Questo titolo d’un articolo di un blog economico francese (Gaulliste Libre) meritava una lettura. Vi ho trovato alcuni dati interessanti.
Come ormai moltissimi economisti non mainstream, anche questo si aspetta il krack mondiale: “Non avendo assolutamente imparato la lezione della precedente crisi [del 2008], siamo condannati a viverne una prossima”. La sola domanda riguarda il fiammifero che appiccherà l’incendio. Una delle fantastiche start-ups ultra-tecno sulle cui mirabolanti promesse (felicemente chiamate unicorni) i fondi speculativi amano concentrare i capitali, non mantiene le suddette promesse? La bancarotta di uno Stato sovrano? Un altro crack bancario? Una crisi internazionale che provochi un altro rallentamento, stavolta destabilizzante l’economia mondiale?
A questo proposito l’autore nota che l’inaudito deprezzamento del greggio (-75% in un anno e mezzo) seguito dal crollo di tutte le materie prime, che inizialmente ha ridato fiato ai mercati finanziari, oggi è pericoloso: un rialzo brutale e prolungato delle materie prime farebbe rialzare l’inflazione e spingerebbe al rialzo i tassi d’interesse, incenerendo il castello di carte della finanza attuale, basata su tassi zero: “una causa classica di krash”.
Ma l’innesco può esser fornito dalla crisi specifica di un sistema finanziario, e qui i due ‘sistemi’ che sembrano più probabili candidati sono Italia e Cina.
L’Italia inquieta i mercati da mesi, dal collasso di Montepaschi, per le sue banche malmesse e con più del 18% di crediti andati a male, e (ma cortesemente Herblay non gira il coltello nella piaga) governate da criminali truffatori con l’aggravante di essere incompetenti, “che vogliono farvi credere che è tutta colpa della crisi economica se ci sono le sofferenze e che regolatori e vigilanza in Italia non c’entrano nulla” (qui ho rubato una riga a IcebergFinanza), mentre hanno truffato i risparmiatori rifilando loro dei titoli-kakka. I banchieri italioti hanno messo insieme un fondo, Atlante, per aiutare le banche in difficoltà: che dopo averne aiutato una, la Banca Popolare di Vicenza, ha già quasi finito i soldi. In un paese il cui debito pubblico supera i 2 mila miliardi di euro – ma Herblay, caritatevolmente, cita “tutte le restrizioni della UE, che sono altrettante complicazioni per aggiustare la crisi bancaria italiana. D’accordo, lo sappiamo.
Interessante la situazione della Cina, descritta in poche semplici cifre: dal 2008, il peso dei debiti del (gigantesco) paese è passato dal 150 al 260 del Pil; i prestiti in sofferenza sono al 5,5% – che sarebbe invidiabile per noi, senonché in Cina sono raddoppiati in 2 anni. Soprattutto, “gli attivi delle banche cinesi ammontano oggi a 30 mila miliardi di dollari, ossia il 40% de PIL mondiale”. Leggete bene: non il 40% del Pil nazionale, ma planetario. Le banche cinesi hanno prestato alle industrie cinesi (questo son gli “attivi”: prestiti, esposizioni) quasi la metà del Pil mondiale. Inoltre, la finanza “oscura” (una fungaia di crediti e speculazioni paralleli, che sfugge alle regole) è quadruplicata in 3 anni. L’autore trae qualche consolazione dal fatto che l’economia cinese non è così interconnessa come le altre.
I commenti dei lettori sono competenti (alcuni sono economisti noti). Più che Italia e Cina, uno addita Deutsche Bank, esposta non meno delle banche italiane, e per dieci volte il Pil germanico. Un altro indica il Giappone.
Un altro ancora indica l’Algeria come “bomba ad orologeria” pronta all’esplosione politica e sociale: il vecchio dittatore Bouteflika è appunto vecchio, il sistema di potere è roso dall’interno, il paese non produce quasi niente e sopravvive di importazioni, il deficit della bilancia dei pagamenti toccherà un vertice inaudito nel 2019, così come la disoccupazione e l’inflazione. “L’introito petrolifero è sprecato e saccheggiato”, e il petrolio è basso: uno scenario alla Venezuela si può profilare sulla sponda del Mediterraneo? Uno dei nostri più solidi fornitori energetici può implodere?
http://www.tdg.ch/geneve/geneve-internationale/LAlgrie-est-une-bombe–retardement/story/14177078
A-J Holbecq addita come innesco del prossimo krash i prodotti derivati, “fra 600 mila miliardi e 1,2 milioni di miliardi”, forse dal 2019. Perché – nota un altro – le banche centrali stanno impedendo il krack, o più precisamente, lo ritardano. Al prezzo di deflazione, riduzione del potere d’acquisto, disoccupazione importante e permanente.
Insomma i candidati a fare da innesco sono tanti. Colpisce il fatto che, invece, governi europei, mondiali, governatori stanno da qualche giorno annunciando che “c’è la ripresa”. L’Italia è uscita dalla recessione, ha detto anche Vincenzo Visco, il governatore di Bankitalia: la ripresa c’è, ma è “lenta”; ed ha dato le sue ricette, rilanciare gli investimenti, aumentare la produttività, ridurre il cuneo fiscale, rientrare dal debito pubblico…La cosa veramente sorprendente di Visco non sono le quattro piatte banalità che mescola alle cinque menzogne ufficiali, ma il fatto che – come dice giustamente Salvini – un simile tizio sia a piede libero. E con lo stipendio che non meriterebbe nemmeno se fosse un Nobel per l’Economia, e avesse esercitato la normale sorveglianza bancaria che è obbligato ad adempiere. Tuttavia va’ segnalato il suo annuncio ottimista. Non è il solo: Padoan (il ministro messoci qui dal FMI) ha annunciato che il debito pubblico “si è fermato e ora comincerà a scendere rapidamente” (rapidamente!, addirittura). Anche all’estero vengono borborigmi di ottimismo. Persino da Hollande, anche se la rivolta sociale dura ormai da aprile e non si placa, contro l’adozione del Jobs Act locale, che è stato dettato dalla UE (“la riforma del diritto del lavoro imposta da Valls è il minimo necessario”, ha intimato Juncker, ammettendo così che è stata la Commissione UE a dettarla a Parigi). Avrete notato che persino Schauble non insiste più di tanto sul pareggio del nostro bilancio, e la Merkel concede qualche lode all’economia italiana. Sono tutti sul tono dell’ottimismo – comparativo. Anche Obama: “L’economia oggi va’ meglio di quando ho assunto la carica”. E’ chiaramente ciò che hanno deciso al G-7 di Tokio qualche giorno fa. Precisamente, la “sola cosa” che hanno deciso: emettere rumori rasserenanti, puntare sull’ottimismo comparativo, oggi è un po’ meglio di prima.
Vuol dire, probabilmente, che loro stessi sono terrorizzati.
“Non date retta all’elite al comando, l’economia mondiale è nei guai grossi, ha infatti scritto l’ex capo di Morgan Stanley Pacifico – si chiama Andy Xie – sul South China Morning Post: prima della perdita di tempo chiamata G7, il gruppo di lavoro del G20 si è riunito a Shanghai senza uscirne con uno straccio di proposta costruttiva per ridar vita all’economia globale, e invece s’è lamentato che le tempeste dei mercati “Non riflettono i fondamentali sottostanti l’economia globale”; che sarebbero sani. Sani? Il greggio calato del 70 per cento, il real brasiliano svalutato del 50, il rublo del 60%. La Federal Reserve ha speso trilioni per salvare quelli che hanno provocato la crisi. La Cina ha investito 20 trilioni di dollari in fabbriche e case per cui non c’è domanda – di fatto ha costruito fabbriche per tenere occupate le sue fabbriche – gonfiando in questo i prezzi delle materie prime. Le banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse a zero, senza che la domanda di credito si sia svegliata: ovvio, le imprese produttrici non vedendo un aumento della domanda dalla gente, i cui redditi sono erosi. Il credito facile è andato alle materie prima che i superinvestimenti cinesi facevano lievitare temporaneamente; i paesi emergenti che producono materie prime hanno preso in prestito 9 trilioni di dollari, che adesso non possono restituire. Una montagna di debito galleggia sulla bolla delle materie prime, che a sua volta galleggia sula bolla cinese del super-investimento. “Sta esplodendo, ed è solo l’inizio. Ora la Cina vuol esportare la sua sovraccapacità e perché no? Dopotutto, ha investito troppo per tenere a galla l’economia globale, e non ha da pagarne da sole il prezzo di questo errore. Però, esportando la sua sovraccapacità, la Cina “provocherà la de-industrializzazione del resto del mondo”; risultato, deboli investimenti e forte disoccupazione, tagli ai redditi dei consumatori. “L’economia mondiale ha davanti anni di stagnazione deflazione e crisi finanziaria” – anni i cui i signori tutt’ora al potere ripeteranno lo stesso trucco, inondare i mercati finanziari di liquidità, senza esito. L’instabilità politica si spande al mondo; la revulsione popolare porterà al potere “i populisti” – paventa l’x di Morgan Stanley Asia – che ricorreranno al “protezionismo”: e allora, dalla deflazione si passerà all’inflazione, all’iper-inflazione, alle rivoluzioni violente”.