… per quello che sono: vietato dirli deicidi, vietato dirli genocidi.
Riportiamo qui sotto un articolo di don Curzio Nitoglia che rievoca i motivi (e i promotori) del “pregiudizio positivo” che ha sradicato la vera comprensione dei seguaci del Talmud, da deicidi fratelli maggiori. Una sola inesattezza è da rilevare: Israele non nacque nel 1946 a causa della Shoah; nacque nel 1917 con la dichiarazione Balfour, la lettera “privata” con cui Lord Balfour , allora ministro degli Esteri britannico, promise di istituire “Un focolare ebraico”in Palestina, e in cambio Rotschild fece entrare nella Grande Guerra gli Stati Uniti, con ciò rovesciando a favore degli alleati le sorti della guerra, che stava stagnando e a cui gli austro- tedeschi avevano offerto di porre fine senza vincitori né vinti. Da qui,fra l’altro, il sorgere in Germania la nozione di “pugnalata alla schiena” subita ad opera della potente e integratissima componente ebraica che alimentò il nazionalsocialismo..
La Shoah E Il Vaticano II
di Don Curzio Nitoglia
Il nuovo rapporto tra giudaismo e cristianesimo, secondo Nathan Ben Horim (Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani, Padova, Messaggero, 2011), ex ministro all’Ambasciata d’Israele in Italia incaricato dei rapporti con la S. Sede dal 1980 al 1986, è dovuto «a tre eventi: la shoah la nascita dello Stato d’Israele e il concilio Vaticano II» (ibidem, p. 11). Infatti la shoah impone riflessioni storiche, politiche e morali di enorme portata, alle quali nessuno – nemmeno la Chiesa – può sottrarsi. Dalla shoah (1942-45) è nato lo Stato d’Israele (1948), che ha soprattutto un significato etnico ed anche normativo-religioso per l’ebraismo. Da queste riflessioni storiche, morali, politiche, etnico-religiose (dacché il giudaismo è un popolo o stirpe che si riconosce in una certa pratica etica o religiosità) è nato il concilio Vaticano II (1962-65), che «segna una svolta epocale nella storia della Chiesa cattolica. […] Uno dei mutamenti più significativi del Concilio ha riguardato il rapporto con gli ebrei, […] “che rimangono ancora carissimi a Dio”» (p. 11).
Ben Horim ammette che «il cambiamento, nella visione cristiana degli ebrei, non sarebbe mai avvenuto se non ci fossero state la shoah e la nascita dello Stato d’Israele» (ibidem, p. 12). Egli definisce il giudaismo col trinomio “Torah, Popolo, Terra” (ib., p. 107). Poi cita il maitre à penser di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Martin Buber: “Terra e Popolo, predestinati l’una all’altro per realizzare assieme il regno del Signore in questo mondo” (ib., p. 108). Il diplomatico israeliano ci spiega che i maestri del Talmud cercarono subito dopo la distruzione del Tempio di salvare Israele affermando che “la residenza in Terra d’Israele equivale all’osservanza di tutti i comandamenti della Torah: chi vi risiede ha parte al mondo futuro [che non è l’aldilà, ma questo mondo nell’avvenire], chi la lascia somiglia a chi non ha Dio” (ib., p. 111).
Il problema del Concilio è sostanzialmente legato alla giudaizzazione del cristianesimo (Nostra aetate, 28 ottobre 1965) ed è indissolubilmente legato a quello della shoah e del sionismo. Chi non vuole ammetterlo o è incapace di vedere la realtà o non vuole ammetterla, poiché non gli fa comodo. Dopo Nostra aetate son venuti altri Documenti post-conciliari sui rapporti ebraismo-cristianesimo. Il primo è Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione ‘Nostra aetate’ n. 4 (1° dicembre 1974). Esso è assai significativo ed esplicita la Dichiarazione Nostra aetate. Infatti gli Orientamenti esortano a studiare l’ebraismo post-biblico a partire da come gli ebrei odierni si auto-definiscono, ossia secondo la letteratura talmudica e post-biblica (ibid., p. 14). Inoltre gli Orientamenti esplicitano, dopo circa 8 anni, l’affermazione conciliare – ancora molto sfumata ed imprecisa – secondo cui l’Alleanza tra Dio e popolo ebraico “permane” (ivi) e da essa i Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo (26 giugno 1985), dopo altri 10 anni, esplicitano la portata non solamente spirituale o religiosa dell’ebraismo attuale, ma soprattutto “etnico-religioso-culturale, con una sua storia legata ad una Terra precisa” (ib., p. 15) ossia “la questione della Terra e dello Stato d’Israele” (ib., p. 44), la quale ha portato, 8 anni dopo, al Concordato della S. Sede con Israele (30 dicembre 1993, iniziato formalmente e giuridicamente il 29 luglio 1992), che “era la conclusione logica del cammino cominciato circa trent’anni prima con Nostra aetate, n. 4” (ib., p. 44). In breve l’ebraismo attuale è l’appartenenza etnica ad un popolo, schiatta o “razza”, che può o meno comportare una certa religiosità o meglio moralità o pratica spirituale, ma che ha come elemento principale ed essenziale il legame di sangue tra ebrei e storico-geografico con la Terra Santa, poi Palestina ed oggi Stato d’Israele. Questo è l’ebraismo odierno e post-biblico. Per cui non si può parlare di esso riferendosi solo all’aspetto religioso, che è del tutto contingente nel giudaismo (può esservi o no, non modifica essenzialmente, ma solo accidentalmente l’ebraismo), ma bisogna mettere in luce l’unità etnica o razziale e il legame che tale popolo pretende di avere ancora oggi dopo 2000 anni con la Terra dei propri padri, la Terra Santa, la Giudea, poi Syria-Palestina ed oggi Stato d’Israele. «Trattandosi di ebraismo è praticamente impossibile tracciare una separazione netta e assoluta fra il livello interreligioso e quello dei rapporti politici con lo Stato d’Israele» (ib., p. 43).
chiedere il “beneficio di un ragionevole dubbio” sul piano di sterminio di sei milioni di ebrei europei tramite camere a gas e forni crematori da parte del III Reich germanico, chiedere delle prove chimico-fisiche, archivistiche su di esso (senza negarlo aprioristicamente), significa ipso facto bestemmiare, mettere in discussione la realtà dello Stato di Israele ed il cambiamento rivoluzionario della teologia sull’ebraismo come è stata esposta da Nostra aetate. Il “caso Williamson” è incomprensibile se non si conosce l’ebraismo post-cristiano o post-biblico nella sua interezza: un popolo che ha una Terra datagli da Dio in perpetuo e se non lo si legge alla luce del “caso Krah” (v. articolo su Krah apparso in questo sito), analogo a quello tentato da Jules Isaac con Bea e Roncalli prima dell’inizio del Vaticano II. Quindi il popolo ebraico è il solo e legittimo padrone della Palestina, è ancora in “Alleanza “ con Dio, non è stato sostituito dal cristianesimo. Se per 2000 anni ha abbandonato la Palestina, tuttavia ha mantenuto il diritto di proprietà su di essa, datogli in eredità perpetua e inalienabile da Dio e l’avvenimento che gli ha fatto prendere coscienza di ciò è stata la shoah, la quale ha mutato anche la mentalità dei cristiani ed ha portato a Nostra aetate, che verrebbe meno qualora cadesse il mito dell’olocausto e dello Stato d’Israele come regno perpetuo del popolo ebraico.
accettare il Concilio (alla luce della Tradizione o meno, purché lo si accetti, è in fondo una questione pratico-pratica, ultimamente priva di spessore dottrinale), tuttavia equivale ad accettare l’Alleanza permanente tra Dio e l’ebraismo odierno, l’unicità etnico-razziale del popolo ebraico (per cui si è ebreo solo se si è figli di madre ebrea e nipoti di nonna materna ebrea e non se si pratica la religiosità ebraica), lo Stato d’Israele (che implicitamente vorrebbe smentire la profezia di Cristo sulla distruzione del Regno d’Israele) ed accettare l’evento che ha fatto prendere coscienza di tutto ciò sia agli ebrei, che si stavano assimilando nel XVIII secolo coll’Illuminismo al mondo cristiano o laico europeo, sia ai cristiani che si erano separati dalla “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) coll’insegnamento del Nuovo Testamento, interpretato unanimemente dai Padri ecclesiastici e dal Magistero costante della Chiesa sino a Pio XII. L’ebraismo, attuale “Padrone di questo mondo” domanda a tutti di riconoscere la shoah, la permanenza della sua Alleanza con Dio e il diritto di dominio sulla Terra Santa (1900 a. C. con Abramo sino alla distruzione del Tempio 70 d. C.), poi (dal 70 al 1948) Syria-Palestina, che oggi (dal 15 maggio 1948) viene ingiustamente chiamata Stato d’Israele.
L’ambasciatore Ben Horim racchiude in un sillogismo l’inconciliabilità tra dottrina cattolica tradizionale e quella pastorale del Vaticano II. «L’esilio dopo la distruzione di Gerusalemme era stato interpretato dal cristianesimo come il castigo e la prova del rigetto. Il ritorno a Sion costituiva […] una provocazione per la teologia cristiana […]. Ora, Nostra aetate, cancellando l’accusa di deicidio e affermando la validità perenne delle promesse di Dio [Antica Alleanza] con le sue implicazioni, dovrebbe avere rimossodefinitivamente l’ostacolo teologico. Quindi, la promessa della Terra [d’Israele] e il ricongiungimento del popolo [ebraico] con essa non dovrebbero essere escluse» (ib., p. 67).
È per questo che parlando di ebraismo bisogna tenere presente l’elemento etnico, di “sangue e suolo”, di un popolo che possiede in perpetuo una Terra, che è in perpetua Alleanza con “Dio” (anche se non ci crede, infatti il sionismo è un movimento laicista ed agnostico o a-religioso se non addirittura ateo). I cristiani hanno ribaltato la loro visione pre-conciliare dell’ebraismo, che aveva rifiutato Cristo Messia e Dio e che era stato abbandonato da Dio, il quale aveva eretto una Nuova ed Eterna Alleanza con tutti (pagani ed ebrei fedeli a Cristo). Per cui il giudaismo era stato scacciato dalla sua Patria, distrutta nel 70 e rasa totalmente al suolo nel 135 da Roma. Questa rivoluzione per diamentrum dei rapporti ebraico-cristiani è stata iniziata dal concilio Vaticano II con Nostra aetate (28 ottobre 1965) ed è approdata 28 anni dopo al riconoscimento dello Stato d’Israele da parte di papa Giovanni Paolo II (30 dicembre 1993), alla luce della shoah (1943-45). Shoah, Alleanza permanente di Dio col popolo d’Israele e Stato ebraico formano un tutt’uno, se si toglie uno solo di questi tre tasselli, si nega tutto l’ebraismo attuale, nel suo desiderio di dominio del mondo, quale popolo eletto, “regale e sacerdotale”, “olocaustizzato”, ma “risorto” e “padrone di questo mondo” assieme alla sua creatura: l’americanismo, che gli ha dato la potenza bellica per terrorizzare chiunque osi “dubitare”.
L’ebraismo si auto-presenta in primo luogo come popolo, poi come Stato e tutto ciò alla luce della shoah, che gli ha fatto ritrovare la sua identità, la quale stava per essere smarrita con l’assimilazione durante l’Illuminismo. Il Vaticano II e il post-concilio (Orientamenti, 1° dicembre 1974; Sussidi, 26 giugno 1985; Concordato tra S. Sede e Israele, 30 dicembre 1993) hanno recepito la lezione del rabbinismo farisaico e scomunicano chiunque metta in forse anche uno solo di questi tre “dogmi laici” (v. “caso Williamson”, che non è stato capito in tutta la sua potenziale gravità e pericolosità religiosa, politica, sociale e “terroristico-penale”). Quindi accettare il concilio Vaticano II (anche alla luce della Tradizione, che non è quella apostolica, la quale lo condanna, ma quella falsa, spuria ed infera di Lucifero e del serpente dell’Eden), significa accettare il giudaismo talmudico, che è la contraddizione del cristianesimo fondato da Gesù su Pietro (unità e Trinità di Dio, divinità di Cristo, Nuova ed eterna Alleanza con tutti i popoli che credono in Gesù vero Dio e vero uomo e nella SS. Trinità, che ha rimpiazzato la Vecchia Alleanza perfezionandola nel Sangue di Cristo).
Horim stesso riporta la convinzione che quasi tutti i cristiani hanno, ma che nessuno osa dire, mentre è espressa esplicitamente dai “Fratelli maggiori”: «La dottrina tradizionale [è un dogma di Fede] extra Ecclesiam nulla salus è in contrasto con il discorso del papa [Giovanni Paolo II] agli ‘esperti cattolici per l’ebraismo’, nel quale parlava della possibilità per ebrei e cristiani di raggiungere per vie diverse, ma finalmente convergenti [le “convergenze parallele” di Aldo Moro], una vera fraternità della riconciliazione» (ib., p. 59). Ecco qui smentita autorevolmente l’ermeneutica della continuità dai nostri “Fratelli maggiori nella Fede” (Giovanni Paolo II, 1986) o “Padri nella Fede” (Benedetto XVI, 2011). Egli poi cita la frase di Giovanni Paolo II a Magonza nel 1980 sull’«Antica Alleanza mai revocata» e conclude che “tali parole implicherebbero la coesistenza di due Alleanze valide” (ib., p. 60). Ma allora il Figlio a che pro si è Incarnato ed è morto in Croce per la salvezza di tutti gli uomini e non solo di una razza, se vi è un’Alleanza ancora in piedi che garantisce la salvezza di chi ne fa parte?
È interessante – per concludere – quanto dice l’Autore sulla reciprocità dei rapporti ecumenici ebraico cristiani. Vale a dire: se il cristianesimo si è giudaizzato, col Vaticano II, anche l’ebraismo dovrebbe cristianizzarsi (p. 76). Egli risponde nettamente che l’argomento vale solo a senso unico, ossia per i cristiani verso l’ebraismo, mentre non è assolutamente applicabile per gli ebrei verso il cristianesimo. Infatti 1°) il cristianesimo ha fatto soffrire il giudaismo sino alla shoah, mentre mai il giudaismo ha perseguitato il cristianesimo. Al che si risponde facilmente citando i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, i quali rivelano divinamente la persecuzione continua del giudaismo contro Gesù, gli Apostoli e i primi Discepoli cristiani. Inoltre la storia ha dimostrato ampiamente che le persecuzioni attuate dalla Roma pagana contro i cristiani vennero aizzate dal giudaismo (v. Umberto Benigni [†1934], Marta Sordi [†2010] ed Ilaria Ramelli, autori citati in articoli comparsi su questo sito). 2°) Il cristianesimo è nato dal giudaismo, mentre il giudaismo non deve nulla al cristianesimo. Anche qui la risposta è sin troppo semplice. Il cristianesimo è nato da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che hanno decretato ab aeterno l’Incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria. Ciò è rivelato nell’Antico Testamento (dalla Genesi sino ai Maccabei). Per cui l’Antico Testamento era tutto relativo al Nuovo Testamento e a Gesù Cristo. Onde Mosè e i Profeti annunziarono Cristo venturo, che fu rigettato dal ‘falso Israele’ ed accolto dal ‘vero Israele’, ossia da coloro che fedeli allo spirito dell’Antico Testamento hanno accolto il Messia Gesù Cristo venuto, una “piccola reliquia d’Israele” (San Paolo) alla quale si è unito il resto del genere umano (i Pagani). Il giudaismo attuale è il ‘falso Israele’ fedele alla lettera della Torah, ora la “lettera uccide mentre è lo spirito che vivifica” (San Paolo). Quindi il cristianesimo non ha ricevuto nulla di positivo dal giudaismo post-biblico o attuale, mentre il giudaismo mosaico o vetero-testamentario è relativo ed ordinato totalmente al cristianesimo senza il quale non ha ragion d’essere. Per cui il giudaismo odierno si trova oggettivamente in uno stato di errore e di accecamento, avendo rifiutato il Messia e l’Unico Salvatore del mondo e deve convertirsi a Cristo. La posizione giudaico-cristiana (sia da parte del Vaticano II, sia da parte ebraico-talmudica) è completamente capovolta e distorta, in rottura per diametrum e non in continuità con le ‘Fonti della Rivelazione’. Ma l’Autore persevera nell’indurimento di cuore e nell’accecamento della mente dei suoi antenati, asserendo: «Non c’è nell’ebraismo alcun elemento costitutivo della sua natura, che esiga un confronto col cristianesimo. […]. Pertanto attese cristiane riguardo la possibilità di cambiamenti teologici significativi nell’ebraismo saranno inevitabilmente deluse» (ib., p. 77). L’invocazione “Il suo Sangue ricada su di noi e sui nostri figli” continua a riecheggiare sulla bocca degli ebre talmudisti.
Nella “seconda parte” di Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione Joseph Ratzinger (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2011) ammette che «anche la fede di Israele dopo l’anno 70 ha assunto una forma nuova» (Ibidem, p. 44). Ossia dopo la distruzione del Tempio, la cessazione del Sacrificio e del Sacerdozio, si è passati dalla religione mosaica o vetero-testamentaria, (preparatoria della Nuova ed Eterna Alleanza nel Sangue di Cristo) al Talmud, che è essenzialmente un codice civile e pratico anti-cristiano, in quanto rifiuta la Divinità di Cristo e la SS. Trinità e ricompatta, non ostante la distruzione del Tempio, il Popolo “una volta eletto” nella speranza del dominio, materiale e temporale, sul mondo intero. Il Popolo d’Israele si è trovato così scisso in due parti: la maggiore composta da coloro che non sono stati fedeli alla Legge e ai Profeti, non al loro “spirito che vivifica”, ma solo alla “lettera, che uccide” e che non hanno accolto il Messia spirituale Gesù Cristo e lo attendono ancora come Messia militante. Essa è il giudaismo religione talmudica attualmente ancora vivente e rappresentante la credenza, che presenta il Popolo d’Israele come Re e Sacerdote dell’umanità. La seconda è una “piccola reliquia” (Apostoli e Discepoli) fatta da “veri israeliti”, che hanno creduto allo “spirito” della Legge e dei Profeti ed hanno accolto Gesù come Messia e Dio-Uomo morto e risorto per la salvezza dell’umanità. Su di essa e specialmente su Pietro Gesù ha fondato la sua Chiesa universale, in cui son confluiti indistintamente ebrei e pagani, accomunati non dall’etnia ma soprattutto dalla Fede in Cristo, che rimpiazza la religione israelitica dell’Antico Patto e coaduna tutti nella speranza soprannaturale del Regno dei Cieli.
Tuttavia l’Autore non tira le dovute conclusioni da questo suo giusto asserto iniziale, almeno o soprattutto in tre punti: la responsabilità della morte di Gesù, il significato della frase “il suo sangue ricada su di noi” e l’ignoranza che scuserebbe da ogni colpa il popolo e i Capi d’Israele. Vediamo nel presente articolo quale è la opinione di Ratzinger e quale l’insegnamento dei Padri ecclesiastici, riassunti e sublimati dal Dottore Ufficiale e Comune della Chiesa cattolica, san Tommaso d’Aquino ed infine di alcuni teologi ed esegeti approvati.
Per quanto riguarda la morte di Gesù, Joseph Ratzinger (dacché il libro è opera del dottore privato e non del Pontefice) cerca di scagionare il giudaismo talmudico da ogni responsabilità, contraddicendo quanto i Padri ecclesiastici, i Dottori e i teologi approvati hanno scritto, commentando in maniera moralmente unanime, la S. Scrittura. Infatti egli scrive: «Chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte? […]. Secondo Giovanni, essi sono semplicemente “i Giudei”. Ma questa espressione, in Giovanni, non indica affatto […] il popolo d’Israele […]. In Giovanni tale espressione ha un significato preciso e rigorosamente limitato: egli designa con essa l’aristocrazia del Tempio. […]. In Marco […], il cerchio degli accusatori appare allargato: compare l’ochlos ed opta per il rilascio di Barabba. Ochlos significa innanzitutto semplicemente una quantità di gente, la “massa”. […]. In ogni caso con ciò non è indicato “il popolo” degli Ebrei […]. Per quanto riguarda questa “massa”, si tratta di fatto dei sostenitori di Barabba, mobilitati per l’amnistia, come rivoltoso contro il potere romano, questi poteva naturalmente contare su un certo numero di simpatizzanti. […]. Un’amplificazione dell’ochlos di Marco, […], si trova in Matteo (27, 25), che parla invece di “tutto il popolo”, attribuendo ad esso la richiesta della crocifissione di Gesù. Con questo, Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù?» (Ibidem, pp. 208-209).
Il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni ha risposto a Benedetto XVI scrivendo: «Nel libro di Benedetto XVI c’è un grande sforzo di esegetico di leggere il Vangelo in chiave non anti-ebraica, ma è uno sforzo che si regge con qualche difficoltà. Giovanni parla di giudei e non di aristocratici del tempio e della plebaglia. I giudei sono i giudei. Come i cristiani restano i cristiani al di là dell’esegesi» (Il Foglio, 3 marzo 2011). È triste, ma il rabbino conosce i Vangeli meglio del Papa.
Recentemente un caso pratico di ‘monologo’ analogo è scoppiato il 7 luglio del 2011 tra il card. Kurt Koch e il rabbino Riccardo Di Segni. Infatti il cardinale aveva scritto su L’Osservatore Romano (7 luglio 2011) che «La Croce di Gesù è il permanente ed universale Yom Kippur […] per ebrei e cristiani». Ma siccome già l’8 ottobre 2008 il rabbino Di Segni su L’Osservatore Romano aveva spiegato che la festa dello Yom Kippur [perdono] ebraico esprime le “differenze inconciliabili tra i due mondi” ebraico e cristiano e che l’ebraismo avendo il Kippur “non ha bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla Fede cristiana”, ha risposto di nuovo sempre su L’Osservatore Romano al cardinal Koch il 29 luglio 2011: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”. Il cardinale allora ha rispolverato la neo-dottrina conciliare scrivendo che per il cristianesimo «L’Alleanza di Dio con il popolo d’Israele ha una validità permanente e [anche] la fede nella redenzione universale in Gesù Cristo». Quel che non si riesce a capire è come Gesù possa essere Salvatore universale se l’ebraismo permane in Alleanza con Dio. Clericalmente e rabbinicamente si potrebbe dire che Gesù è Salvatore di tutti… i non-ebrei.
Il problema di Cristo e del cristianesimo per l’ebraismo non esiste. Non è un ‘dialogo’ (discorso tra due parti), ma un ‘monologo’ del solo Israele, che vorrebbe indottrinare sub specie boni il cristianesimo e vi riesce con gli attuali prelati postconciliari, accecati ed induriti di cuore. Questo è un “mistero d’iniquità”. È l’analogo rischio che corre il mondo tradizionalista attuale nel “dialogo” col neo-modernismo, il quale si risolve in un ‘monologo’ sotto apparenza di bontà e dolcezza facendolo passare abilmente per ‘dialogo’, ma col fine di assorbimento e di cedimento dell’antimodernismo alle novità conciliari e post-conciliari. È rivelatrice la frase di Ben Horim quando scrive: «Non è la questione della verità [che conta], ma se c’è un pathos comune [un sentimento, una passione]. La questione suprema è se siamo vivi o morti alle aspettative del ‘Dio vivente’. […]. Spetta a noi, ebrei e cristiani, lasciando alle spalle conflitti e rivalità, affrontare assieme le sfide del nostro tempo» (ib., p. 78).
Il 16 settembre 2011 – secondo il rabbino Levi Brackman – alcuni gruppi ebraici specialmente statunitensi (Abraham Foxman Direttore dell’ADL del B’nai B’rith e il rabbino David Rosen dell’American Jewish Committee)“hanno espresso la loro preoccupazione che il Vaticano potrebbe rimettere in discussione 40 anni di progressi nelle relazioni ebraico-cattoliche”. Essi quindi avvertono che Nostra aetate, 4 e Lumen gentium, 16 (“i doni di Dio [Antica Alleanza] sono irrevocabili”) “non possono essere messi in discussione e lasciati al libero dibattito”. Se così non fosse il dialogo ebraico-cristiano cesserebbe. Dubito seriamente che Benedetto XVI sia tentato di rivedere 40 anni di teologia giudaizzante, della quale è stato un pioniere sin da giovane studente tedesco toccato dalla “tragedia abissale” della shoah. Questo lo ha sempre chiaramente detto, scritto ed anche fatto (nei vari incontri ecumenici nella sinagoghe del mondo). Spero che da parte del mondo legato alla Tradizione non si voglia capitolare su tutto. Tuttavia la premessa pro-shoah del 2009 ed anti-revisionista (durante il “caso Williamson) lascia qualche perplessità, poiché shoah, sionismo e Nostra aetate fanno un tutt’uno. Parvus error in principio magnus est in fine? Speriamo di no, almeno in questo caso. Sarebbe veramente una “catastrofe” (in ebraico “shoah”).
Agire assieme, conoscersi da vicino, interloquire è la stessa vecchia tattica del neo-comunismo verso i ‘cristiani adulti’, che li faceva agire assieme ad esso, per renderli simili a sé. Agere seguitur esse, si agisce come si è. Ora se agisco assieme al comunismo, parto da una posizione tendenzialmente simile ad esso e pian piano divengo inevitabilmente eguale ad esso; se agisco assieme al giudaismo odierno, poco alla volta giudaizzo e – Dio non voglia – se agisco assieme al neo-modernismo, immancabilmente divengo neo-modernista, prima almeno praticamente (i ‘neo-modernisti anonimi’) e poi anche speculativamente. Il primato della prassi sulla teoresi è un caposaldo del talmudismo, del comunismo e del modernismo. Caveamus! Latet in erba anguis. “Bisogna agire come si pensa, altrimenti si giunge a pensare come si agisce”.
Don Curzio Nitoglia
Note
I. Shahak, Le racisme de l’Etat d’Israel, Guy Authier, Paris, 1975.
Israel Shahak, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia (TO), 1997.
1) Citato in R. Garaudy, Le procès du sionisme israelién, Al Fihrist, Beirut, 1998, p. 15.
2) R. Garaudy, Le procès du sionisme israelién, cit., p. 16.
3) Cit. in Garaudy, op. cit., p. 17.
4) R. Garaudy, op. cit., p. 18.
5) Cit. in Garaudy, op. cit., p. 22.
6) R. Garaudy, op. cit., p. 23.
7) Ibid., p. 25.
8) Ibid., p. 26.
9) S. Romano, Lettera a un amico ebreo, Longanesi, Milano, 1997.
10) S. Romano, Ibidem, p. 15.
11) “La cultura è sempre revisionista”, scrive Sergio Romano a pagina 137 del suo libro.
12) S. Romano, Ibid., . 17.
13 ) Ibid., p. 32.
14) Ibid., p. 43.
15) Ibid., p. 46. Secondo Romano la più parte degli ebrei italiani e soprattutto piemontesi furono, risorgimentali, nazionalisti e fascisti (Ivi).
Di seguito la mia rievocazione della Dichiarazione Balfour:
Benjamin Freedman (1890 – 1984) è stato un uomo d’affari di successo (era il proprietario della Woodbury Soap Co.), ebreo di New York, patriota americano. Era anche stato membro della delegazione americana al Congresso di Versailles nel 1919, dunque un “insider”. Ruppe con l’ebraismo organizzato e i circoli sionisti dopo il 1945, accusandoli di aver favorito la vittoria del comunismo in Russia.
Da quel momento, dedicò la vita e le sue ragguardevoli fortune (2,5 milioni di dollari di allora)
a combattere e denunciare le trame dei suoi correligionari (1).
Benjamin Freedman tenne, nel 1961, al Willard Hotel di Washington ad un’influente platea, riunita dal giornale americano Common Sense, il seguente discorso.
«Qui negli Stati Uniti, i sionisti e i loro correligionari hanno il completo controllo del nostro governo.
Per varie ragioni, troppo numerose e complesse da spiegare qui, i sionisti dominano questi Stati Uniti come i monarchi assoluti di questo Paese.
Voi direte che è un’accusa troppo generale: lasciate che vi spieghi quel che ci è accaduto mentre noi tutti dormivamo.
Che cosa accadde?
La Prima Guerra Mondiale scoppiò nell’estate del 1914.
Non sono molti a ricordare, qui presenti.
In quella guerra, Gran Bretagna, Francia e Russia erano da una parte; dalla parte avversa, Germania, Austria-Ungheria e Turchia.
Entro due anni, la Germania aveva vinto quella guerra.
Non solo nominalmente, ma effettivamente.
I sottomarini tedeschi, che stupirono il mondo, avevano fatto piazza pulita di ogni convoglio che traversava l’Atlantico.
La Gran Bretagna era priva di munizioni per i suoi soldati, e poche riserve alimentari, dopo cui,
la prospettiva della fame.
L’armata francese s’era ammutinata: aveva perso 600 mila giovani nella difesa di Verdun sulla Somme.
L’armata russa stava disertando in massa, tornavano a casa, non amavano lo Zar e non volevano più morire.
L’esercito italiano era collassato.
“Non un colpo era stato sparato su suolo tedesco.
Non un solo soldato nemico aveva attraversato la frontiera germanica.
Eppure, in quell’anno [1916] la Germania offrì all’Inghilterra la pace.
Offriva all’Inghilterra un negoziato di pace su quella base, che i giuristi chiamano dello ‘status quo ante‘.
Ciò significa: ‘Facciamola finita, e lasciamo tutto com’era prima che la guerra cominciasse’.
L’Inghilterra, nell’estate del 1916, stava seriamente considerando quest’offerta.
Non aveva scelta.
O accettava quest’offerta magnanima, o la prosecuzione della guerra avrebbe visto la sua disfatta.
In questo frangente, i sionisti tedeschi, che rappresentavano il sionismo dell’Europa Orientale, prendono contatto col Gabinetto di Guerra britannico – la faccio breve perché è una lunga storia,
ma ho i documenti che provano tutto ciò che dico – e dicono: ‘Potete ancora vincere la guerra. Non avete bisogno di cedere. Potete vincere se gli Stati Uniti intervengono al vostro fianco’.
Gli Stati Uniti non erano in guerra, allora».
«Eravamo nuovi; eravamo giovani; eravamo ricchi; eravamo potenti.
Essi dissero all’Inghilterra: ‘Noi siamo in grado di portare gli Stati Uniti in guerra come vostro alleato, per battersi al vostro fianco, se solo ci promettete la Palestina dopo la guerra‘. […].
Ora, l’Inghilterra aveva tanto diritto di promettere la Palestina ad altri quanto gli Stati Uniti hanno il diritto di promettere il Giappone all’Irlanda.
“E’ assolutamente assurdo che la Gran Bretagna, che non aveva mai avuto alcun interesse o collegamento con quella che oggi chiamiamo Palestina, potesse prometterla come moneta in cambio dell’intervento americano.
Tuttavia, fecero questa promessa, nell’ottobre 1916 [con la Dichiarazione Balfour, ndr.].
E poco dopo – non so se qualcuno di voi lo ricorda – gli Stati Uniti, che erano quasi totalmente
pro-germanici, entrarono in guerra come alleati della Gran Bretagna.
“Dico che gli Stati Uniti erano quasi totalmente filotedeschi perché i giornali qui erano controllati dagli ebrei, dai nostri banchieri ebrei – tutti i mezzi di comunicazione di massa – e gli ebrei erano filotedeschi.
Perché molti di loro provenivano dalla Germania, e anche volevano vedere la Germania rovesciare lo Zar; non volevano che la Russia vincesse.
Questi banchieri ebrei tedeschi, come Kuhn Loeb e delle altre banche d’affari negli Stati Uniti, avevano rifiutato di finanziare la Francia o l’Inghilterra anche con un solo dollaro.
Dicevano: ‘Finché l’Inghilterra è alleata alla Russia, nemmeno un centesimo!’.
Invece finanziavano la Germania; si battevano con la Germania contro la Russia.
Ora, questi stessi ebrei, quando videro la possibilità di ottenere la Palestina, andarono in Inghilterra e fecero l’accordo che ho detto.
“Tutto cambiò di colpo, come un semaforo che passa dal rosso al verde.
Dove i giornali erano filotedeschi, […] di colpo, la Germania non era più buona.
Erano i cattivi.
Erano gli Unni.
Sparavano sulle crocerossine.
Tagliavano le mani ai bambini.
Poco dopo, mister Wilson [il presidente Woodrow Wilson, ndr.] dichiarava guerra alla Germania.
I sionisti di Londra avevano spedito telegrammi al giudice Brandeis (2): ‘Lavòrati il presidente Wilson. Noi abbiamo dall’Inghilterra quello che vogliamo. Ora tu lavorati il presidente Wilson e porta gli USA in guerra’.
Così entrammo in guerra.
Non avevamo interessi in gioco.
Non avevamo ragione di fare questa guerra, più di quanto non ne abbiamo di essere sulla luna stasera, anziché in questa stanza.
Ci siamo stati trascinati perché i sionisti potessero avere la Palestina.
Questo non è mai stato detto al popolo americano.
“Appena noi entrammo in guerra, i sionisti andarono dalla Gran Bretagna e dissero: ‘Bene, noi abbiamo compiuto la nostra parte del patto. Metteteci qualcosa per iscritto come prova che ci darete la Palestina’.
Non erano sicuri che la guerra durasse un altro anno o altri dieci.
Per questo cominciarono a chiedere il conto.
La ricevuta.
Che prese la forma di una lettera, elaborata in un linguaggio molto criptico, in modo che il resto del mondo non capisse di che si trattava.
Questa fu chiamata la Dichiarazione Balfour» (3). […]
«Da qui cominciano tutti i problemi. […]
Sapete quello che accadde.
Quando la guerra finì, la Germania andò alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919 [nella delegazione USA] c’erano 117 ebrei, a rappresentare gli Stati Uniti, capeggiati da Bernard Baruch (4).
C’ero anch’io, e per questo lo so.
“Che cosa accadde dunque?
Alla Conferenza di Pace, mentre si tagliava a pezzi la Germania e si spezzettava l’Europa per darne parti a tutte quelle nazioni che reclamavano il diritto a un certo territorio europeo, gli ebrei presenti dissero: ‘E la Palestina per noi?’, ed esibirono la Dichiarazione Balfour.
Per la prima volta essa venne a conoscenza dei tedeschi.
Così i tedeschi per la prima volta compresero: ‘Ah, era questa la posta! Per questo gli Stati Uniti sono entrati in guerra’.
“Per la prima volta i tedeschi compresero che erano stati disfatti, che subivano le tremende riparazioni che gli erano imposte dai vincitori, perché i sionisti volevano la Palestina ed erano decisi ad averla ad ogni costo.
Qui è un punto interessante.
“Quando i tedeschi capirono, naturalmente cominciarono a nutrire rancore.
Fino a quel giorno, gli ebrei non erano mai stati meglio in nessun Paese come in Germania. C’era Rathenau là, che era cento volte più importante nell’industria e nella finanza di Bernard Baruch in questo Paese. C’era Balin, padrone di due grandi compagnie di navigazione, la North German Lloyd’s e la Hamburg-American Lines. C’era Bleichroder, che era il banchiere della famiglia Hohenzollern.
Cerano i Warburg di Amburgo, i grandi banchieri d’affari, i più grandi del mondo.
Gli ebrei prosperavano davvero in Germania .
E i tedeschi ebbero la sensazione di essere stati venduti, traditi.
Fu un tradimento che può essere paragonato a questa situazione ipotetica: immaginate che gli USA siano in guerra con l’URSS.
E che stiamo vincendo.
E che proponiamo all’Unione Sovietica: ‘Va bene, smettiamola. Ti offriamo la pace’.
E d’improvviso la Cina Rossa entra in guerra come alleato dell’URSS, e la sua entrata in guerra ci porta alla sconfitta.
Una sconfitta schiacciante, con riparazioni da pagare tali, che l’immaginazione umana non può comprendere.
Immaginate che, dopo la sconfitta, scopriamo che sono stati i cinesi nel nostro Paese, i nostri concittadini cinesi, che abbiamo sempre pensato leali cittadini al nostro fianco, a venderci all’URSS, perché sono stati loro a portare in guerra la Cina contro di noi.
Cosa provereste, allora, in USA, contro i cinesi?
Non credo che uno solo di loro oserebbe mostrarsi per la strada; non ci sarebbero abbastanza lampioni a cui impiccarli.
Ebbene: è quello che provarono i tedeschi verso quegli ebrei.
Erano stati tanto generosi con loro: quando fallì la prima Rivoluzione russa (5) e tutti gli ebrei dovettero fuggire dalla Russia, ripararono in Germania, e la Germania diede loro rifugio.
Li trattò bene.
Dopo di che, costoro vendono la Germania per la ragione che vogliono la Palestina come ‘focolare ebraico’».
«Ora Nahum Sokolow, e tutti i grandi nomi del sionismo, nel 1919 fino al 1923 scrivevano proprio questo: che il rancore contro gli ebrei in Germania era dovuto al fatto che sapevano che la loro grande disfatta era stata provocata dall’interferenza ebraica, che aveva trascinato nella guerra gli USA.
“Gli ebrei stessi lo ammettevano.
[…]
Tanto più che la Grande Guerra era stata scatenata contro la Germania senza una ragione, una responsabilità tedesca.
Non erano colpevoli di nulla, tranne che di avere successo.
Avevano costruito una grande nazione.
Avevano una rete commerciale mondiale.
Dovete ricordare che la Germania al tempo della Rivoluzione francese consisteva di 300 piccole città-stato, principati, ducati e così via.
“E fra l’epoca di Napoleone e quella di Bismarck, quelle 300 microscopiche entità politiche separate si unificarono in uno Stato.
Ed entro 50 anni la Germania era divenuta una potenza mondiale.
La sua marina rivaleggiava con quella dell’Impero britannico, vendeva i suoi prodotti in tutto il mondo, poteva competere con chiunque, la sua produzione industriale era la migliore.
Come risultato, che cosa accadde?
Inghilterra, Francia e Russia si coalizzarono per stroncare la Germania […].
“Quando la Germania capì che gli ebrei erano i responsabili della sua sconfitta, naturalmente nutrì rancore.
Ma a nessun ebreo fu torto un capello in quanto ebreo.
Il professor Tansill, della Georgetown University, che ha avuto accesso a tutti i documenti riservati del Dipartimento di Stato, ne cita uno scritto da Hugo Schoenfeldt, un ebreo che Cordell Hull inviò in Europa nel 1933 per investigare sui cosiddetti campi di prigionia politica, e riferì al Dipartimento di Stato USA di avere trovato i detenuti in condizioni molto buone.
Solo erano pieni di comunisti.
E una quantità erano ebrei, perché a quel tempo il 98% dei comunisti in Europa erano ebrei.
“Qui, occorre qualche spiegazione storica.
Nel 1918-19 i comunisti presero il potere in Baviera per qualche giorno, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht ed altri, tutti ebrei.
Infatti a guerra finita il Kaiser scappò in Olanda perché i comunisti stavano per impadronirsi della Germania e lui aveva paura di fare la fine dello Zar.
Una volta schiacciata la minaccia comunista, gli ebrei ancora lavorarono […] erano 460 mila ebrei fra 80 milioni di tedeschi, l’1,5% della popolazione, eppure controllavano la stampa, e controllavano l’economia perché avevano valuta estera e quando il marchio svalutò comprarono tutto per un pezzo di pane».
«Gli ebrei tengono nascosto questo, non vogliono che il mondo comprenda che avevano tradito la Germania e i tedeschi se lo ricordavano.
I tedeschi presero misure contro gli ebrei.
Li discriminarono dovunque possibile.
Allo stesso modo noi tratteremmo i cinesi, i negri, i cattolici, o chiunque in questo Paese che ci avesse venduto al nemico e portato alla sconfitta.
“Ad un certo punto gli ebrei del mondo convocarono una conferenza ad Amsterdam.
E qui, venuti da ogni parte del mondo nel luglio 1933, intimarono alla Germania:
‘Mandate via Hitler, rimettete ogni ebreo nella posizione che aveva, sia comunista o no. Non potete trattarci in questo modo. Noi, gli ebrei del mondo, lanciamo un ultimatum contro di voi’.
Potete immaginare come reagirono i tedeschi.
Nel 1933, quando la Germania rifiutò di cedere alla conferenza mondiale ebraica di Amsterdam, Samuel Untermeyer, che era il capo della delegazione americana e presidente della conferenza, tornò in USA, andò agli studios della Columbia Broadcasting System (CBS) e tenne un discorso radiofonico in cui in sostanza diceva:
‘Gli ebrei del mondo dichiarano ora la Guerra Santa contro la Germania. Siamo ora impegnati in un conflitto sacro contro i tedeschi. Li piegheremo con la fame. Useremo contro di essi il boicottaggio mondiale. Così li distruggeremo, perché la loro economia dipende dalle esportazioni’ (6).
“E di fatto i due terzi del rifornimento alimentare tedesco dovevano essere importati, e per importarlo dovevano vendere, esportare, i loro prodotti industriali.
All’interno, producevano solo abbastanza cibo per un terzo della popolazione.
Ora in quella dichiarazione, che io ho qui e che fu pubblicata sul New York Times del 7 agosto 1933, Samuel Untermeyer dichiarò audacemente che ‘questo boicottaggio economico è il nostro mezzo di autodifesa.
Il presidente Roosevelt ha propugnato la sua adozione nella Nation Recovery Administration’, che, qualcuno di voi ricorderà, imponeva il boicottaggio contro qualunque Paese non obbedisse alle regole del New Deal, e che poi fu dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema.
“Tuttavia, gli ebrei del mondo intero boicottarono la Germania, e il boicottaggio fu così efficace che non potevi più trovare nulla nel mondo con la scritta ‘Made in Germany’.
Un dirigente della Woolworth Co. mi raccontò allora che avevano dovuto buttare via milioni di dollari di vasellame tedesco; perché i negozi erano boicottati se vi si trovava un piatto con la scritta ‘Made in Germany’; vi formavano davanti dei picchetti con cartelli che dicevano ‘Hitler assassino’ e così via.
In un magazzino Macy, di proprietà di una famiglia ebraica, una donna trovò calze con la scritta ‘Made in Germany’
Vidi io stesso il boicottaggio di Macy’s, con centinaia di persone ammassate all’entrata con cartelli che dicevano ‘Assassini’, ‘Hitleriani’, eccetera».
«Va notato che fino a quel momento in Germania non era stato torto un capello sulla testa di un ebreo.
Non c’era persecuzione, né fame, né assassini, nulla.
Ma naturalmente, adesso i tedeschi cominciarono a dire:
‘Chi sono questi che ci boicottano, e mettono alla disoccupazione la nostra gente e paralizzano le nostre industrie?’.
Così cominciarono a dipingere svastiche sulle vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei […]
Ma solo nel 1938, quando un giovane ebreo polacco entrò nell’ambasciata tedesca a Parigi e sparò a un funzionario tedesco, solo allora i tedeschi cominciarono ad essere duri con gli ebrei in Germania.
Allora li vediamo spaccare le vetrine e fare pestaggi per la strada.
Io non amo usare la parola ‘antisemitismo’ perché non ha senso, ma siccome ha un senso per voi, dovrò usarla.
La sola ragione del risentimento tedesco contro gli ebrei era dovuta al fatto che essi furono i responsabili della Prima Guerra mondiale e del boicottaggio mondiale.
In definitiva furono responsabili anche della Seconda Guerra mondiale, perché una volta sfuggite le cose dal controllo, fu assolutamente necessario che gli ebrei e la Germania si battessero in una guerra per questione di sopravvivenza.
Nel frattempo io ho vissuto in Germania, e so che i tedeschi avevano deciso che l’Europa sarebbe stata comunista o ‘cristiana’: non c’è via di mezzo.
E i tedeschi decisero che avrebbero fatto di tutto per mantenerla ‘cristiana’.
Nel novembre 1933 gli Stati Uniti riconobbero l’Unione Sovietica.
“L’URSS stava diventando molto potente, e la Germania comprese che ‘presto toccherà a noi, se non saremo forti».
E’ la stessa cosa che diciamo noi, oggi, in questo Paese.
Il nostro governo spende 83-84 miliardi di dollari per la difesa.
Difesa contro chi?
Contro 40 mila piccoli ebrei a Mosca che hanno preso il potere in Russia, e con le loro azioni tortuose, in molti altri Paesi del mondo.[…]
Che cosa ci aspetta?»
«Se scateniamo una guerra mondiale che può sboccare in una guerra atomica, l’umanità è finita.
Perché una simile guerra può avvenire?
Il fatto è che il sipario sta di nuovo salendo.
Il primo atto fu la Grande Guerra, l’atto secondo la Seconda guerra mondiale, l’atto terzo sarà la Terza guerra mondiale.
I sionisti e i loro correligionari dovunque vivano, sono determinati ad usare di nuovo gli Stati Uniti perché possano occupare permanentemente la Palestina come loro base per un governo mondiale.
Questo è vero come è vero che sono di fronte a voi.
Non solo io ho letto questo, ma anche voi lo avete letto, ed è noto a tutto il mondo. […]
Io avevo una idea precisa di quello che stava accadendo: ero l’ufficiale di Henry Morgenthau Sr. nella campagna del 1912 in cui il presidente [Woodrow] Wilson fu eletto.
Ero l’uomo di fiducia di Henry Morgenthau Sr., che presiedeva la Commissione Finanze, ed io ero il collegamento tra lui e Rollo Wells, il tesoriere.
In quelle riunioni il presidente Wilson era a capo della tavola, e c’erano tutti gli altri, e io li ho sentiti ficcare nel cervello del presidente Wilson la tassa progressiva sul reddito e quel che poi divenne la Federal Reserve, e li ho sentiti indottrinarlo sul movimento sionista.
Il giudice Brandeis e il presidente Wilson erano vicini come due dita della mano.
Il presidente Wilson era incompetente come un bambino.
Fu così che ci trascinarono nella Prima guerra mondiale, mentre tutti noi dormivamo. […]
Quali sono i fatti a proposito degli ebrei?
Li chiamo ebrei perché così sono conosciuti, ma io non li chiamo ebrei.
Io mi riferisco ad essi come ai ‘cosiddetti ebrei’, perché so chi sono.
Gli ebrei dell’Europa orientale, che formano il 92% della popolazione mondiale di queste genti che chiamano se stesse ‘ebrei’, erano originariamente Kazari.
Una razza mongolica, turco-finnica.
Erano una tribù guerriera che viveva nel cuore dell’Asia.
Ed erano tali attaccabrighe che gli asiatici li spinsero fuori dall’Asia, nell’Europa orientale.
Lì crearono un grande regno Kazaro di 800 mila miglia quadrate.
A quel tempo [verso l’800 dopo Cristo, ndr] non esistevano gli USA, né molte nazioni europee […]. Erano adoratori del fallo, che è una porcheria, e non entro in dettagli.
Ma era questa la loro religione, come era anche la religione di molti altri pagani e barbari».
«Il re Kazaro finì per disgustarsi della degenerazione del proprio regno, sì che decise di adottare una fede monoteistica – il cristianesimo, l’Islam, o quello che oggi è noto come ebraismo, che è in realtà talmudismo.
Gettando un dado, egli scelse l’ebraismo, e questa diventò la religione di Stato.
Egli mandò inviati alle scuole talmudiche di Pambedita e Sura e ne riportò migliaia di rabbini, aprì sinagoghe e scuole, e il suo popolo diventò quelli che chiamiamo ‘ebrei orientali’.
Non c’era uno di loro che avesse mai messo piede in Terra Santa.
Nessuno!
Eppure sono loro che vengono a chiedere ai cristiani di aiutarli nelle loro insurrezioni in Palestina dicendo: ‘Aiutate a rimpatriare il Popolo Eletto da Dio nella sua Terra Promessa, la loro patria ancestrale, è il vostro compito come cristiani… voi venerate un ebreo [Gesù] e noi siamo ebrei!’.
Ma sono pagani Kazari che si sono convertiti.
E’ ridicolo chiamarli ‘popolo della Terra Santa’, come sarebbe chiamare 53 milioni di cinesi musulmani ‘Arabi’.
Ora, immaginate quei cinesi musulmani a 2.000 miglia dalla Mecca, se si volessero chiamare ‘arabi’ e tornare in Arabia.
Diremmo che sono pazzi.
Ora, vedete com’è sciocco che le grandi nazioni cristiane del mondo dicano: ‘Usiamo il nostro potere e prestigio per rimpatriare il Popolo Eletto da Dio nella sua patria ancestrale’.
C’è una menzogna peggiore di questa?
Perché loro controllano giornali e riviste, la televisione, l’editoria, e perché abbiamo ministri dal pulpito e politici dalla tribuna che dicono le stesse cose, non è strano che crediate in questa menzogna.
Credereste che il bianco è nero se ve lo ripetessero tanto spesso.
Questa menzogna è il fondamento di tutte le sciagure che sono cadute sul mondo.
Sapete cosa fanno gli ebrei nel giorno dell’Espiazione, che voi credete sia loro tanto sacro?
Non ve lo dico per sentito dire…
Quando, il giorno dell’Espiazione, si entra in una sinagoga, ci si alza in piedi per la primissima preghiera che si recita.
Si ripete tre volte, è chiamata ‘Kol Nidre’».
«Con questa preghiera, fai un patto con Dio Onnipotente che ogni giuramento, voto o patto che farai nei prossimi dodici mesi sia vuoto e nullo (7).
Il giuramento non sia un giuramento, il voto non sia un voto, il patto non sia un patto.
Non abbiano forza.
E inoltre, insegna il Talmud, ogni volta che fai un giuramento, un voto o un patto, ricordati del Kol Nidre che recitasti nel giorno dell’Espiazione, e sarai esentato dal dovere di adempierli.
Come potete fidarvi della loro lealtà?
Potete fidarvi come si fidarono i tedeschi nel 1916.
Finiremo per subire lo stesso destino che la Germania ha sofferto, e per gli stessi motivi».
E’ la profezia di Benjamin Freedman .
Ci riguarda.
Maurizio Blondet
Note
1) Freedman fondò tra l’altro la «Lega per la pace con giustizia in Palestina», e collaborò con l’americano «Istituto per la revisione storica», il centro promotore di tutto ciò che viene chiamato «revisionismo storico». E’ scomparso nel 1984.
2) Louis Dembitz Brandeis, influentissimo giudice della Corte Suprema, acceso sionista, fu il consigliere molto ascoltato di W. Wilson. Brandeis apparteneva alla setta ebraica aberrante fondata nella Polonia del ‘700 da Jacob Frank: essa predicava che la salvezza si consegue attraverso il peccato. Confronta il mio «Cronache dell’Anticristo».
3) Il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri britannico, lord Arthur Balfour, scrisse a Lord Rotschild una lettera in cui dichiarava: «Il governo di Sua Maestà vede con favore la nascita in Palestina di un focolare nazionale per le genti ebraiche, e userà tutta la sua buona volontà per facilitare il raggiungimento di questo obbiettivo. Si intende che nulla dovrà essere fatto per pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti popolazioni non ebraiche in Palestina». Era la «Dichiarazione Balfour», che decretava di fatto la nascita dello Stato d’Israele. Lord Balfour, spiritista e massone, fondatore della Loggia «Quatuor Coronati» (la Loggia-madre di tutte le Massonerie di obbedienza «scozzese») credeva fra l’altro che agevolare il ritorno degli ebrei in Palestina avrebbe accelerato il secondo avvento di Cristo. Il punto è che la terra che Sua Maestà prometteva agli ebrei non era sotto dominio britannico, ma parte dell’impero Ottomano. Per dare attuazione al «focolare ebraico», il governo britannico non esitò a distogliere centinaia di migliaia di soldati dal pericolante fronte europeo, per spedirli alla conquista di Gerusalemme.
4) Bernard Baruch (1876-1964), potente finanziere ebreo, nato in Texas, fu il consigliere privato di sei presidenti, da Woodrow Wilson (1916) a D. Eisenhower (1950). Nella prima come nella seconda guerra mondiale, Baruch promosse la creazione del War Industry Board, l’organo di pianificazione centralizzata della produzione bellica. Di fatto, fu una sorta di «governo segreto» degli Stati Uniti, che praticò ampiamente i metodi del socialismo, compreso il controllo della stampa e il sistema di razionamento alimentare. Dopo la seconda guerra mondiale Baruch e i banchieri ebrei americani gestirono i fondi del Piano Marshall. Ne affidarono la distribuzione a Jean Monnet, loro fiduciario. Secondo le istruzioni ricevute, per dare i fondi, Monnet esigeva la cessione da parte degli Stati europei di sostanziali porzioni di sovranità: così fu creata la Comunità Europea.
5) Si tratta della «rivoluzione dekabrista» del 1905, in realtà un putsch di giovani ufficiali zaristi, tutti ebrei. La comunità ebraica russa la sostenne, e i suoi figli vi parteciparono con inaudita violenza. Futuri capi della successiva rivoluzione bolscevica, come Trotsky e Parvus, furono l’anima dei dekabristi, e dovettero riparare all’estero dopo il fallimento.
6) Freedman allude qui al vero e proprio rito magico di maledizione, detto Cherem o scomunica maggiore, celebrato al Madison Square Garden il 6 settembre 1933. «Furono ritualmente accesi due ceri neri e si soffiò tre volte nello shofar [il corno di ariete], mentre il rabbino B.A. Mendelson pronunciava la formula di scomunica» contro la Germania. Samuel Untermeyer, membro del B’nai B’rith, ripeterà il 5 gennaio 1935 la dichiarazione di embargo totale contro le merci tedesche «a nome di tutti gli ebrei, framassoni e cristiani» (Jewish Daily Bulletin, New York,
6 gennaio 1935).
7) E’ la preghiera centrale dello Yom Kippur. Eccone la formula: «Di tutti i voti, le rinunce, i giuramenti, gli anatemi oppure promesse, ammende o delle espressioni attraverso cui facciamo voti, confermiamo, ci impegniamo o promettiamo di qui fino all’avvento del prossimo giorno dell’Espiazione, noi ci pentiamo, in modo che siano tutti sciolti, rimessi e condonati, nulli, senza validità e inesistenti. I nostri voti non sono voti, le nostre rinunce non sono rinunce, e i nostri giuramenti non sono giuramenti». Secondo il rabbino Jacob Taubes, con questa formula il popolo eletto si scioglie dalla comunità del resto del genere umano – dalle sue leggi, dalle sue lealtà alle istituzioni e allo Stato – per dedicarsi solo a Dio. In realtà, il Kol Nidre fonda l’antinomismo radicale della religione ebraica: il «popolo di Dio» non è tenuto ad obbedire ad alcuna norma.
Per Taubes, il popolo ebraico è dunque il popolo dissolutore, il contrario del «kathecon» (Ciò che trattiene l’Anticristo, in San Paolo, ossia il diritto naturale adottato da Roma) (Jacob Taubes, «La Teologia Politica di San Paolo», Adelphi, pagina 71).
Fonte: Estratto, da «Israele, USA, il terrorismo islamico» , Maurizio Blondet, EFFEDIEFFE, 2005, pagine 161-171.
Da Wikipedia:
Benjamin Harrison Freedman (New York, 4 ottobre 1890 – maggio 1984) è stato un politico statunitense. Era di confessione ebrea ashkenazita poi convertitosi al cristianesimo. Divenne un acceso polemista critico del giudaismo e del sionismo. Tenne molte conferenze e discorsi e scrisse anche alcuni articoli su questo tema.
Freedman fu l’assistente di Bernard Baruch nella campagna presidenziale dei 1912. Egli assicurava i collegamenti tra Rolla Wells che era il governatore della Federal Reservedi St.Louis e Sir. Henry Morgenthau. Fu spesso presente a riunioni con il futuro presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nel seno del Comitato Democratico Nazionale dove conobbe anche Samuel Untermyer. Fu presente assieme a altri centodiciassette ebrei sionisti guidati da Bernard Baruch alla conferenza di Versailles che porto al trattato di Versailles, nel quale vennero concretizzati gli impegni presi dagli inglesi due anni prima nella Dichiarazione Balfour. Tra le sue relazioni si possono annoverare: Franklin Roosevelt, Joseph Kennedy e il figlio John F. come altre persone molto influenti degli Stati Uniti di quegli anni H.L.Hunt e figlio e Nelson Bunker. Negli anni venti collaborò alla gestione di un istituto democratico e fu il principale azionista della società Woodbury. Questo gli assicurò una discreta fortuna personale, con la quale nel 1946 poté fondare con un patrimonio di cinque milioni di dollari la Lega per la pace e la giustizia.