“Cristianesimo, proprietà e Great Reset” di Luigi Copertino! Un libro che scotta.
Ciò che a prima vista appare come un progetto inteso alla ridistribuzione della proprietà è, in realtà, un tentativo di sostituirla con l’uso precario dei beni “benevolmente” concesso, non in forma gratuita, dai padroni transnazionali del mondo che, in cambio, promettono all’umanità un avvenire di “giustizia ecologica”. Un esproprio universale di ogni proprietà, da parte del potere capitalistico finanziario mondiale. Siamo ancora al “Sol dell’avvenire”, ma in salsa capitalista.
(da Cristianesimo, proprietà e Great Reset – Breve esame del “Mondo Nuovo” tra distopia e Tradizione)
Con la Prefazione del Presidente aggiunto onorario di Corte di Cassazione, F. M. Agnoli, è finalmente uscito Cristianesimo, proprietà e Great Reset – Breve esame del “Mondo Nuovo” tra distopia e Tradizione. Un libro coraggioso, ma serio e ponderato, su uno degli argomenti più attuali e scottanti di questa fase storica. Per informazioni edizioniradiospada@gmail.com.
Intervista a Luigi Copertino, guardando dentro (da cattolici) al progetto del Great Reset
23 Febbraio 2022
RS: Gentilissimo, anzitutto grazie per questa feconda collaborazione che oggi ha fatto nascere un libro-bomba, “Cristianesimo, proprietà e Great Reset – Breve esame del “Mondo Nuovo” tra distopia e Tradizione“. Come cantavano i REM, “è la fine del mondo per come lo conosciamo”?
R: A mia volta ringrazio le Edizioni Radio Spada per aver creduto nel mio libro. Non so se sia un “libro bomba” ma certamente è un’opera che prova a leggere in controluce la realtà attuale e ad interpretare le linee di fondo dello scenario odierno. Soprattutto tenta di individuare lo “spirito” che anima i processi e le dinamiche globali in corso. Quando dico “spirito” intendo riferirmi sia all’état d’esprit, al clima socio-psicologico e culturale del tempo, sia – i cristiani possono capirlo bene, i non cristiani resteranno perplessi – alla presenza preternaturale ma decaduta che accompagna, dall’alba dei tempi, la vicenda umana in opposizione al Disegno salvifico del Creatore. L’approccio del libro resta comunque aderente alla vicenda storica, e persino alla cronaca quotidiana, dato che chi ha intelletto per intendere è capace autonomamente di vedere certe forze in atto anche all’interno della dimensione temporale. Come ben dice, siamo, forse, alla “fine del mondo come lo abbiamo conosciuto”. Non però alla “fine del mondo”, della quale nessuno conosce l’ora e chi pretende di conoscerla è un bugiardo. D’altro canto, l’Apocalisse – parola traducibile semplicemente con Rivelazione – non è soltanto una profezia degli eventi escatologici ultimi ma rivela, soprattutto, il dramma storico dell’umanità posta di fronte alla scelta tra il Sommo Bene e la suadente tentazione dell’autocostruzione del proprio destino, la tentazione del potere umano che crede di essere onnipotente. In questo senso l’Apocalisse narra la vicenda di ogni secolo, di ogni generazione, di ogni epoca. Quindi anche della nostra. In termini più laici possiamo dire che siamo ad un tornante storico, ad un passaggio epocale, quello dalla modernità solida, ormai alle nostre spalle, che sbocca nella postmodernità liquida. Ci stiamo avventurando in un mare ignoto, sotto un cielo completamente diverso, e gli strumenti di orientamento finora usati – quelli del vecchio razionalismo occidentale di matrice illuminista – non funzionano più. Questo in termini prosaici. In termini escatologici è, invece, sempre la “solita” vicenda della tracotanza umana, della übris, che vuole estromettere la Trascendenza dall’orizzonte dell’uomo. E già accaduto molte volte nel corso della storia che l’umanità abbia conosciuto passaggi di epoca e quasi sempre le annunciate promesse, di pace, prosperità, felicità universali, o non si sono avverate o si sono rovesciate nel loro contrario. Come cattolico non ho mai prestato alcuna credibilità alla lettura progressista della storia – che non appartiene affatto al Deposito delle fede, come troppo spesso si dice erroneamente – cosciente di quanto rivelatoci circa il “raffreddamento dell’amore di molti” a causa del dilagare dell’iniquità lungo i secoli (Mt. 24,3-14), ed il prevalere dell’errore fino alla “sconfitta” della Chiesa la quale dovrà subire la stessa passione del suo Signore. La storia va letta in questa luce ma sempre, al tempo stesso, mai dimenticando che in essa agisce anche il Soccorso, la Salvezza che viene dall’Alto, e che quindi non siamo abbandonati a noi stessi in balia del male. Alla fine Cristo vincerà. Quindi, nessun pessimismo, nessuna disperazione, ma fiducia nella sua promessa: “non praevalebunt”.
RS: Il Great Reset si presenta insomma come l’ultimo stadio di una degenerazione del sistema economico e politico attuale. Potrebbe invece descriverci in breve un modello, non certo ideale, ma almeno più giusto, che l’economia contemporanea dovrebbe seguire?
R: Diciamo subito che il Great Reset, sotto il profilo politico-economico, si presenta come un ampio processo di concentrazione capitalistica su scala globale – da qui l’avversione dei suoi esponenti verso la piccola e media impresa ritenuta economicamente perdente nella concorrenza transnazionale – ma, e qui sta l’inganno nel quale è caduto anche il vertice attuale della Chiesa, al tempo stesso vuole essere una nuova forma di “capitalismo inclusivo” che riesca a sconfiggere la povertà nel mondo. Solo che questa inclusività, stando ai documenti pubblici comparsi sul sito del World Economic Forum, deve realizzarsi attraverso la sostituzione della proprietà personale con forme di noleggio o affitto dei beni prodotti dalle grandi multinazionali. Il Great Reset è in qualche modo l’approdo, probabilmente definitivo, di una dinamica che va avanti ormai da decenni, quella della globalizzazione. Essa nasconde il sogno di un mondo pacificato e prospero ma anche privo di Trascendenza, “etsi Deus non daretur” ossia “anche se Dio non esistesse”. Che, come è noto, è espressione usata nel XVII secolo dal filosofo protestante Ugo Grozio per affermare che il diritto naturale sarebbe egualmente valido anche se Dio non ci fosse. La globalizzazione è esattamente questo: l’autocostruzione di un nuovo universalismo che non faccia in alcun modo riferimento al Creatore del mondo e Signore della storia. Un nuovo universalismo, terreno, che, tuttavia, scimmiotta, imita, l’Universalità cristiana, la “cattolicità”, la quale, invece, è innanzitutto unità trascendente nello Spirito Santo e come tale unità rispettosa della molteplicità naturale dei popoli e delle culture. Non uniformità, dunque. Credo che la figura dell’Anticristo solovieviano, richiamata nel libro, esprima molto bene tale volontà parodistica di sostituzione. Del resto lo scrittore russo non ha inventato nulla ma ha attinto alla Rivelazione. Detto questo e premesso che sul piano temporale non esisterà mai alcuna società perfetta, perché imperfetto è l’uomo post-adamico, il modello che cristianamente va perseguito, con tutti i limiti delle umane possibilità, è quello che respinge insieme sia la concentrazione elitaria della ricchezza sia il pauperismo. Al cristiano non può non andare stretto tanto l’occidentalismo – il concetto di occidente, benché dal 1945 inglobi entrambe le sponde dell’Atlantico, inizia a formarsi con la frammentazione religiosa e politica della Cristianità tra XV e XVI secolo per poi trovare una formulazione precisa in pieno ottocento con la dottrina, anti-europea, del presidente americano Monroe – quanto il terzomondismo. Nel libro richiamo, non a caso, la filosofia “distributista” di Chesterton e l’insegnamento di Leone XIII, che tra l’altro condannò l’“eresia americanista” il cui nocciolo duro egli intravvedeva nell’attivismo mondano fine a sé stesso. In fondo, il “modello” è la dottrina sociale cattolica che non nasce nel XIX secolo ma con l’insegnamento stesso di Cristo, benché le sue formulazioni più recenti sono talvolta diventate troppo fumose. Il vero problema, oggi, sta piuttosto nel fatto che, a differenza degli ultimi due secoli, il mondo post-industriale, immateriale e virtuale, volto totalmente al nichilismo anche sociale ed economico, non sembra offrire spazi di realizzazione alle formulazioni sociali cattoliche se non, forse, in contesti prepolitici.
RS: Nel mondo cattolico, specie negli ultimi decenni, la proprietà privata non gode di buona fama e chi ne ribadisce l’importanza fa la figura dell’avido o del materialista. Può spiegarci perché questo pregiudizio è sbagliato e nocivo?
R: Senza dubbio il cattolicesimo progressista ha molto demonizzato il concetto di proprietà influenzato, in questo, da un marxismo “in padella”, nel senso che si tratta della rifrittura del pensiero marxiano in chiave teologica. Un assurdo che ha i suoi antesignani nel “Cristo primo socialista” di certe narrazioni politiche del XIX secolo. Togliere alla persona ogni proprietà significa renderla dipendente o dal potere politico o, peggio, da quello economico, talvolta da entrambi. Persino Platone, consapevole di questo rischio, nella sua Repubblica ideale accetta la prospettiva che il popolo produttore, corrispondente alla “terza funzione” dumeziliana, viva esercitando la proprietà privata dei beni, mentre riserva soltanto al ceto guerriero ed a quello dei filosofi, ossia alla prima e alla seconda funzione, il godimento in comune delle proprietà. Se è una bufala quella del presunto comunismo originario dei primi cristiani lo è altrettanto quella del cosiddetto “comunismo platonico”. Detto questo, tuttavia, non si può sottacere che cristianamente non è accettabile neanche l’assolutizzazione, quasi idolatrica, della proprietà, soprattutto del suo accumulo oltre misura. La Tradizione cristiana è chiara: la proprietà è un diritto della persona ma è anche un dono della Provvidenza, sicché il cristiano non ne può far un uso non caritatevole benché non possa neanche disperderla dissennatamente, salvo il rinunciarvi per scelta vocazionale. Proprio il noto passo degli Atti degli Apostoli 4,32, sovente preso come esempio di un originario presunto “comunismo cristiano”, indica invece la giusta prassi cristiana in tema di proprietà che è quella della diffusione, della distribuzione. Anche nella forma comunitaria – ma non comunista – della comproprietà che corrisponde all’antico istituto romano-cristiano della “communio” e fa il paio con l’altro principio, chiaramente distributista, del “suum cuique tribuere”, attribuire a ciascuno il suo. Svolge qui un ruolo decisivo l’idea della “partecipazione” che è sia metafisica, in relazione al rapporto ontologico Creatore-creatura, sia giuridico-economica. Del resto, lo stesso Corpo Eucaristico del Signore viene distribuito, non accumulato. Molti equivoci provengono dal fatto che quando si pensa all’abolizione della proprietà si pensa generalmente al comunismo. Ma non è questa l’unica modalità di abolizione della proprietà. Come, infatti, spiego nel libro, esiste, non da oggi, una forma del tutto capitalistica di abolizione della proprietà personale che è quella della personificazione giuridica tipica delle grandi società anonime, attualmente ad estensione multinazionale, sulla quale si basa la finanziarizzazione dell’economia. Se senza dubbio il pauperismo non appartiene all’insegnamento cattolico – ed infatti è stata la bandiera di molte “eresie” nel corso dei secoli – è altrettanto vero che l’etica sociale cristiana respinge anche lo smodato desiderio di possesso e di arricchimento, oltre quanto necessario per una buona vita in vista del Bene eterno. San Tommaso d’Aquino, da qualche parte, se ben ricordo, dice che verso i beni terreni bisogna avere l’atteggiamento di chi è cosciente del “né troppo né troppo poco”. Siamo qui, su questa terra, di passaggio ed il nostro destino si compirà oltre la scena di questo mondo che passa. Spesso lo dimentichiamo ma saremo giudicati anche da come abbiamo usato dei nostri beni terreni e per il maggior o minor attaccamento ad essi.
RS: Gli uomini di Chiesa appaiono afoni di fronte a questi gravi argomenti, verrebbe da fare – con Nicola Porro – “Toc toc!!” alla Santa Sede che un tempo era il più autorevole riferimento in campo politico e sociale. Che cosa è successo?
R: E’ successo che il sale è diventato insipido, tanto nella gerarchia quanto nel laicato. Salvo eccezioni, talvolta anche vistose e notevoli. La rinuncia allo “specifico cristiano”, in nome di un malinteso irenismo – perché altro è la tolleranza, altro è l’accreditamento teoretico dell’errore – ha comportato la liquefazione del Cristianesimo nelle forme di un generico umanitarismo. Non si vuole urtare la sensibilità altrui mentre d’altro canto si accetta di subire qualsiasi oltraggio da chicchessia. Cristo porse l’altra guancia a chi lo schiaffeggiava, vero, ma quello fu un atto di sfida, che costringeva lo schiaffeggiatore ad usare il palmo della mano mentre lo schiaffo al prigioniero era dato con il dorso, e non un atto di remissione passiva. E siccome sembra essere una regola quella per la quale certi ecclesiastici arrivano puntualmente in ritardo all’appuntamento con la storia, accade che costoro si scoprono “cristiani anonimi”, ossia “fratelli in umanità” con tutti, proprio mentre avanza la cultura del transumanesimo che postula il superamento dell’umano anche attraverso l’ibridazione uomo-macchina, oggi consentita dalla cibernetica, a dimostrazione che laddove si misconosce Dio alla lunga anche l’uomo viene meno. L’afonia ecclesiastica è rinuncia al ruolo proprio della gerarchia, un atto di viltà del quale molti consacrati dovranno rispondere in coscienza e di fronte al Giudizio divino. Mi lasci fare un cenno a Nicola Porro, che umanamente è un “simpaticone” ma viaggia su un binario che non potrà mai incontrarsi, fino in fondo, con il binario della fede. Porro è un liberale ma il liberalismo ha un’idea distorta della libertà che, in quanto tale, si è dimostrata, da ultimo nei presenti frangenti tecno-sanitari, incapace di offrire un argine alla totalitarizzazione del potere, nella fattispecie del potere economico che oggi domina su quello politico. La prima fondamentale libertà che ha l’uomo, dalla quale discendono tutte le altre, è quella della scelta tra il bene ed il male. Se è giusto rivendicare la libertà di fare il bene, non altrettanto può dirsi della libertà di fare il male. Il male può talvolta essere tollerato per necessità pratiche o circostanze storiche ma, in linea di principio, non ha mai gli stessi diritti del bene. Benché esista anche un liberalismo con aperture etiche e talvolta persino in chiave religiosa, il liberalismo allo stato puro è esattamente questo ossia l’equiparazione tra bene e male che per esso, nel suo neutralismo, sono indifferenti. Basta che sia rispettato il principio del “neminem ledere” è tutto è concesso, tutto può avere cittadinanza. Che poi tale neutralismo è soltanto teoretico in quanto anche le democrazie liberali hanno bisogno di nemici pubblici per cementare il consenso è un altro discorso che ci porterebbe lontano e che solo accenniamo a dimostrazione della sussistenza, come per il comunismo, di un liberalismo ideale e di un liberalismo reale.
RS: L’opposizione al Great Reset assume spesso slogan e toni lontani anni luce dal Cattolicesimo e uno degli enormi meriti del Suo libro è fornire alla protesta cattolica basi granitiche e corrette. Che cosa direbbe ai cattolici che si lasciano ammaliare da sirene libertarie e new age?
R: Come spiego nel libro a fronte delle restrizioni imposte per motivi, veri o presunti, di carattere sanitario, sono emerse due tipologie di opposizione ad un potere biotecnologico sempre più totale. Una opposizione libertaria ed una opposizione identitaria. Va da sé che la prima è soltanto l’altra faccia del nuovo totalitarismo, “soffice”, che avanza, dato che ogni forma di totalitarismo effettivo si basa, sin dai tempi del Leviatano di Hobbes, sull’individualismo ed il contrattualismo sociale. Lungo il corso dei secoli, l’individualismo ha partorito il soggettivismo sul piano della spiritualità, che tronca con ogni legittima trasmissione e consacrazione tradizionale. Gli Stati Uniti ne sono l’esempio principale. Lì chiunque può svegliarsi la mattina e fondare la “sua chiesa” diventandone il pastore e magari arricchendosi come hanno fatto tanti telepredicatori. Questo soggettivismo è poi diventato virulento nelle forme ormai endemiche della cosiddetta “nuova religiosità”, come appunto il new age. Ed anche qui c’è un nesso con la dinamica della globalizzazione laddove, come dico nel libro, il nuovo capitalismo anti-proprietario e multinazionale viaggia in parallelo, quasi ne avesse intrinseca necessità, con lo sviluppo, ormai molto avanzato, di una sorta di Nuovo Culto Mondiale, che costituisce il lato pseudo-spirituale del Nuovo Ordine Mondiale. L’opposizione identitaria ha invece più fondate ragioni critiche ma anche in tal caso bisogna stare attenti perché esiste un identitarismo naturalistico, privo di orizzonti metafisici, che guarda alle culture popolari come ad espressioni, quasi sovrastrutturali nel senso marxiano del termine, dell’“ethnos”, del sostrato biologico, dei popoli, con conseguenti rischi di derive razziste e neo-tribali. Se è automatico che i cattolici siano mille miglia lontani dal libertarismo e dal new age, devono tuttavia stare molto attenti a non farsi incantare dalle sirene dell’identitarismo etnico per il quale la fede è soltanto la religione storica della nazione e come tale diventa un instrumentum regni delle strategie politiche “sovraniste”. Come diceva Pio XI, la patria ha il suo giusto ruolo nell’ordine del creato ma dopo Dio e laddove tale ordine viene sovvertito si sfocia nell’idolatria “neopagana”.
RS: Ci dica 3 cose concrete che un cattolico può cominciare a fare da oggi, per fare la sua parte contro il Great Reset.
R: Non vedo attualmente spazi di natura politica mentre restano gli spazi dello Spirito, perché quelli nessuna resettazione potrà toccarli. Noi già viviamo in una società distopica in corso di implementazione e quindi gli spazi politici si ridurranno sempre più. Siamo stati abituati a pensare al totalitarismo come quello dei carrarmati e della mobilitazione di massa. Forme antiche, del secolo scorso. Il nuovo totalitarismo è virtuale, digitale, immateriale, non sanguinario ma non per questo meno repressivo. Basta pensare a cosa accadrà quando la moneta sarà esclusivamente elettronica e la eventuale depiattaformizzazione di chi si mostrasse ribelle al sistema comporterà la morte civile del malcapitato. Già oggi in Canada il governo di Trudeau ha chiuso gli account dei conti correnti aziendali dei camionisti in protesta togliendo loro l’accesso alle proprie risorse finanziarie. In Apocalisse 13, 16-18 è detto che il potere mondiale dell’Avversario imporrà a tutti un marchio senza del quale nessuno potrà vendere o comprare. In Cina già è vigente il sistema del “credito sociale”, una sorta di patente di buona condotta, digitale, a punti che, a seconda del comportamento politicamente corretto o scorretto del cittadino, aumentano o diminuiscono fino, in quest’ultimo caso, ad azzerarsi con conseguente impossibilità di accesso ai conti bancari ed agli altri servizi pubblici. In uno scenario così, destinato a prendere piede anche in Occidente – il cosiddetto green pass, ossia il codice unico digitale europeo, è solo il primo passo – credo che le tre cose principali che concretamente ciascun cattolico può fare sono, nell’ordine, la frequenza assidua dei Sacramenti, in particolare dell’Eucarestia, la preghiera quotidiana e la formazione personale e comunitaria. Oggi, come anche ai tempi di Benedetto da Norcia, è necessario che sussistano oasi di vita comunitaria, di amicizia, all’interno delle quali resistere mediante le tre “cose” di cui sopra. Importante è anche lo studio e la formazione culturale che è ancella dello Spirito. Non saremo noi a sconfiggere il totalitarismo globale, ma Qualcun altro. Non sto dicendo – sia chiaro! – che siamo alla vigilia della Parusia ma soltanto che, come è già accaduto altre volte nella storia, durante altre persecuzioni del passato, alla fine i progetti dell’orgoglio umano sono falliti e la Provvidenza ha guidato le cose in modo che il male non prevalesse. Questo può sembrare un discorso impolitico ma in realtà, nell’impossibilità di incidere diversamente, sta solo ad indicare l’opportunità al momento di una resistenza, soprattutto interiore, in attesa che, a Dio piacendo, si riaprano anche gli spazi politici.
dal sito di Radio Spada