Ho paura che abbiano ragione….
Inside Over
Alla fine è successo: la notte del 24 febbraio, rispondendo ad una richiesta di aiuto militare proveniente da Donetsk a seguito di un presunto attacco da parte ucraina, Vladimir Putin ha dato concretezza agli accordi di amicizia e mutua assistenza siglati tre giorni prima con le repubbliche separatiste del Donbass.
La notte del 24 febbraio è accaduto l'(in)evitabile: i soldati hanno sostituito i diplomatici, il dialogo è stato interrotto definitivamente, l’atteso redde rationem tra Zbigniew Brzezinski ed Evgenij Primakov è giunto. È scoppiata la guerra fratricida tra la Federazione russa e l’Ucraina, tra Edipo e Laio.
Si dice che tra i due litiganti il terzo gode, e che quando quando due elefanti combattono è l’erba a rimanere schiacciata. In questo caso, il caso dell’Ucraina, il terzo levantino sono gli Stati Uniti e l’erba schiacciata è costituita dalla disunita, miope, post-storica e senile Europa.
Le ragioni di Biden
Poco più di un anno fa, all’alba dell’insediamento alla Casa Bianca, avevamo invitato i lettori a non eccedere nell’entusiasmo per il ritorno del Partito Democratico al potere negli Stati Uniti: Joe Biden non avrebbe risanato la cosiddetta “rottura atlantica” e, anzi, avrebbe continuato la politica di logoramento dell’egemonia franco-tedesca dei precedessori, cambiandone la forma ma senza alterarne la sostanza.
Una “coesione coercitiva” camuffata da “richiamo all’unità” avrebbe potuto essere “l’instrumentum regni di Biden per prevenire, rallentare e ritardare il conseguimento della cosiddetta autonomia strategica europea caldeggiata da Macron“. Ed è accaduto. Le chiamate alle armi, aventi quale obiettivo l’allontanamento dello spettro mackinderiano di un asse eurorusso, hanno avuto inizio sin dai primordi: la battaglia delle spie, la guerra dei diplomatici, nuovi cicli di sanzioni coordinate.
Biden non ha mai voluto realmente negoziare con la Russia la riforma dell’architettura della sicurezza europea: questo è il motivo per cui la via della diplomazia ha fallito. E perché Putin abbia trovato le porte chiuse al di là dell’Atlantico è piuttosto chiaro: l’organismo securitario euroatlantico, nella sua conformazione attuale, permette agli Stati Uniti di avere il controllo integrale dell’Europa, i piedi posati tra Medio Oriente e Nord Africa e un incredibile potenziale di profondità strategica con cui esercitare una pressione diretta e costante alla Russia da una pluralità di fronti, cioè Artico, Baltico, Mar Nero e Transcaucasia. È, in sintesi, la colonna portante dell’egemonia americana sul paragrafo occidentale dell’Eurafrasia: una sua qualsivoglia riforma al ribasso sarebbe contraria alla grand strategy dello stato profondo per l’Isola-mondo.
La via dell’esasperazione
Putin sperava che l’imponente manifestazione di forza posta in essere lungo i confini dell’Ucraina potesse in qualche modo impressionare l’amministrazione Biden e persuaderla a trattare. Aveva ottenuto la bilaterale di Ginevra, del resto, proprio orchestrando una crisi controllata di simili dimensioni. Ma Biden, questa volta, intuendo la possibilità del superamento del punto di non ritorno – perché, oltre una certa soglia, ritirarsi senza aver ottenuto nulla diventa impossibile –, ha astutamente rispedito al mittente ogni richiesta: no ad una nuova Jalta, no all’intermediazione di parti terze, no a qualsiasi compromesso anche su punti obiettivamente negoziabili.
La strategia dell’intransigenza di Biden, alla quale la storia ha dato rapidamente ragione, è stata dettata dalla speranza-aspettativa che l’esasperazione percepita dalle controparti russe potesse condurle a ponderare la trasformazione dell’opzione più remota – una guerra aperta e su larga scala nella sacrificabile Ucraina – in uno scenario ineluttabile. Scenario cupo, sì, eppure geopoliticamente e geoeconomicamente utile, poiché in grado di legittimare l’imposizione di dettami agli aminemici europei altrimenti irricevibili, quali lo spegnimento del Nord Stream 2, l’allontanamento a tempo indefinito di ogni proposito di ravvicinamento diplomatico e l’applicazione di sanzioni tali da poter determinare un disaccoppiamento tra Unione Europea e Russia.