Gli italiani sono tornati a emigrare come nel dopoguerra, ci informava un articolo di qualche giorno fa – subito dimenticato. 250 mila, anzi più probabilmente 285 mila l’anno. E sono per lo più laureati e diplomati, il 64 per cento.
Dunque, mentre noi accogliamo ogni anno centinaia di migliaia di africani senza istruzione (491 mila gli irregolari, 280 mila i “richiedenti asilo”), buoni nel caso migliore a raccogliere pomodori, e nel peggiore a finire mantenuti a spese pubbliche, spacciatori o cannibali assassini, simultaneamente esportiamo all’estero alti talenti.
Nessun commento ha sottolineato l’aberrazione sociale – e l’odiosità morale – di questo fatto. Anzi è il motivo, credo, per cui sull’articolo ci si è affrettati a stendere il silenzio.
Nell’articolo dimenticato si rendeva noto che ognuno dei 34 mila laureati che se ne vanno ogni anno, il costo per le famiglie e noi contribuenti è stato di almeno 158 mila euro, che scialacquiamo regalandolo ai paesi stranieri; per ognuno dei 39 mila diplomati superiori, abbiamo speso 70 mila euro. Un danno contabile.
Questo dice quanto a fondo – fino agli occhi, alla testa – siamo infitti collettivamente nella palude stigia del Regno della Quantità. Non siamo in grado di provare dolore per la qualità dei 250 mila giovani l’anno che costringiamo a emigrare, sentire come mancanza (e carità di patria) il valore, la bellezza, e la superiorità vitale, incommensurabile in denaro, di cui ci priviamo come valessero nulla – o meno di un nigeriano da gommone. Perché aver studiato bene, fino a una laurea che gli stranieri richiedono e pagano, significa aver sviluppato qualità umane rare e belle, rafforzato la volontà, superato le tentazioni del facile; avere coltivato fermamente nobili ambizioni e curiosità intellettuale, allargato la capacità di indagine, analisi e critica autonoma; accumulato conoscenze del patrimonio culturale e scientifico europeo che poteva nascere solo in Europa, frutto di tremila anni di crescita ed accumulo di saperi, identitario, ma allo stesso tempo universale.
Nemmeno è permesso dolersi per questa emorragia di giovani migliori. Anzi ad apprezzare e valutare la qualità dei compatrioti che perdiamo, si incorre nell’accusa di “discriminazione”, gran delitto secondo il politicamente corretto, affine e sboccante nel “razzismo” e, beninteso, “xenofobia”
Questa è la più brutale mancanza di carità di cui si macchiano gli apostoli della “accoglienza”, e rivela la natura ideologica, ossia falsa, della loro “carità” pelosa verso “gli ultimi” che vengono per mare. Si affrettano a rifocillare, vestire, curare e fornire di carta SIM il negro sbarcato a Pozzallo, ma dei loro figli migliori, che qui non trovano lavoro e devono emigrare, se ne fregano. Nella società buonista e accogliente vige un disprezzo della qualità – la qualità umana dei migliori – che va riconosciuta come la più bruciante ingiustizia. Ingiustizia sociale e, per i cattolici progressisti, rozza e bruta mancanza di carità. Quella vera, non la mediatica laudata da Repubblica.
Lo dico avendo saputo che Andrea Riccardi della Sant’Egidio (ministro del disumano governo Monti), dopo aver pranzato con l’orribile Macron, ha vaneggiato che la sconfitta del PD è la “sconfitta della Chiesa”, ed ha concluso: “C’è un voto cattolico che è andato alla Lega o a M5S: non dico che debbano essere scomunicati, ma il messaggio della Chiesa non ha avuto rilevanza per loro”.
Già pronto a vibrare scomuniche e ad una nuova inquisizione, a giudicare le coscienze, questo spaventoso esponente dell’oligarchia parassitaria che ci opprime, in nome della “carità” nella nuova versione di Bergoglio.
Papa Soros Primo, Papa Kalergi, è in prima linea, ad accusarci – lui il mentitore malvagio, lui lo spietato – di mancanza di carità. E lo fa – cosa specialmente vergognosa per un prelato – con gli argomenti economicisti usati dalle centrali globaliste: l’accoglienza di 500 mila giovani stranieri l’anno è necessaria per contrastare la denatalità (che loro stessi hanno favorito), altrimenti cala il Pil, si sviluppa “un vuoto demografico”, disse in una intervista a La Croix..
L’anno scorso si è pubblicamente scagliato contro quei cattolici, a suo dire razzisti e xenofobi, che si oppongono alla marea dell’immigrazione di massa invocando – e lo disse con schifo e disprezzo – “ un non meglio specificato “dovere morale” di conservare l’identità culturale e religiosa originaria».
Trovo questa frase scandalosa, in un prelato, per il suo estremo materialismo. Come se gli esseri umani non fossero altro che il loro DNA, mescolabile per coito ed anche per stupro delle donne europee, l’importante è “ringiovanire il sangue”. Come se l’Europa fosse un allevamento di vacche. Invece tutti gli uomini, hanno, anzi sono, essenzialmente, “identità culturale”. In modo radicale: è la loro “cultura” nazionale, storica, linguistica, di dogmi e credenze ereditate, che li determina e li rende diversi fra loro e – in molti casi – non integrabili.
E’ evidente e persino banale, tanto che non si può credere alla buona fede del “buonisti” ed accoglientisti senza limiti. Infatti hanno cercato di nascondere e sminuire o confondere il fatto che i nigeriani che a Macerata hanno violentato, ucciso, fatto a pezzi e strappato il cuore alla fanciulla, lo hanno fatto in base alla loro specifica “cultura” africana, che è quella della magia nera, satanica.
Satanici sono quelli che, dai pulpiti come dai media, ci insultano se rigettiamo quella cultura e non crediamo che sia integrabile nella nostra. Ci chiamano “razzisti” come se fosse questione di razza (sempre il DNA li preoccupa), e sputano sulla identità culturale che ci rende quello che siamo: che è l’identità europea, nutrita da Platone e dal diritto romano, dal romanico e dal gotico e dal barocco; è europeo chi ha letto o almeno sa leggere Shakespeare, Dante e Villon, Tolstoi Dostojevski e Bulgakov, Thomas Mann, Camus, Céline, sentire come propria la cattedrale di Notre Dame e Gaudì, apprezzare la genialità, che so, di Mendeleiev che sistema la tavola periodica degli elementi – un genio inarrivabile, stupefacente – e le scoperte sull’ereditarietà dell’abate Gregorio Mendel. Anche questi due scopritori dell’ordine segreto e bellissimo nella natura, sono un frutto della cultura cristiana, perché come tutti gli altri che ho citato, si siano detti privatamente cristiani o no, non avrebbero potuto scrutare il cuore umano con compassione o rabbia, lottare per la verità – se non nella luce del Logos, che è l’Intelligenza Incarnata.
Invece Bergoglio dice che “il contributo cristiano alla cultura è quello di Cristo che lava i piedi”, ossia, oggi, il dovere di cancellarsi ed estinguersi, sacrificare la propria identità come una specie di supremo sacrificio – come se questo ci venisse chiesto. E’ un sacrificio satanico, e lo dice l’asimmetria che la neo-chiesa impone: a tutti riconosce l’orgoglio della propria identità – al musulmano, al sodomita, al cannibale nigeriano, e il diritto di esibirla e tenersela cara, tranne al cristiano. Persino Bergoglio non ha rinunciato al passaporto argentino, segno che lui si dà il diritto ad una identità nazionale che avrebbe dovuto invece dimenticare come pontefice universale, ma da noi esige che “laviamo i piedi”, muti servi di tutti gli altri, anche perversi e viziosi polimorfi, portatori di culture di violenza e di morte, di errori ideologici che conducono all’oppressione dei popoli, come questo “europeismo” terminale oligarchico, globalista, massonico.. E chi parla di radici cristiane dell’Europa, a lui – l’argentino – pare “trionfalista e vendicativo”. Quindi non deve difendere la sua identità, ma cancellarla.
Non siamo lungi dalla voglia di Andrea Riccardi di scomunicare quelli che non hanno obbedito all’ordine bergogliano di cancellare la propria identità, nazionale, italiana, cristiana – come fosse un peccato.
Ma si capisce bene come questa ideologia produca l’indifferenza, la mancanza di pietà, per l’emigrazione dei 280 mila italiani di qualità migliore ogni anno, e la sollecitudine buonista nell’accogliere il caos della confusione etnica che ci riversano i barconi e le ONG, indistinta e minacciosa, senza selezione, senza qualità – e senza prospettive.
La Qualità dispersa dalla globalizzazione
Occorre spiegare che l’emorragia dei migliori, dei ben laureati, non è un fenomeno “naturale”? Esso è la conseguenza diretta della globalizzazione – dove il capitale impone alti livelli di specializzazione internazionale – unita alla distruzione, svendita e smantellamento delle industrie nazionali a partecipazione pubblica, dove questi migliori avrebbero trovato impiego adeguato alle loro qualità. Niente, era stato deciso che l’Italia, nella divisione internazionale del lavoro della globalizzazione, non dovesse più occupare i piani alti della tecnologia e delle nobili ambizioni. Il tutto, naturalmente, aggravato dall’europeismo a guida germanica, dall’euro. E’ noto che quando un paese perde la sovranità monetaria, non potendo svalutare la moneta, svaluta il lavoro. A cominciare dai salari, ma presto nella svalutazione è compresa la qualità, che non serve più.
Infatti non succede solo all’Italia.Tutto il Sud Europa è travolto dalla stessa emorragia dei migliori: dalla Spagna vanno via 100 mila laureato l’anno,
Per l’Italia, le stesse istituzioni europee parlano di “migrazione di massa dei cervelli”
http://www.euexperts.eu/blog/italian-brain-drain-mass-migration/
Dalla minuscola Grecia sono fuggiti 500 mila ingegneri, medici, architetti, storici, classicisti, e li si trova in Germania, Danimarca, Olanda. “Venite dove il lavoro c’è”, disse loro Angela MErkel. I nostri governanti non li hanno trattenuti, anzi, meglio se si tolgono dai coglioni, esalò un ministro (del Lavoro del PD).
Il risultato, tragico, è che i paesi d’origine, anche con le loro economie falcidiato, adesso “mancano di competenze” tecniche e professionali per l’eventuale ripresa. Questa emorragia di risorse umani superiori rende impossibile la ripresa e lo sviluppo al livello richiesto; assistiamo ad una sudamericanizzazione del Sud Europa, proprio quella che è stata culla della civiltà e cultrice della Qualità. Il Riccardi di Sant’Egidio, come ministro del malvagio Monti, è stato complice di questa devastazione spietata dei migliori.
Così, questi cristiani finto -“umili” che hanno rinunciato alla loro identità, questi che “lavano i piedi” per un giorno, hanno eseguito il servizio loro richiesto dal capitale usurario internazionale: svalutare “i costi umani di qualità”, renderli mere “quantità” sacrificabili.
E’ un delitto sociale, e lo denunciò John Maynard Keynes, che – comunque lo si giudichi – aveva più carità sociale di questi pseudo-cristiani. In un saggio capitale del 1933, egli difese “l’auto-sufficienza nazionale” contro il capitalismo transazionale.
“L’internazionalismo economico”, scriveva, “con quel che comporta di libero movimento di capitali da investimento, come del libero scambio di merci, può condannare il mio paese, per una generazione, a un livello di prosperità materiale inferiore a quello che potrebbe attingere […] La nuova generazione non ha niente da aspettarsi da un sistema mondialmente uniforme”. “Sostengo che dobbiamo essere meno soggetti possibile all’influenza di cambiamenti economici decisi altrove, se vogliamo andare verso la repubblica sociale ideale del futuro. Penso che un avanzamento deliberato verso una più grande autarchia nazionale e un maggior isolamento economico ci faciliterebbe il compito, nella misura in cui il costo non fosse eccessivo”.
E’ il capitale speculativo che vede in tutto ciò che è migliore, solo dei “costi”. Keynes: abbiamo dato “un posto stravagante a quello che chiamiamo “risultati finanziari” promossi come criteri per giudicare ogni azione, pubblica o privata”. Così, dice, “vivere è divenuto la parodia dell’incubo di un contabile … Abbiamo ritenuto che ci occorreva assolutamente rovinare gli agricoltori e distruggere un’economia basata su tradizioni antiche, per guadagnare qualche centesimo su una mica di pane. Distruggiamo la bellezza della campagna perché lo splendore di una natura che non appartiene a nessuno non ha valore economico. Londra è una delle città più ricche della storia della civiltà, ma “non si può permettere” le realizzazioni più ambiziose di cui sono capaci i suoi abitanti oggi disoccupati, perché “non ci sono le coperture”. Dobbiamo lasciarli poveri, perché non rende farli ricchi. Siamo capaci di spegnere il sole e le stelle perché non danno alcun dividendo” .
(J.M Keynes, National Self-Sufficiency”, The Yale Review, vol.22, n˚ 4 (june 1933), p. 755-769.)
Keynes, maestro di lingua, poeta, mostra qui che un vero grande economista non si riduce ad un contabile. Capì che il capitalismo mondiale stava rendendo brutto il mondo, spegneva le “qualità”, gli splendori delle campagne e delle stelle, riduceva tutto a tasso di rendimento, a mera quantità. Così è la ”carità” pelosa di Bergoglio e dei bergogliani, confitti nello Sige del Regno della Quantità fin oltre la cuculla.