INDEBITAMENTO E NEOCOLONIALISMO: ALLA RADICE MEFISTOFELICA DELLE MIGRAZIONI – terza parte – di Luigi Copertino

INDEBITAMENTO E NEOCOLONIALISMO: ALLA RADICE MEFISTOFELICA DELLE MIGRAZIONI

terza parte

 

L’Unione Monetaria Africana ed il franco CFA

Un ruolo chiave, in Africa, della strategia neocoloniale lo ha svolto l’imposizione di una moneta unica nella forma del franco CFA, che, come ricorda Serge Michailof, «… è gestito a Francoforte in funzione di criteri che non hanno alcun rapporto con le preoccupazioni delle economie africane» (citato in Bifarini cit., p. 118).

L’acronimo sta per “franco delle Colonie Francesi Africane”. Istituito nel 1945 a Bretton Woods e trasformato nel 1958 in “franco della Comunità Francese dell’Africa”. Un cambiamento soltanto nominale in sintonia con il vento della decolonizzazione apparente che soffiava nel dopoguerra. In quel clima post-bellico sembrò a Parigi più carino parlare di “Comunità Francese dell’Africa” piuttosto che di “Colonie Francesi Africane”.

Il franco CFA è la moneta unica dell’intera area francofona africana. Fino al 2002 era legato con cambio fisso al franco francese, adesso è ancorato all’euro. La Francia si è riservata la funzione di garante della convertibilità della moneta africana, sottraendo tale competenza alla stessa BCE. Le nazioni africane che usano detta moneta devono depositare presso il Tesoro francese il 65% delle proprie riserve valutarie estere. Parigi inoltre detta le linee di politica monetaria che le due principali Banche Centrali Africane devono seguire. Si tratta del Banque Centrale des Etats de l’Afrique de l’Ouest, che ha competenza sugli Stati aderenti all’Unione Economique et Monétaire Ouest Africaine (Togo, Niger, Senegal, Guinea Bissau, Mali, Benin, Costa d’Avorio, Burkina Faso), e del Banque des Etats de l’Afrique Centrale che ha competenza sugli Stati aderenti alla Communauté Economique et Monétaire de L’Afrique Centrale (Ciad, Giunea Equatoriale, Congo Brazzaville, Repubblica Centrafricana, Gabon, Camerun).

Le unioni monetarie, realizzate tramite cambio fisso o tramite moneta unica, hanno il vantaggio di annullare il rischio di cambio per gli investimenti esteri e per il commercio internazionale. Quindi, in Africa, del cambio fisso si sono avvantaggiate le multinazionali occidentali mentre l’economia locale è rimasta soffocata dalla rigidità del cambio prima con il franco francese e poi con l’euro, quindi dall’impossibilità di esportare le proprie produzioni con una moneta leggera ossia a un prezzo più basso. Attraverso la moneta unica, in altre parole, gli Stati africani hanno perso, se mai l’hanno avuta, la sovranità monetaria: La moneta unica, sottratta al controllo degli Stati africani, ha favorito la libera circolazione dei capitali che, secondo i dati del Global Financial Institute, ha significato per l’area francofona africana la fuga di 850 miliardi di dollari tra il 1970 ed il 2008, con conseguente rimpatrio dei profitti da parte della multinazionali senza che neanche un euro restasse sul territorio africano. Mediante il franco CFA le nazioni francofone dell’Africa assolvono al ruolo di magazzino di riserva di materie prime e manufatti per l’Occidente. Non può meravigliare se contro la moneta unica africana stia insorgendo un movimento panafricano. Un suo militante senegalese, Kemi Seba, è stato arrestato per aver bruciato in pubblico banconote di franchi CFA. Nulla di tutto questo è trapelato sui media occidentali megafono del Potere Internazionale del Denaro.

Le unioni monetarie nella storia sono state rarissime e generalmente hanno avuto esiti catastrofici. Secondo la dogmatica liberista, che considera la moneta una merce, è il mercato che delinea l’area valutaria ottimale. Quindi basta aprire le frontiere alla libera circolazione dei capitali ed adottare una moneta unica per assicurare l’afflusso di capitali e la crescita. La narrativa sulle aree valutarie ottimali è strumentale al dominio coloniale del capitale apolide e delle economie più forti che controllano la moneta unica o il rapporto di cambio unico. Un’area valutaria ben funzionante ed efficace è conseguente soltanto alla presenza politica di uno Stato e quindi di un bilancio statale unico, non al mercato. Negare ad un’area la propria sovranità monetaria significa tagliare alle radici la possibilità di progettare, nel più vasto concerto internazionale, autonome politiche di sviluppo locale. Infatti, come è accaduto nell’eurozona, anche nel caso della moneta unica africana sono emersi immediatamente tutti gli effetti negativi delle unioni monetarie, ad iniziare dagli squilibri nelle bilance dei pagamenti provocati proprio dalla moneta unica – per alcuni di valore troppo alto, per altri troppo basso – e dall’ossessione dell’inflazione che porta ad attuare politiche di austerità che sfociano nella deflazione e pertanto nello stop della crescita. L’accanimento contro l’inflazione ha condannato alla stagnazione economica quindici Paesi dell’Africana francofona, che insieme totalizzano più di cento milioni di abitanti.

«… i leader africani – ha dichiarato in una intervista l’economista africano Nicholas Agbohou, autore del libro “Le Franc CFA et l’Euro contre l’Afrique” – vanno a Parigi con le valigie piene di franchi CFA che scambiano con franchi o dollari. Ma le banche centrali africane sono obbligate a riscattare questi CFA che i leader hanno lasciato in Francia e che la Francia non vuole tenere. E devono farlo con una valuta forte! Quindi dal 65% dei proventi sulle esportazioni, che rimangono in deposito per le operazioni (…). Supponiamo che un paese come il Niger, che non è in grado di pagare i propri funzionari, esporta prodotti per il valore di un miliardo di dollari, automaticamente deve lasciare in Francia un deposito di 650 milioni di euro. Questo è assurdo! Nel frattempo i nigeriani muoiono di fame” (…). Prima di fissare il cambio franco CFA con l’Euro, solo la Francia aveva voce in capitolo sulle nostre economie. Ora è tutta l’Europa! Peggio ancora, le misure draconiane di Bruxelles sono incompatibili con le esigenze delle nostre economie. Ecco perché io insisto a ripudiare al più presto il CFA. Nessun paese può svilupparsi senza l’indipendenza monetaria» (citato in Bifarini cit., pp. 120-121).

Forse iniziamo a comprendere perché mai Sarkozy impose alla Nato ed all’UE la sua aggressione militare contro la Libia di Gheddafi che stava progettando una unione monetaria alternativa con una moneta gestita e controllata dagli stessi africani.

Esaminando la questione dalla nostra ottica nazionale, italiana, è possibile cogliere in questa dipendenza monetaria di gran parte dell’Africa dalla Francia non solo la causa principale delle emigrazioni in sé ma la causa del fatto che queste migrazioni, approfittando del Trattato di Lisbona e della debolezza fino a tempi recenti dimostrata dai nostri governi – dai governi di un’Italia invertebrata, per parafrasare quanto un Ortega y Gasset lamentava della sua Spagna – sono eterodirette, dalla stessa Francia spalleggiata dalla Germania, verso il nostro Paese. Lo ha ben spiegato Piero Laporta, in un lungo reportage a puntate su “La Verità” del 18 e del 24.08.2018, evidenziando anche i retroscena finanziari e geopolitici per i quali il nuovo corso politico italiano stia rompendo le uova nel paniere a Parigi e Berlino. Della ricostruzione di Laporta citiamo, qui, i passi più salienti relativi alla sovranità monetaria francese sull’Africa.

«Mentre i bombardieri francesi – scrive dunque Laporta – sorvolavano indisturbati il territorio italiano per colpire Gheddafi, fu chiaro che il governo e le autorità istituzionali italiane agivano da fedeli vassalli del governo sovrano di Parigi, esattamente come i vassalli dell’Africa francofona. Questi aggiogati con il franco africano, noi con l’euro franco tedesco. Avete capito bene: la Francia stampa moneta in Africa. Una sporcizia vecchia, risalente all’immediato dopoguerra, ignorata da troppi. Il 65% delle riserve di valute dei Paesi africani francofoni … sono nella Banca centrale francese, sotto il controllo del ministero delle Finanze di Parigi dal 1961. (Gli Stati africani francofoni) … sono sotto il tacco francese: pagano il pizzo sui contratti di forniture, sulle esportazioni, su ogni centesimo del loro Pil, adottano il franco della Comunità finanziaria d’Africa (FCA) stampato a Parigi. La Francia succhia da questi popoli 500 miliardi di euro ogni anno. (…). I governanti delle colonie hanno due opzioni. Se dissentono, muoiono: per infarto, per incidente aereo, per un colpo di Stato … Se obbediscono, vivono da satrapi. Le loro popolazioni? Povere e disperate, sono sollecitate a migrare. Se rimanessero monterebbe una violenza irresistibile e crescente almeno dal 2000, quando allo sfruttamento francese si è aggiunto quello cinese. Devono dunque emigrare. Dove? Vorrebbero andare in Francia o, se possibile, in Germania, persino nell’Europa del Nord, ricca e felice, magari a Bruxelles, in Belgio, ex Paese coloniale dove si parla francese. Dopo tutto si sentono affini, quasi mitteleuropei, francesi per cultura e lingua dopo un secolo di sfruttamento. La Francia, la Germania e l’Ue preferiscono che rimangano in Italia. Il governo francese ha schierato al confine con Ventimiglia i peggiori scherani che mai si sono visti dai tempi di Vichy. Per 70 anni, dal manifesto di Ventotene, ci dissero che “nazione” è una bestemmia, invece “europeismo” è la medicina. Oggi è chiaro: nazione è una bestemmia, a meno che non sia “nazione francese” e “nazione tedesca”. Se qualche africano vuole abbeverarsi direttamente alla fonte della cultura francese, deve fermarsi nel lager di Ventimiglia. (…). In altri termini la Francia sovranista cura i propri interessi con la valuta delle colonie africane e con quella delle colonie europee. Questa condizione francese apparentemente forte, persino tracotante, è in realtà il tallone d’Achille dell’impero franco tedesco. Francesi e tedeschi lo sanno bene. Per tale motivo devono tenerci sotto il tacco, trovando sponda nella dirigenza del Partito democratico, così come in precedenza – in misura meno avvertibile – la trovarono nella dirigenza del Partito socialista e in frazioni della Democrazia cristiana e del Partito comunista italiano. Aldo Moro (che aveva compreso e tentato di opporsi all’egemonia franco tedesca, nda), per capirci, è morto a Parigi prima ancora che gli sparassero a Roma. L’oppressione franco tedesca, come qualunque dominio illegale, deve crescere incessantemente; se si arresta è destinata a soccombere alla reazione dei dominati. (…). Parigi e Berlino non possono tornare indietro, non possono fermarsi, ora devono puntare al bottino grosso. Spogliare la Grecia fu uno scherzo: aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, Pil inferiore alla Brianza. Bastò un boccone (…). Per l’Italia è diverso. Un capitale enorme, tanto appetibile quanto arduo da ingoiare. (…). Come possono rapinarci? Il sistema è sempre il medesimo: creare il caos per imporre il proprio ordine, uccidendo, calunniando, rovinando chiunque si opponga. Enrico Mattei, Giovanni Leone, Aldo Moro, Benedetto XVI. Un tempo bastò attizzare gli “opposti estremismi” e prezzolare qualche banchiere. Oggi devono operare su scala più vasta e più subdola: l’immigrazione incontrollata è l’arma perfetta, disarticola il sistema socio politico italiano, allenta la tensione in Africa, prepara la strada a una nuova discesa dei barbari al di qua delle Alpi, annunciati dalla Troika, per conquistare il bottino italiano, beninteso in nome dell’Unione europea e della solidarietà».

«La Cina – conclude, poi, Laporta – dilaga nell’Africa francofona, protetta dalle truppe francesi e dai prezzolati ascari locali. Parigi ne ricava un tornaconto considerevole, pompando non meno di 500 miliardi ogni anno dai popoli francofoni africani e stampando autonomamente moneta – il franco africano – unica privilegiata, la Francia, fra i membri Ue, a battere moneta. La stampa autonoma di moneta è la massima dichiarazione di sovranismo da parte d’un Paese altrimenti impegnato a predicare l’europeismo. Francia, Germania e Cina creano povertà in Africa, alimentano i flussi migratori, riversandone gli effetti innanzitutto sull’Italia. La destabilizzazione, la povertà, le conflittualità, cioè le cause principali delle migrazioni di massa, originano da Parigi, Berlino e Pechino. In Africa e in Cina si generano masse di denaro nero, incontrollabili, con le quali corrompono i governi amici e destabilizzano gli ostili, pagano le Ong, i mercenari, le tv, i politici, le istituzioni, inclusi gli intellettuali italiani, un tanto al chilo. (…). La massa di denaro nero, circolante fra l’Africa e la Cina, spiega la tenacia di quanti in Italia sono genuflessi agli interessi franco tedeschi. La prima questione politica da porre sul tavolo di Bruxelles … è … l’incongruenza d’una Ue, gravata da spese per le migrazioni e per “aiutare gli africani a casa loro”, mentre la Francia (con la Germania) sfrutta bestialmente l’Africa, in antitesi proprio ai principi fondanti dell’Unione europea, gli stessi principi evocati per esigere – a nostre spese – l’accoglienza per i migranti africani. La Francia e la Germania insieme favoriscono lo sfruttamento della Cina sugli africani, aumentando così esponenzialmente le cause delle migrazioni. (…). Le politiche franco tedesche per l’immigrazione africana riversano in Europa le masse di migranti, al servizio di uno scopo strategico più alto: assicurare le risorse all’impero franco tedesco, cioè assoggettare agli interessi franco tedeschi tutte le nazioni europee, in primo luogo quelle affacciate sul Mediterraneo. (…) Francia e Germania, sottomettendo l’Italia, intendono controllare tutto il Mediterraneo allargato, fino al Golfo Persico e all’Asia. Senza il Mediterraneo, l’Ue sarebbe tagliata fuori dalle tre principali vie di comunicazione – Gibilterra, Suez e Dardanelli – che spalancano le porte verso il mondo intero. (…). Germania e Francia, sottomettendo le nazioni mediterranee, pongono le fondamenta del loro impero. L’Unione europea, i suoi trattati, i suoi regolamenti, le sue istituzioni sono strumentali a tale scopo strategico, il cui successo ha come esito inevitabile la conquista dell’Italia (…). Germania e Francia – con determinate cerchie statunitensi e britanniche – iniziarono il cammino mediante una guerra, cominciata dopo il 1989, tuttora in corso».

Dall’Austerità all’Apocalisse

«Quando si tratta di aver a che fare con l’austerity – ha osservato Andrew Rugaisra, imprenditore e scrittore ugandese, citato dalla Bifarini –, l’Africa ha scritto il libro di testo. Le dure misure economiche adottate dal governo irlandese (durante la crisi iniziata nel 2008, nda) su indicazione del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea sono analoghe ai programmi di austerità – o programmi di aggiustamento strutturale (PAS) – a cui molti paesi e governi africani sono stati costretti ad aderire negli anni Ottanta e Novanta» (in Bifarini, p. 182).

Lo scomparso Luciano Gallino ammoniva che la crisi emersa in Occidente nel 2008 non riguarda soltanto l’economia ma la stessa civiltà umana. L’Onu ha proclamato l’“Agenda 2030” annunciando la scomparsa della fame e della povertà entro quella data. L’obiettivo sarà raggiunto, sostiene il documento onusiano, mediante appropriate politiche di austerità, apertura indiscriminata al libero commercio mondiale, abbattimenti di frontiere e dazi, e riduzione della spesa pubblica fino al minimo possibile. La deregolamentazione dei mercati finanziari non subirà alcun arresto benché la speculazione lucri sul debito degli Stati, perché, secondo l’Onu, il problema sarà risolto eliminando il debito pubblico. Apprendiamo così che, nonostante i fallimenti di tutte le politiche neoliberiste finora sperimentate, gli organismi globalisti non intendono demordere. Essi continuano a promettere che mediante le politiche di aggiustamento strutturale si genererà un aumento notevole degli investimenti su scala globale e, quindi, di conseguenza dell’occupazione e dei salari, nonostante che tutti i dati empirici degli aggiustamenti, dove sono stati realizzati, ci dicono che il loro esito è stato, a contrario di quanto promesso, deflazione, depressione e drammi sociali.

Dopo l’Africa, è ora la volta dell’Europa intrappolata nella gabbia costruita dall’eurocrazia globocrate. Le misure di austerità attuate dall’Unione Europea, insieme alla Banca Centrale Europea ed al Fondo Monetario Internazionale (la tristemente famosa Troika), sono assolutamente analoghe ai Piani di Aggiustamento Strutturale applicati, devastandone il tessuto umano e sociale, in Africa. In Grecia, abbattuta dal 2011 la spesa pubblica per la sanità, il virus dell’HIV ha avuto un aumento di diffusione del 52% mentre il tasso dei suicidi economici è schizzato nel solo 2012 del 25%. Entro il 2020 la politica di austerità neoliberista coinvolgerà i due terzi dei Paesi del mondo senza più distinzioni tra Primo, Secondo o Terzo Mondo. Mediante gli aggiustamenti strutturali, l’ottanta per cento della popolazione mondiale sarà assoggettata al Potere Internazionale del Denaro. L’austerità provocherà un crollo del 7% del Pil mondiale e la scomparsa di 12 milioni di posti di lavoro. E sarà solo l’inizio. Di conseguenza i flussi migratori dall’Africa verso l’Europa aumenteranno esponenzialmente. Il peggioramento delle condizioni di vita in Africa, causate dall’austerità, spingerà interi popoli a migrare verso zone che, benché anch’esse soggette a forme di austerità, saranno ancora parzialmente in migliori condizioni. Ma, come è intuibile, l’arrivo di masse di migranti provocherà destabilizzazione sociale, paura, lotta per le residue risorse disponibili, violenza endemica, odio inter-razziale ed un caos endemico in una sorta di “terzomondizzazione” del Primo Mondo alla quale non corrisponderà affatto – altra falsa promessa dei globalisti – e la “primomondizzazione” del Terzo Mondo.

Margaret Thatcher difendeva il Modello Unico Globale ringhiando «There is not alternative». La convinzione che non vi siano, o non vi siano più, alternative è talmente penetrata nelle assopite coscienze che nessuno sembra scandalizzarsi che ai disastri del neoliberismo si risponda con maggiori dosi di austerità ossia con lo stesso veleno. Si fa credere alla gente che il rimedio al male sia il male stesso. Si pratica la politica parassitaria del pidocchio che vive del sangue altrui e viene raccomandato il salasso pur sapendo che così si ucciderà il malato.

«In una sorta di nuovo “umanesimo globalista” – osserva la Bifarini –, i popoli del Nord e quelli del Sud vengono trattati senza discriminazioni, secondo la nuova etica dell’austerità redentrice (…). Così i giovani occidentali, che per la prima volta nel dopoguerra si trovano ad essere più poveri dei loro genitori …, e la gioventù africana, sempre più numerosa e con sempre minori possibilità di trovare un’occupazione …, ricorreranno alla stessa disperata soluzione: l’emigrazione. (…) La globalizzazione si è propagata in tutte le regioni del mondo, incluse l’Europa occidentale e il Nord America, imponendo in nome del modello unico neoliberista il sacrificio della sovranità economica…» (pp. 196-197).

Il richiamo della Bifarini all’“umanesimo globalista” ci riporta ancora al Libro della Rivelazione, laddove a proposito del nome della Bestia o del numero del suo nome – nella Tradizione biblica le lettere dell’alfabeto corrispondono ai numeri e quindi ogni nome ha un numero corrispondente – è detto «Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei» (Ap. 13, 18). Il 7, nella numerologia sacra, è il numero della perfezione divina corrispondente alla somma del 4, che simboleggia la creazione immanente, e del 3 simbolo dell’Essenza Trinitaria di Dio. Il triplice 6 simboleggia il prometeico tentativo dell’umanità, sedotta dall’omicida padre della menzogna, di emulare ed eguagliare il Creatore del Cielo e della Terra.

Forse intuendo l’essenza preternaturale di questa tragica dinamica mondiale, la Bifarini ad un certo punto introduce significativamente l’idea di una “Apocalisse dell’austerità” sulla scorta di due studiosi, l’economista D. Stuckler e il professore di medicina S. Basu, i quali hanno annotato che «Il prezzo dell’austerity si calcola in vite umane. E quelle ormai perse non potranno più essere recuperate quando il mercato azionario tornerà a salire» (cit. in Bifarini, p. 184).

Le Istituzioni della Globalizzazione promettono felicità, benessere e pace universali ma intanto, con le politiche da esse pervicacemente imposte, nonostante ogni fallimento, programmano la depressione mondiale, la povertà globale e la guerra endemica. Sappiamo, per averlo già ricordato, a chi appartengono l’Inganno, la Menzogna e l’Odio Anti-Umano. Egli è «… omicida sin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui» sicché «Quando parla dice il falso, parla del suo, … è menzognero e padre della menzogna» (Gv. 8,44).

La colonizzazione da debito e l’Anomos

La Rivelazione contiene, sparsi in diversi luoghi, l’annuncio del futuro, benché momentaneo, trionfo dell’Omicida e del Padre della Menzogna. Nella Tradizione islamica è chiamato Al Dajjāl ossia, per l’appunto, il “Mentitore”. Nella Tradizione ebraico-cristiana è l’Anticristo. Se ne parla nelle Lettere di Paolo (“l’uomo del peccato”, “il figlio della perdizione”), nelle lettere di Giovanni e nell’Apocalisse ed è raffigurato come «il Principe del male che verrà a regnare sul mondo alla fine dei tempi, prima che il ritorno definitivo del Figlio dell’Uomo instauri i Cieli Nuovi e la Terra Nuova». La lotta, infatti, dice san Paolo, è contro le “potenze dell’aria” che tentano di dominare su questo mondo. Nella Metafisica tradizionale l’elemento aereo – da non confondere o ridurre all’atmosfera terrestre –, connesso con la dimensione psichica, animica, è lo spazio ontologico nel quale agiscono tanto le forze sovrannaturali, ad esso superiori, quanto quelle preternaturali come, appunto, quelle angeliche decadute.

La raffigurazione assunta nel corso dei secoli da questo Avversario, tanto nella teologia quanto nell’immaginario popolare, è stata sovente quella di un crudele persecutore dei Veri Credenti, un despota tirannico e malvagio che avrebbe sottoposto i fedeli del Cristo al martirio di sangue. Da Giuliano l’apostata e Nerone fino a Lenin e Stalin, passando per Napoleone ed Hitler, nella storia molti hanno senza dubbio assunto il ruolo di persecutore dei credenti. Del resto molti altri, nei limiti del proprio tempo e nelle concrete circostanze storiche da essi vissuti, hanno invece assunto il ruolo di Katéchon, della forza frenante che trattiene incatenato il Mentitore impedendogli di manifestarsi appieno, dall’Impero Romano (secondo una tradizione patristica ripresa da Tommaso d’Aquino e Dante) a Francesco d’Assisi, dal Barbarossa al beato Carlo d’Asburgo. Qualcuno, oggi, vede nella Russia di Putin un baluardo, un Katéchon, contro il globalismo anticristico.

Esiste tuttavia un’altra tradizione, non n contrasto ma complementare alla prima, secondo la quale l’Avversario non si manifesterà nella violenza – o almeno non solo in essa – quanto piuttosto mediante un mimetismo subdolo. Egli si presenterà all’umanità quale annunciatore di una Nuova Era di pace e felicità universale. Il suo sarà un mimetismo talmente suadente da ingannare molti tra gli stessi credenti. Di questa antica tradizione c’è traccia, ad esempio, nell’affresco del Signorelli, nella Cattedrale di Orvieto, che raffigura la “Predica dell’Anticristo” e nel quale l’Avversario è colto, nel momento della sua predicazione, in sembianze “cristomimetiche”. Il suo volto, infatti, come raffigurato dal Signorelli è simile a quello di Cristo ma oscuramente ambiguo e tale da suscitare, nello spettatore, una sensazione di inquietudine e paura. Nell’affresco, il Falso Predicatore è raffigurato circondato da una folla plaudente mentre, sullo sfondo, si assiste alla scena del massacro di coloro che gli si sono opposti.

Nel romanzo “The Lord of the World”, del 1907, Robert Hugh Benson si è richiamato a questa antica tradizione raffigurante l’Avversario come un “umanista”, un maestro di tolleranza, un ecumenista. Un sorridente inquinatore piuttosto che un rumoroso antagonista di Cristo. Uno svuotatore della fede dall’interno piuttosto che un aggressore esterno.

Anche lo scrittore russo Soloviev, nel suo romanzo “I racconti dell’Anticristo”, ha richiamato questa antica visione suadente dell’Avversario. Soloviev immagina il mondo futuro unito sotto un unico Imperatore esaltato da tutti quale “gran benefattore dell’Umanità” per aver sconfitto fame e povertà. Nel racconto solo alcuni tra i cristiani, da lui inutilmente tentati con offerte mondane onde portarli dalla sua, gli resistono fino alla persecuzione finale.

Nel 1916, in un’opera giovanile, Carl Schmitt, forse il più grande filosofo della politica e del diritto del XX secolo, riprese l’antico tema dell’Avversario suadente commentando il libro di Theodor Däubler “Aurora Boreale” (“Nordlicht” ossia luce del nord) sulla scorta della citazione di un passo del “Sermo de fine mundi” di sant’Efrem Siro, da lui stesso scovato. Secondo la tradizione, profetica, di quel passo, nella sua versione latina, l’Impostore «erit omnibus subdole placidus, munera non suscipiens, personam non praeponens, amabilis omnibus, quietus universis, xenia non appetens, affabilis apparens in proximos, ita ut beatificent eum omnes homines dicentes: Justus homo sic est!». Tradotto: «Subdolamente, piacerà a tutti, non accetterà cariche, non farà preferenze di persone, sarà amabile con tutti, calmo in ogni cosa, ricuserà i doni, apparirà affabile con il prossimo, così che tutti lo loderanno esclamando: “Ecco un uomo giusto!”».

Commentando questo passo, Carl Schmitt osserva che esso sembra anticipare lo scenario odierno nel quale un Potere Mondiale si va imponendo nel nome del bene dell’uomo mentre, in concreto, va realizzando la “cattività universale”. Nel suo commento, il grande giurista tedesco non manca di sottolineare che l’“amabile” Avversario, preannunciato sulla scorta di una più antica tradizione dall’Efrem latino, provvederà a tutti i bisogni dell’umanità compresi quelli spirituali proponendosi come un Potere Etico in nome della “Religione dell’Umanità”, una fede ricomprensiva di tutte le fedi, ecumenica, aperta, mondiale, globalista, che avrebbe avuto dalla sua la forza transnazionale della tecnica e della finanza.

Ma c’è anche un altro aspetto dell’Avversario, come descritto nell’antica tradizione alla quale stiamo facendo riferimento, ed è l’Anomia/Anonimia.

Tra Nomos e Nome c’è una stretta connessione ontologica.

Dio si rivela, in Esodo 3, 14, svelando il Suo Inaccessibile Nome, rendendo cioè possibile all’uomo attingere alla Sua Essenza. L’“Io Sono Colui che Sono” suona, nel suo contemporaneo apofatismo e catafatismo, come un velare/svelare. Il Nome di Dio, dell’Essere Trascendente, è sì un Nome – quindi indica una Identità propria, personale – ma è Universale. Il Suo Nome rivela Dio quale Infinito Personale, o Persona Infinita, che nulla, di ciò che per Lui ed in Lui esiste come altro da Lui, può contenere, racchiudere, costringere. Dio non è reificabile, non è del tutto concettualizzabile, sicché, per rendersi almeno in parte all’uomo accessibile, deve rivelarglisi prendendo Lui l’iniziativa. E, rivelandosi all’uomo, deve farlo ponendo un limite al Suo Splendore perché se gli si manifestasse del tutto senza veli la creatura ne sarebbe folgorata. A Mosé è ingiunto non solo di togliersi i calzari sulla terra santa della Teofania sinaitica ma anche di voltare le spalle, di “non guardare” Dio, pena la morte istantanea.

Biblicamente sul Nome di Dio è fondato il Nomos, la Legge, che, appunto, Mosé riceve nel Decalogo al termine della grandiosa Teofania del roveto, il quale, nel Fuoco dello Spirito, arde ma non brucia. Il Decalogo corrisponde anche alla Dieci Parole o Lettere che, secondo la tradizione cabalista autentica, sono state usate dal Creatore nell’Opus Magnum della Creazione dei Piani Multipli della Realtà.

Se, dunque, Dio ha un Nome e dona all’uomo un Nomos – la cui essenza profonda, al culmine della Rivelazione, Gesù Cristo svelerà essere l’Amore di Dio e del prossimo – come potrebbe l’Antico Avversario soggiacerGli, sottomettersi al suo Nome/Nomos? Per l’Avversario non c’è altra strada che convincere l’umanità che l’Adorazione del Nome di Dio è una sottomissione, uno strumento di tirannia, e che il Nomos di Dio è costrizione, gabbia per la libertà dell’uomo, limite al suo auto-deificarsi. Nel suo subdolo mimetismo, l’Avversario seduce l’uomo con una falsa sapienza, una gnosi spuria, opposta all’autentica Sapienza, alla Vera Gnosi, Rivelata da Dio. Questa falsa sapienza presenta come supposta fonte dell’essere l’Impersonale, il Vuoto, il Nulla principiale. Nella falsa gnosi dell’Avversario, Dio non è Infinito Personale, non può avere un Nome e non può che essere Anonimo. Di conseguenza non può imporre all’uomo alcun Nomos. Tutto sta, nella prospettiva dell’Avversario, nel convincere l’uomo che Dio ne opprime la libertà assoluta e che egli in quanto di natura già divina, in sola attesa di risveglio, deve liberarsi dall’oppressione tirannica. Deve, come ha fatto lui, l’Antico Avversario di Dio, proclamare forte il proprio “non serviam”. Nella sua suadente strategia, dunque, L’Impostore, l’Omicida, il Mentitore, si presenta non già più da Avversario, quale in effetti egli è, ma come Liberatore dell’Umanità, come Emancipatore dalla Legge Divina e dalla legge di natura, come A-Nomos. Per operare, nella storia, in modo A-nonimo.

Laddove Cristo viene ad adempiere la Legge, consentendo all’uomo di adempierla a sua volta non, però, mediante la pretesa umana di una pelagiana osservanza moralistica ma mediante la Sua Grazia, che sola rende possibile l’osservanza dell’essenza della Legge ossia l’Amore di Dio e del prossimo, l’Avversario viene ad annunciare l’Anti-Nomia che è una sola cosa con l’A-nonimia.

Lo Stato moderno – superiorem non recognoscens – nasce nel XVI secolo come una trasposizione sul piano politico e giuridico, una laicizzazione, dell’idea teologica del Corpus Misticum Christi che la Chiesa attribuisce a Sé stessa per indicare che, nella comunione sacramentale restaurata tra l’uomo e Dio in Cristo, è generata la Comunità teologale, sovra-mondana, degli eletti che regneranno, nell’evo futuro, con l’Agnello assiso sul Trono della Nuova Gerusalemme. La trasposizione di tale idea nel “corpus misticum politicum” ha generato la nascita dei moderni Stati intesi quali impersonali, astratte, persone giuridiche che, a differenza del Corpo Mistico di Cristo nel quale il singolo ritrova la sua radice ontologica e quindi la sua salvezza, fagocita singoli e corpi intermedi. Thomas Hobbes non poteva meglio illustrare questa ambiguità, alla base della moderna forma politica dello Stato, cui è connessa la sovranità stessa, che con l’immagine del Leviatano fatta apporre sul frontespizio dell’omonima opera e raffigurante il Sovrano a guisa di un Macro-Antropos composto, meccanicamente, dall’unione di tutti i suoi sudditi. Con ciò il filosofo inglese voleva indicare l’essenza appunto a-nomima dello Stato come inteso dal contrattualismo giuridico ovvero come ente di umana autocostruzione che dichiara di trovare in sé, e solo in sé, la sua norma ed il suo nome. Che, pertanto, non solo rigetta la Legge Superiore ma ripudia anche il Nome che è a fondamento di tale Legge ossia il Nome di Dio e, quindi, il Suo Volto manifestato nell’Incarnazione del Verbo in Cristo. Ecco perché il Senza Legge è anche Senza Nome, l’A-nomos è anche Anonimo.

Questo medesimo processo di, ambigua e blasfema, trasposizione mondana della Corporeità di Cristo è alla base anche della formulazione giuridica, concettuale, delle società anonime di capitali, ossia delle persone giuridiche private. Esse, storicamente, nascono in parallelo con la formazione dello Stato moderno. Se nel medioevo la personificazione giuridica di beni o di gruppi sociali – ovvero il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico di un complesso di attribuzioni di diritti e doveri in capo ad una “societas hominum” – poteva avvenire esclusivamente per i beni ecclesiali, le Chiese particolari e, a maggior ragione, per la Chiesa Universale, dato che si trattava, come detto, del Corpus Misticum Christi, o di parti di Esso, il cui contenuto umano, su un piano metapolitico e metagiuridico, quindi anche, meta-sociale, stava nel Suo Fondatore in comunione mistica con gli eletti alla salvezza, nell’età moderna beni e capitali vengono personificati in modo fittizio ed astratto riconoscendo essi una personalità giuridica anonima ossia priva di contenuto umano e costituita come controparte a sé stante rispetto ai soci, persone fisiche, che la fondano.

Una società anonima è giuridicamente persona altra dal gruppo dei suoi soci, tanto se considerati singolarmente quanto se considerati insieme. Il socio di una società anonima non è proprietario del capitale conferito alla società ma è soltanto un creditore con diritto di lucrare, nel limite di volta in volta stabilito dal gruppo concreto che amministra la società, gli utili dell’attività. L’azione di una società anonima non è un titolo di proprietà ma un titolo di credito. La proprietà del capitale conferito è della società anonima quale fittizia persona giuridica, priva di contenuto umano ma guidata da coloro che ne sono amministratori. Il capitale azionario è “anonimo”, senza volto umano, impersonale e, come tale, tende all’“anomia” ossia a sganciarsi dalla norma sociale. Per la società anonima non vale il detto “ubi societas, ibi ius” perché per essa l’elemento societario e quello giuridico tendono a divaricarsi fino a contrapporsi. Ecco perché le società anonime sono state lo strumento privilegiato dell’affermazione del capitalismo impersonale, transnazionale, apolide, che resta tuttavia manovrato e controllato da una sorte di club mondiale di “Superiori Incogniti”. Non a caso tutte le grandi banche d’affari globali e le multinazionali sono società anonime.

In quanto non titoli di proprietà ma di credito, le azioni sono naturaliter oggetto della “borsa valori” nella quale si gioca a speculare sui valori azionari indipendentemente, o perlomeno progressivamente sempre più indipendentemente, da qualsiasi loro connessione con il sottostante reale, i beni e la produzione concreta. Questo spiega perché esistono mercati di titoli “over the counter” (OTC) ossia mercati non regolamentati, altamente speculativi, e perché il capitale azionario, anche nei mercati regolamentati, è sempre volatile, non territorializzato, non socializzato. Solo con un capitale di tal genere sono possibili trucchi speculativi come quelli di consentire agli azionisti l’aumento del valore delle azioni attraverso operazioni di redditività artificialmente creata. Ad esempio riducendo il personale delle società per aumentare gli utili oppure consentendo di pagare i manager con stock di azioni in modo che essi si facciano guidare più dai rendimenti borsistici che dalla  crescita reale dell’azienda o ancora consentendo l’acquisto da parte della società anonima delle sue azioni di nuova emissione per aumentarne illusoriamente il valore e poi rivenderle sopravalutate.

Le società anonime, nella loro versione multinazionale, trionfano storicamente, imponendosi senza più vincoli di alcun genere, insieme al capitalismo finanziario transnazionale in una creazione continua di denaro dal denaro, sempre di più senza alcuna connessione con la produzione reale, con il capitale reale ossia quello immobilizzato. Anche per tale via la globalizzazione ha accresciuto in modo abissale le distanze sociali tra vertice e base all’interno delle stesse nazioni e tra l’establishment transnazionale e popoli su scala mondiale.

«Nei paesi del Terzo Mondo come in quelli del Vecchio Continente – ci spiega la Bifarini – … una fascia sempre maggiore della popolazione mondiale assiste al peggioramento delle proprie condizioni economiche e umane. (…) una élite sempre più ristretta, fautrice di una globalizzazione ad oltranza, che superi ogni confine territoriale e culturale, aumenta in modo inaudito la propria ricchezza. A oggi, un manipolo di otto uomini possiede beni quanto 3,6 miliardi di persone … che, con la loro sofferenza, garantiscono il loro impero globale. (…). La ricchezza globale è sempre più slegata dalle attività produttive e commerciali dell’economia reale, ma è generata dal mondo della finanza e dalla speculazione. Sotto il vessillo di una finta libertà, l’ideologia neoliberista impone la dittatura incontrastata delle maggiori banche e multinazionali mondiali. Come … in Africa e in gran parte del Terzo Mondo, lo stesso processo di ristrutturazione economica, che fa leva sullo strumento del debito per la creazione e lo sfruttamento della povertà, viene applicato nei paesi del Primo Mondo. E’ la “terzomondizzazione” dell’Occidente, che crea e alimenta divisioni tra classi sociali e gruppi etnici, una sorta di “apartheid sociale”, in cui i cittadini sono sempre più indifesi e abbandonati dallo Stato. (…). La grande entità dei flussi di capitale estero … attraverso … prestiti, finanziamenti e investimenti diretti esteri non … (crea) … sviluppo delle economie nazionali, ma piuttosto un’alleanza … tra le élite locali e quelle straniere, rappresentate da banchieri e multinazionali. (…). Le condizioni alle quali i prestiti sono … concessi esercitano il giogo più potente e subdolamente vessatorio … mai imposto (…). L’adesione a politiche economiche e sociali eterodirette dai poteri internazionali, senza nessuna considerazione della situazione … (delle) … comunità, rende impossibile l’uscita dalla povertà …, rafforzando piuttosto il loro rapporto di dipendenza nei confronti dei neocolonialisti travestiti da benefattori. Le peggiorate condizioni economiche hanno costretto gli Stati africani a richiedere nuovi prestiti, ingabbiati nel vincolo del consolidamento fiscale creato per essi dalle istituzioni di Bretton Woods, le stesse cui si rivolgono per uscirne. E’ la trappola dei debiti, la medesima di cui sono vittimi i paesi europei con alto debito pubblico e che ha portato molti studiosi ed economisti a evidenziare un parallelismo tra la Grecia e l’Africa. E’ il modus operandi del neoliberismo, standardizzato e spregiudicato, che non tiene conto delle distinzioni tra paesi e culture, tanto da apparire una teoria ecumenica. Chi muove le trame de sistema economico mondiale … non ha … senso di appartenenza nazionale e d’identità culturale; si tratta di individui sradicati, il cui paese di nascita spesso non coincide con quello di residenza e il cui identificativo si perde dietro codici di conti e partecipazioni cifrati. E’ il nuovo colonialismo che, per imporre il proprio dominio, ha smesso di far leva sul capitale e sul lavoro e usa lo strumento del debito» (pp. 177-180).

I manipolatori dell’economia mondiale, i finanzieri e gli speculatori d’assalto, ci dice dunque la Bifarini, sono degli sradicati, degli apolidi, senza nome, anonimi, che celano la propria identità perversa dietro codici cifrati. Torna prepotente l’antica profezia che connette il “nome segreto” della Bestia – perché anche la Scimmia di Dio ha un nome, emulativo di quello Divino – al suo “numero”, al suo codice identificativo, alla sua cifra che nascostamente, anonimamente, ne cela il volto luciferino sotto parvenza di “umanismo”, di “nome d’uomo”:

«Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere quel marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome … Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei» (Apocalisse, 13 – 16,18).

Luigi Copertino

fine terza parte

continua