Con questa aberrante sentenza, i giudici hanno reso inarrestabile l’invasione
Ong, l’aiuto dei giudici: “Libia porto non sicuro”
La sentenza della Cassazione fa esultare i “talebani dell’accoglienza”: “Ridiscutere il decreto Piantedosi”
La corte di Cassazione sentenzia che «la Libia non è un porto sicuro», come se fosse una novità. Le Ong suonano la carica sostenendo addirittura che gli accordi fra l’Italia e Tripoli sul contrasto all’immigrazione diventano automaticamente illegali, ma gli addetti ai lavori fanno notare che «si tratta del solito polverone alzato ad arte. Non cambierà nulla».
La Cassazione, il massimo organo giudiziario, ha bocciato il ricorso del comandante di Asso 28, un rimorchiatore di alto mare, in servizio nel 2018 presso le piattaforme petrolifere italiane al largo della Libia. Il 30 luglio di sei anni fa prese a bordo 101 migranti arrivati su un gommone vicino alla piattaforma Sabratha, in acque internazionali, della società petrolifera Mellitah Oil & Gas partecipata dall’Eni. Nell’operazione non venne coinvolto il centro di soccorso di Roma. Il comandante ha riportato i migranti verso Tripoli consegnandoli alla Guardia costiera libica.
«L’imputato prestava immediato soccorso ai migranti, tra i quali erano presenti donne in gravidanza e minori di anni quattordici – si legge nella sentenza – omettendo di comunicare nell’immediatezza, prima di iniziare le procedure, ai centri di coordinamento competenti, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico delle persone, agendo in violazione delle procedure previste per le operazioni di soccorso».
Secondo la Cassazione il comandante ometteva anche «di identificare i migranti, di assumere le informazioni in ordine alla loro provenienza e nazionalità, sulle loro condizioni di salute, di sottoporli a visita medica, di accertare la loro volontà di chiedere asilo». La riconsegna a Tripoli dei migranti consistente nel loro respingimento collettivo è una condotta vietata dalle convenzioni internazionali». Il motivo è che la Libia rimane un porto non sicuro a causa del rischio per i migranti di venire «sottoposti a trattamenti inumani o degradanti nei centri di detenzione per stranieri».
Niente di nuovo sotto il sole, ma il caso dell’Asso 28 è completamente diverso dagli interventi della Guardia costiera libica, riconosciuta e sostenuta dall’Italia e dall’Europa, nella sua aera di ricerca e soccorso. Da Roma nessuno ha mai chiesto di riportare i migranti soccorsi in acque internazionali, su indicazione della Guardia costiera italiana, a Tripoli. Altro discorso se le navi delle Ong intervengono, scatenando una specie di «battaglia navale» con le motovedette libiche già sul posto per non far riportare indietro i migranti.
Luca Casarini, della Ong del mare Mediterranea, sotto processo a Ragusa per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione illegale, annuncia: «Metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca le navi del soccorso civile, ma pure una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia». Una fonte in prima linea sul mare spiega che «è una bolla di sapone. La Guardia costiera libica risponde ad un governo riconosciuto e continuerà a fare il suo lavoro». Valeria Taurino, di Sos Mediterranee Italia, è convinta che «la corte di Cassazione afferma il principio dell’illegalità dell’obbedienza agli ordini della Guardia costiera libica». Un grimaldello, secondo le Ong, per scardinare il decreto Piantedosi che multa e sequestra le loro navi se non rispettano gli ordini della Guardia di Finanza.