, cercavano e rispettavano maestri veri, serbando una diffidenza di fondo, una sana sfiducia popolana nei confronti di ciò che usciva dalla bocca dei “signori”. La saggezza di chi aveva subito inganni.
Negli anni Ottanta Tuttosà e Chebestia vennero descritti perfettamente in un libro esilarante quanto sapiente, La prevalenza del cretino del duo Fruttero e Lucentini. Lo stolto ignorante con effetto Dunning-Kruger, ahimè, è per sempre: non riposa e non può cambiare, a differenza del malvagio, che può smettere di essere tale. Quando scrivevano- era la metà degli anni Ottanta- gli autori non potevano conoscere le reti sociali e vedere all’opera il saccente globale tecnologico, l’ignorante felice, tuttologo dai giudizi tranchant, apodittici, accompagnati dal pollice abbassato o alzato. Probabilmente avrebbero parlato di dittatura universale del cretino, a proposito del quale resta indimenticabile un brano. “Una società che egli si compiace di chiamare molto complessa gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci ( oggi avrebbero scritto follower N.d.R.) e molto denaro. Gli ha insomma prodigiosamente moltiplicato le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola ( a lui cara) per realizzarsi. “
Oggi per saziare un ego ipertrofico quanto più modesta è la sua cultura e capacità di riconoscere limiti, quel soggetto ha a disposizione la Rete. Tuttosà e Chebestia in una sola persona sono i figli legittimi dell’idea di progresso. Grazie ad essa, lo stolto di ieri è divenuto il cretino di oggi, ha preso il sopravvento in tutti rami dell’umana attività, “con una forza brutalmente numerica” (Fruttero e Lucentini). Autentici profeti, giacché l’ultimo trentennio ci ha consegnato la rizomatica proliferazione di Tuttosà autonominati e Chebestia reali. Sono i figli del “signorino soddisfatto”, pago dell’ignoranza e dell’avere, disinteressato all’essere, di Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse; i fratelli maggiori dei “selvaggi con telefonino” la generazione a cavallo tra il secondo e il terzo millennio descritta da Maurizio Blondet.
I più pericolosi restano gli specialisti, esperti in qualcosa con la presunzione, dall’alto di una conoscenza iper parcellizzata, di saperne più di tutti su qualsiasi argomento, strologando , come si dice adesso, a trecentosessanta gradi, nel sovrano disprezzo degli altri umani e talvolta del ridicolo.
Siamo, purtroppo, oltre. Jonathan Haidt, psicologo dell’età evolutiva, spiega che chi si è formato dopo l’avvento dello smartphone (2010) – la coperta di Linus postmoderna- ha un cervello che funziona diversamente rispetto alle precedenti generazioni. Una mutazione rapidissima e ben poco analizzata, nel regno della corsa a perdifiato verso il nulla, purché “ nuovo” e “avanti”. Nel frattempo, cala progressivamente ( la malizia dell’avverbio è voluta) il Quoziente d’ Intelligenza (Q.I): diventiamo più stupidi, quindi più esposti all’ignoranza e alla manipolazione per incapacità di riconoscerla. Sbaraglia il resto della popolazione un bizzarro umanoide che sta abbandonando la stazione eretta per vivere e deambulare – incurante di tutto e tutti- con spalle e capo chini sul nuovo totem di cui è diventato il paradossale prolungamento, lo smartphone a cui sono demandate tutte le risposte ( ma ci sono ancora vere domande ?) la cornucopia che contiene l’intero scibile umano.
Che motivo c’è per studiare, imparare, sforzarsi, soprattutto riflettere ? Tutto è a portata di clic, pronto, confezionato, il tutorial globale contenuto nel magico apparecchio, in attesa di consegnarci, corpo, anima e cervello, a ChatBox, la scatola incantata da cui l’intelligenza artificiale ( cioè chi la controlla) dirigerà scelte, idee, vita. Socrate sapeva di non sapere e fondò la ragione europea; oggi l’unica scienza è la capacità di maneggiare l’apparato artificiale. Bastano le dita, o la voce che interpella l’assistente elettronico intelligente, Alexa o Siri a seconda del sistema operativo. Siamo perfettamente pronti ad essere sostituiti dall’Intelligenza Artificiale, dopo avere gioiosamente rinunciato a quella, imperfetta, imprecisa, ma umana, personale, fornita dalla natura alla nostra specie.
Crediamo a tutto, istantaneamente. Ogni moda, nuova idea, condotta, per quanto bizzarra o insensata, diventa rapidamente patrimonio di massa, si fa “virale” in assenza di giudizio. Basta che sia diffusa dal sistema di comunicazione e possa essere oggetto di mercato. Tik Tok, dai filmati e messaggi brevi, è uno dei veicoli per cambiare il modo di pensare ed essere. Unica novità rispetto agli altri “social” media: l’indottrinamento parte dalla Cina anziché dagli Usa. La perdita di libertà, raziocinio, autonomia di giudizio è uguale. Sistemi gratuiti in cui in vendita siamo noi, sotto forma di dati estratti dalle nostre propensioni e “navigazioni”, cervelli da colonizzare alla forma merce, all’accettazione acritica di ogni imposizione, ideologia, volontà di chi possiede il sistema tecnico finanziario. Tecnocrazia più plutocrazia uguale biocrazia, potere sulla vita, riduzione dell’uomo a Giano bifronte convinto di essere Tuttosà mentre è Chebestia.
E’ disperante la vittoria cognitiva del sistema, riuscito a creare un gregge obbediente, pronto a seguire le prescrizioni dei “superiori”, convinto di aver scelto liberamente i comportamenti, le idee, i consumi, le mode, perfino le parole impostegli dal potere. Chapeau, purtroppo, Ci sentiamo Tuttosà ma siamo i montoni di Panurgo, che si gettarono tutti in mare annegando, per imitazione del primo di loro, scaraventato in acqua da un briccone in un celebre passo del Gargantua di François Rabelais.
Tutti i luoghi comuni del tempo sono assunti come propri, addirittura in nome della trasgressione. Un’altra vittoria del potere su Tuttosà è il dilagante rifiuto di ascoltare le ragioni altrui. Come testimonia il nome, egli /ella sa già tutto: perché importunarlo con ragioni che non capisce e osteggia pregiudizialmente in nome della fine dei pregiudizi? Tuttosà è tenuto in pugno attraverso la paura – l’esperimento pandemico lo dimostra- e la riduzione a puro istinto. Di qui la sessualizzazione estrema, precoce, unita alla trasformazione del desiderio in diritto. Il potere ci trasforma in Chebestia dalla più tenera età, inducendo comportamenti che l’animale ignora. Il cambiamento resta inavvertito. Alle generazioni più giovani in assenza di modelli diversi; sugli altri agisce il baccano mediatico diretto a colpire i centri psichici deputati al pensiero critico.
Solo così si spiega la nostra credulità estrema. Capì tutto Chesterton: chi smette di credere in Dio non è che non crede a niente, ma comincia a credere a tutto. Di qui la credenza superstiziosa nel progresso , l’amore per la comodità- il rifiuto dello sforzo che rende mentalmente pigri e fisicamente deboli- la fascinazione per la scienza e la tecnica divinizzate, manipolate dagli “esperti” di servizio, sciamani del presente. Anche quelli del passato erano i migliori alleati dei capi tribù…
Abuso della credulità popolare, un reato da reintrodurre. Illusione: chi fa le leggi è lo stesso che ci riduce ad altrettanti Chebestia facendoci credere di essere la generazione di Tuttosà. L’arma più potente è l’”infocrazia”, il dominio attraverso l’informazione costruita con algoritmi e Intelligenza Artificiale, capace di determinare – mediante il controllo delle menti- i processi sociali, economici e politici. Siamo transitati nel capitalismo della sorveglianza privatizzata che “declassa gli esseri umani a bestie da dati e consumo” (Byung Chul Han). Un regime disciplinare in apparenza soffice , in cui ciascuno diventa un ingranaggio. Un homunculus docile, sottomesso, utilizzato, addestrato a diventare mulo da lavoro e fornitore di dati.
La docilità della bestia umana addomesticata si fonda sulla sua convinzione di essere libera, autentica, creativa. Occorre rovesciare la lezione di Michel Foucault, secondo cui la politica è “biopolitica in cui a essere importante è prima di tutto il biologico, il somatico, il corporale”. Il filosofo francese non colse il passaggio che iniziava sotto i suoi occhi, ossia la dimensione psicopolitica. Il potere si è impadronito della psiche ( il sedicente Tuttosà) per facilitare la regressione istintuale, animale nel senso descritto da Freud. Rovesciato il Super Io morale, il sistema controlla l’ Io trascinandoci nella dimensione dell’Es, la parte oscura da cui derivano le manifestazioni della vita istintiva.
Il percorso è compiuto: Tuttosà diventa Chebestia senza saperlo. Vincono i padroni del gregge. C’è ancora un ostacolo, che speriamo insormontabile. Fatti non fummo “a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.