A nostra insaputa, in vista del vertice NATO che dovrà tenersi a Varsavia a giugno, i comandi militari e i think tank tedeschi “stanno discutendo lo spiegamento di armi nucleari contro la Russia”: così ci informa il sempre ben informato sito German Foreign Policy
Già. L’Accademia Federale per gli studi sulla Sicurezza (Bundesakademie für Sicherheitspolitik, BAKS) che è un organo del governo, non un ente privato, sta facendo avanzare l’idea che “la strategia nucleare della NATO” deve essere “ridiscussa” in vista di quella che descrive come “l’aggressione neo-imperiale di Mosca” nell’Est Europa. “La Russia si sta definendo sempre più come una potenza anti-occidentale”. Ciò rende necessario “accrescere le attività di esercitazioni” nel “campo nucleare”.
(vedi: Karl-Heinz Kamp: Die Agenda des NATO-Gipfels von Warschau. Bundesakademie für Sicherheitspolitik, Arbeitspapier Sicherheitspolitik 9/2015).
L’idea di un disarmo nucleare in Europa viene definita “irrealistica”; anzi la dottrina della “deterrenza nucleare” sta conoscendo “una rinascita” come fu durante a guerra fredda contro l’URSS.
In questo, assicura il pensatoio, la NATO può continuare a contare sul senso di responsabilità tedesco verso l’Alleanza (sic). La Bundeswehr continuerà a fornire “i sistemi di lancio” per le testate atomiche (Usa) basate in Germania, “anche se è molto costoso” (sic). Infatti la forza aerea tedesca partecipa regolarmente alle esercitazioni SNOWCAT (sigla che sta per “Support for Nuclear Operations With Conventional Air Tactics“, sostegno ad operazioni nucleari con tattiche aeree convenzionali) nel corso delle quali i tornado germanici si addestrano a sferrare attacchi atomici. Fra poco le testate americane immagazzinate a Buechel (Renania Palatinato) nella base del 33mo squadrone tattico dell’Air Force saranno rinnovate. Il potenziamento comprenderà un “sistema di puntamento molto avanzato” e le bombe avranno una potenza distruttiva, nel complesso, 80 volte superiore alla bomba di Hiroshima (il che fa pensare a mini-testate tattiche). E che fine fa’ il “controllo dell’armamento nucleare”? Esso è “chiaramente subordinato” all’espansione degli arsenali atomici occidentali, risponde lo studio del BAKS: “Il disarmo non è la ragione prima di un’arma nucleare”. Agghiacciante risposta che implica la volontà di stracciare gli accordi esistenti sulla riduzione reciproca e controllata, “subordinandoli” al riarmo atomico anti-russo.
Domanda: il BAKS non è una enclave dei neocon in Germania, o èdoventato neocon tutto il sistema militare industriale tedesco? In un’intervista rilasciata il dicembre scorso, il generale Hans-Lothar Domrose, comandante del comando delle Forze Alleate di Brunssum in Olanda, ha caldeggiato il nucleare come “componente della deterrenza”, perché di fronte alla “allarmante” politica del presidente Putin, c’è il rischio che “Noi, la NATO, diventiamo troppo piccoli e lui troppo grosso”. Quasi negli stessi giorni un docente di scienze politiche della Università della Bundeswehr di Monaco, di nome Carlo Masala, si è dichiarato per la strategia di deterrenza nucleare verso la Russia, anche se accompagnata di “proposte di cooperazione nel giusto mix”.
Un altro ente, l’Istituto Tedesco per gli Affari Internazionali e di Sicurezza Nazionale (o SWP, Stiftung Wissenschaft und Politik) ha lanciato le stesse idee: è “concepibile migliorare l’integrazione delle armi nucleari” nella NATO, nel senso che “più forti legami siano stretti fra le capacità convenzionali e nucleari”. In altre parole, “i sistemi capaci di portare armamento atomico devono diventare più integrati negli scenari di addestramento”, e “le manovre devono essere eseguite più spesso e diventare più realistiche”. Bisogna “accorciare i tempi di operatività” delle testate atomiche Usa basate in Europa. Ciò, naturalmente, per colpa dell’aggressività di Putin.
Il SWP si preoccupa che la Germania non prenda parte ad un gruppo di lavoro nelle Nazioni Unite creato con lo scopo di fare avanzamenti, nel corso di quest’anno, nella proscrizione internazionale delle armi nucleari, per mezzo di un trattato di messa al bando. La partecipazione a tale gruppo “non è senza rischi”, nel senso che “la Germania convinta dai favorevoli al bando del nucleare” (questo è il rischio …) e ciò “isolerebbe Berlino dai suoi partner e alleati”; infatti mettere in discussione “la deterrenza nucleare” sarebbe “in contrasto con la NATO come alleanza atomica”. Del resto lo stesso ministero Difesa germanico ha formulato un Quaderno Bianco in cui invoca la riattivazione della “deterrenza atomica”
Questa totale (e inattesa) adesione della Germania alle politiche più forsennatamente ostili dettate da Washington e dai falchi della NATO si spiega, quando si apprende chi dirige il SWP: il professor Volker Perthes, alle cui trame anti-Assad ha dedicato un articolo esplosivo Thierry Meyssan. Un articolo ricco di documentazione (che non può che venire dai servizi siriani, se non russi) che illuminano le ambizioni di Berlino – lo credereste? – sullo smembramento della Siria e il business della ricostruzione. Eccone qualche stralcio:
“Quando, il 5-8 giugno 2008, “alla riunione annuale del Bilderberg, – cinque anni prima della dalla guerra – l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice ha presentato al Gruppo Bilderberg la necessità di rovesciare il governo siriano, era accompagnata dalla direttrice dell’Arab Reform Initiative, Bassma Kodmani (futura fondatrice del Consiglio nazionale siriano), e del direttore del pensatoio SWP, Volker Perthes.
[..] Il 6 ottobre 2011, Volker Perthes ha partecipato, su proposta del Dipartimento di Stato, alla conferenza organizzata a porte chiuse dalla Turkish Industry & Business Association (Tusiad) e dalla società privata statunitense di intelligence Stratfor per simulare le opzioni energetiche della Turchia e le eventuali risposte di altri otto paesi, tra cui la Germania. Erano presenti le prime dieci fortune della Turchia e Taner Yildiz – all’epoca ministro dell’Energia – l’uomo che doveva assistere la famiglia Erdoğan a organizzare il finanziamento della guerra con il petrolio rubato da Daesh.
Nel gennaio 2012, Jeffrey Feltman [oggi il numero 2 dell’ONU] allora al Dipartimento di Stato – chiese a Volker Perthes di condurre il programma «Il Giorno Dopo» con l’incarico di preparare l’intelaiatura del prossimo regime in Siria. Si tennero riunioni nell’arco di sei mesi per giungere in particolare a un rapporto reso pubblico dopo la Conferenza di Ginevra. «Il Giorno Dopo» ha redatto la bozza del piano di totale e incondizionata capitolazione della Siria che è diventata l’ossessione delle Nazioni Unite, da quando Jeffrey Feltman è stato nominato direttore degli affari politici dell’ONU, nel luglio 2012”.
Il resto del pezzo si può leggere qui:
http://www.voltairenet.org/article190103.html
Con Feltman è arrivato ai vertici dell’Onu un ebreo neocon, americano, della genìa delle Nuland e dei Wolfowitz, che piega l’istituzione transnazionale alle mire neocon di destabilizzazione dei paesi islamici. Perthes se non è ebreo, lo è “d’onore”: mantiene ferma la politica di Berlino su “Assad must go”, è fieramente anti-iraniano, ha installato a Istanbul un “Syrian Support Transition Network” in piena complicità con Erdogan, mantiene la Germania dalla parte dei Fratelli Musulmani, ed è uno di quelli che stanno operando per mandare a monte il negoziato di pacificazione di Ginevra, mettendo la Germania dalla parte dei sauditi, di Erdogan e dei Fratelli Musulmani – nel calcolo che bisogna perdere tempo, il tempo lavora contro Putin e le sue possibilità economiche limitate dal petrolio basso.
Ora vediamo che la Germania, contro il suo destino manifesto e persino i desideri dei suoi industriali, è stata situata politicamente nello schieramento della russofobia più furiosa e dà il suo assenso – irresponsabilità quasi indicibile – al riarmo atomico in Europa, aggiungendo provocazione a provocazione. E mettendo l’Europa in rotta di collisione con Mosca, a fianco di “strani alleati”: il 7 gennaio scorso il giornale turco vicino al partito AKP di Erdogan, Daily Sabah, ha ventilato di una nuova alleanza “Turchia-Israele-Saudita per contrastare Assad, Iran e Russia”
In questa direzione ambigua che sta assumendo la NATO si inserisce l’invito di Ash Carter il ministro della difesa Usa, all’Italia per partecipare alle guerre “contro l’IS”
“L’Italia deve fare di più contro l’IS”, ha esortato il capo del Pentagono. E’ da un po’ che il Grande Alleato ci vuole coinvolgere. In Libia, specialmente. Un giorno ecco la notizia che Daesh in Libia si sta preparando una forza aerea per bombardarci (lo dice il J forum: http://jforum.fr/2015/12/lybie-daesh-se-dote-dune-flotte-aerienne/) un’altra che sta allestendo uno flotta per aggredirci. E voi italiani che cosa fate? Niente? Dev’essere tutto vero, perché gli Usa hanno dei loro uomini ai vertici del caos libico: dal “generale” Haftar, cittadino Usa, al capo dei terroristi Abdelhakim Belhadj. Quest’ultimo in particolare è interessante: membro di Al Qaeda in Afghanistan e Irak, ausiliario-terrorista della NATO nei bombardamenti che rovesciarono Gheddafi, premiato da John McCain per evidenti servizi resi agli Usa, oggi viene indicato come capo dell’IS, Stato Islamico in Libia; anche se lui minaccia querele a chi lo dice (si vede che ha imparato qualcosa dall’Italia) perché si sta riciclando come”islamista moderato” per conquistare la poltrona in non si sa bene quale governo, naturalmente sotto l’ala protettrice di Washington che ha così ben servito . Ma lo era fino a ieri, come ha documentato Globalresearch,
http://www.globalresearch.ca/washingtons-al-qaeda-ally-now-leading-isis-in-libya/5435574
ed anzi, secondo Wikispooks, ha “supervisionato l’assassinio da parte dell’ISIS di 21 cristiani copti nel febbraio 2015 (ricordiamo le immagini)
https://wikispooks.com/wiki/Abdelhakim_Belhadj
Visto che il capo dell’ISIS in Libia è allo stesso tempo un “attivo” della Cia, amico di McCain ed altri senatori Usa, e futuro ministro del governo collaborazionista franco-anglo-israelo-americano, si può almeno chiedere rispettosamente al Grande Alleato: in che senso l’Italia “deve fare di più”? Fornire la scorta di carabinieri a Belhadj?
E’il caso di domandarlo, rispettosamente, per non commettere errori: magari per sbaglio ci si può mettere davvero a combattere contro l’ISIS, mentre Usa, Turchia e Arabia Saudita stanno facendo di tutto per “salvare l’ISIS”, o quel che ne resta, in Siria dai russi, regolari ed Hezbollah, anche a rischio di scontrarsi con le forze aeree di Mosca, per fare quel che sembra qualche “esfiltrazione” di personalità jihadiste da risparmiare per un’altra volta. .
Del resto, l’operazione anti-Assad è costata tanto, che è comprensibile che gli Stati Uniti non si risolvano ad abbandonarla. Come scrisse il Washington Post nel giugno 2015, la Cia “ha condotto contro Assad une della più grandi operazioni clandestine” ad un miliardi di dollari l’anno circa. E ciò nel quadro “di un più vasto sforzo di vari miliardi di dollari implicante Arabia Saudita, Katar e Turchia”; ossia i tre paesi che armano e
sostengono l’ISIS. Da qui alcune domande. Quando Erdogan accusa il secondo aereo russo di aver violato lo spazio turco, vuole creare un casus belli d’accordo con Washington? Il palese sabotaggio dei negoziati di pace di pace di Ginevra è fatto per arrivare proprio a una guerra con Mosca?
I curdi che combattono contro lo Stato Islamico (“Forze Siriane Democratiche”) hanno reso noto una settimana fa che truppe Usa hanno preso il controllo della pista d’atterraggio di Rmeilan, nella Siria del Nord-Est, e ne stanno allungando la pista; il posto è stato consegnato agli americai dai curdi dello YPG – all’interno del territorio siriano e senza chiedere il permesso al governo di Assad, né avvertire i russi.
Per combattere l’ISIS? O per salvarlo?