“Il Papa lascerà Roma, dovrà fuggire camminando sui corpi dei suoi preti” (San Pio X, visione del 28 maggio 1909)
titolo originale
Spada inerte, Chiesa inerme
Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis, curatore del presente testo, non intende orgogliosamente elevare la propria voce sulla scorta di un’autorità derivante dal possesso di onorificenze e blasoni.
Ai suoi componenti basta il possesso del Sacramentale costitutivo di Investitura cavalleresca, regolarmente conferito loro da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica secondo il rito del Pontificale Romanum e che legittima la loro effettiva appartenenza all’Ordine della Cavalleria, per giustificare il proprio diritto-dovere di parlare, sia pure umilmente, a nome di essa appartenenza.
Se la paradossalità degli avvenimenti può costituirsi quale palese sintomo di un sovvertimento ontologico ormai pienamente in atto nei tempi odierni (tempi escatologici questi, in cui il male appare rivestito di luce ed il lupo si presenta travestito da agnello), come esimerci dal doverne additare l’ennesimo, deplorevole esempio?
Veniamo a sapere che nel nuovo Rituale per le celebrazioni dell’Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme – promulgato il 19 marzo 2021 dall’Eminentissimo Gran Maestro, Cardinale Fernando Filoni – proprio il simbolo che per sua natura è da sempre peculiare della dignità e dell’azione cavalleresca, ossia la “spada”, con un gratuito colpo di mano gerarchico – nonché per letterale, curiosa adesione ad un noto modo di dire – nei riti di Investitura è stata fatta “passare in Cavalleria”.
Intendiamo dire, insomma, che la spada è stata abolita, in quanto non solo ritenuta non necessaria al rituale, ma addirittura discriminante nei confronti della componente femminile dell’Ordine, rappresentata dalle Dame (sic!).
L’ironia espressa col precedente gioco di parole è amara, tal quale l’insensata ed incredibile realtà dei fatti che conferma innegabilmente, per ulteriore paradosso, che lo sconvolgimento, l’alterazione, il capovolgimento della S. Chiesa Cattolica si sta attuando nella peggior misura in virtù dell’azione di tali e tanti “gesti picconatori” operati proprio dal suo interno.
La notizia, già riportata ampiamente dalla stampa[1], merita di essere commentata anche e soprattutto da noi in quanto Cavalieri, chiamati come siamo a difendere, tutelare, conservare, tramandare il mantenimento di quella pura integralità di fede ed azione nella Verità di Cristo Re, la quale è fondamento necessario della Cavalleria per assolvere al suo precipuo compito di baluardo contro i nemici sia esterni che interni alla nostra Chiesa. Oltretutto, la nostra premura risulta ancor più giustificata in quanto suddetta integralità pare venir smarrita, ogni giorno di più, persino dai due più grandi e gloriosi Ordini oggi ancora ufficialmente riconosciuti dal Papato: Malta e, appunto, S. Sepolcro.
Il carisma a cui si allude non è solo quella che ogni battezzato è chiamato a rendere operativo nel proprio cammino di fede, in quanto componente della Ecclesia Christi. Lo spirito della Cavalleria, infatti, distingue coloro che vi appartengono (o almeno lo dovrebbe) dai componenti di una qualsiasi altra aggregazione cattolica, per l’inerente richiamo ad una maggior “qualità” del sentire e del compiere.
Se “quantitativamente” la fede è una, sono infatti “qualitativamente” differenti i livelli ontologici con cui essa fede può venirsi ad attuare da parte dei Christi fideles; ed è la maggiore o minore “nobiltà” posseduta dalla loro identità ciò che sancisce tali differenze.
Oggi, in verità, il termine “nobiltà” è così logoro che se ne equivoca ormai l’originario significato cristianamente sapienziale, il quale si potrebbe meglio cogliere anche solo con un po’ di sane reminiscenze tomistiche. Alludiamo ad un qualcosa che non deve esser ridotto e confuso con l’appartenenza ad un privilegiato ceto sociale, occasionalmente ereditato; ma è piuttosto ciò che si stabilisce, assolutamente, in base alla maggiore o minore disponibilità dell’essenza di un ente ad aderire e partecipare all’essere: cioè a dire all’Esse Ipsum, a Dio. La “nobiltà” è insomma una qualità “morale”, intendendo il termine nel senso originale di “ciò che è relativo a costume, tradizione, legge, norma” (lat. mos, moris).
Proviamo a chiarire.
Con identità si intende, in senso generalissimo, la “qualificazione di un ente per cui esso è tale e non altro” (lat. id-ens).
L’ente è sé stesso in virtù dell’essere a cui partecipa (in pratica: “ente è ciò che ha l’essere”; il quale essere, da parte sua, è “ciò che attualizza l’ente” ossia lo porta “dalla potenza all’atto”). Gli enti sono oltretutto numerosi, in quanto essi possono differenziarsi fra loro grazie alla propria particolare essenza.
Con essenza deve intendersi il “modo e grado di partecipazione di un ente all’essere”; essa esprime insomma “ciò che l’ente è”, laddove l’essere esprime “ciò per cui l’ente è”. In definitiva, l’ente è costituito da “essere + essenza”.
Da un punto di vista fenomenologico, all’essenza di un ente è legato il suo potere di azione, che non è uguale in tutti gli enti. Con azione si intende l’operazione dell’essere nell’ente: è fecondità dell’essere, è specchio dell’essere, procede dall’essere, esprime l’essere. Non vi è agire senza essere, non vi è essere senza agire. L’azione è la dimensione dinamica dell’essere e viene caratterizzata attraverso l’essenza.
Pertanto l’ente, proprio in quanto tale (ossia in quanto possiede l’essere, partecipandovi), può agire, è capace di agire; e ciò secondo il suo modo e grado di partecipazione all’essere, ovvero appunto secondo la sua essenza. E’ necessario ribadire ancora che tale “esercizio dell’azione” è sempre ricevuto e partecipato, di modo che l’ente finito non può esercitare l’azione che soltanto nella misura di cui ne è “capace”; cioè, letteralmente, solo in misura equivalente al proprio grado di “contenimento” dell’essere e quindi di partecipazione ad esso!
Quando l’essere coincide perfettamente con l’essenza siamo al cospetto di Dio: l’Essere per Sé stesso, ovvero l’Esse Ipsum (cfr. Es 3,14). Questa identificazione perfetta di essere ed essenza rimane prerogativa esclusiva di Dio Creatore e giammai di alcuna creatura.
L’Esse Ipsum è la sorgente e causa di tutti gli enti, di tutto ciò che è in atto: niente è, se non perché riceve l’attualità dall’Esse Ipsum. Essendo la perfezione somma di tutte le cose, l’Esse ipsum è la sede di tutte le perfezioni. Anche la nobiltà dunque, nel senso di eccellenza, buona qualità, elevatezza, distinzione, appartiene all’ente in forza dell’essere; e di conseguenza il grado di nobiltà corrisponde in misura equivalente al grado di partecipazione all’essere.
«La Sapienza manifesta la sua nobiltà, perché vive in comunione con Dio» (Sap 8,3).
Puntualizzato succintamente tutto ciò, possiamo finalmente comprendere cosa debba intendersi allorché si definisce la Cavalleria: l’azione capace di essere la più nobile! In altre parole – prescindendo naturalmente dall’ambito e dalle funzioni più strettamente sacerdotali (che tradizionalmente non coincidono con le competenze cavalleresche) – l’Identità Cavalleresca si costituisce, ontologicamente per l’essenza umana, come la partecipazione a Dio la più elevata ed eccellente!
A tutti gli effetti, essa va pertanto intesa, primariamente, quale archetipo, un principio metafisico, metastorico, sovratemporale. Ed è proprio alla luce di ciò che si chiarisce pure perché l’attuazione della Via Cavalleresca non rimanga vincolata esclusivamente ad un’unica e determinata epoca storica, né la Cavalleria possa mai venir considerata alla stregua di un’Istituzione suscettibile di diventare obsoleta.
Come nel caso di ogni archetipo, dunque, il carattere metafisico della Cavalleria può dare sì atto ad adattamenti storico-temporali a livello delle proprie applicazioni ontiche, ma non può mai divenir soggetto a mutazioni che ne intendano corrompere e tradire la principiale identità essenziale. Ciò significa, ad esempio, che se un tempo il privilegiato campo di battaglia del Cavaliere erano le regioni della Terra Santa, contro gli infedeli, oggi il luogo per i suoi combattimenti è mutato, ma sussiste pur sempre: questo luogo è precisamente l’ambito socio-culturale di stampo modernista, laicista, relativista, globalista, cripto massonico, grazie alle cui operazioni culturali (o pseudo tali) le forze del male mirano a destabilizzare la Santa Chiesa Cattolica e contro di cui, presentemente, ogni Cavaliere deve porre al servizio la propria spada.
In definitiva, pur mutando i contesti storici, l’essenza di militia della Cavalleria rimane inalterata, in quanto essa rappresenta il metastorico baluardo difensivo dell’Ecclesia Christi. La perdita, l’abbattimento di tale estremo baluardo non significa certo la fine totale di essa Chiesa (sulla quale, ben sappiamo, non praevalebunt), ma comunque rappresenta, perlomeno, il suo finale doloroso sgretolamento: ecco perché rimane necessario che suddetta essenza della Cavalleria (cioè a dire la sua forma metafisica) venga sempre mantenuta e tutelata nella propria purezza. Oltretutto, nel momento in cui tale processo giungesse sino in fondo, sarebbe compito escatologico proprio della medesima Cavalleria aiutare la ricostruzione ed il riconsolidamento strutturale della rinnovata Ecclesia, dopo tale sua momentanea caduta.
A tutt’oggi, l’indirizzo decisamente intra mondano ed orizzontale assunto dalle gerarchie ecclesiali nella propria attività pastorale – e, per riflesso, anche dall’azione cavalleresca non più “miliziana”, ma esclusivamente socio-caritatevole, così come svolta dai due Ordini Equestri più antichi e gloriosi – risulta sovrapponibile piuttosto a quello di una pura e semplice Ong o di una Onlus, in maniera per nulla pertinente cioè ad un’Istituzione di carattere sacro e sovrannaturale; e ciò proprio a causa dello smarrimento di ogni verticale consapevolezza metafisica.
Il risibile motivo di tale atteggiamento, che non pone più la debita attenzione al rispetto della forma (appunto metafisica), risiede nell’errore di confondere questa col vacuo “formalismo”, in nome di una semplificazione che in realtà scade nel grossolano semplicismo.
In fin dei conti si tratta di una carenza di fede, data l’incapacità di andare oltre il mero letteralismo che uccide, tanto da riuscire a cogliere, invece, il mistero di quella che è la “lettera vivificata dallo Spirito”.
Stiamo parlando insomma di quelli che sono i segni ed i simboli che, per la propria natura, costituiscono il vero “linguaggio del sacro” (le succitate “lettere vivificate dallo Spirito”), capaci come sono di essere contestualmente quello che esprimono, di sintetizzare e superare in sé l’apparente dicotomia tra significato e significante, di gettare insomma un ponte tra la sfera divina e quella umana e permettere a quest’ultima di beneficiare, dalla prima, l’effusione di Grazia sacramentale e santificante in un’esperienza vissuta, reale e diretta.
Il simbolo della “spada”, riconosciuto come fondamentale specialmente per la Cavalleria, proprio in quanto tale non può venir relegato all’espressione di un banale accessorio, di un semplice, opzionale oggetto a cui poter rinunciare nel proprio utilizzo, un ente del tutto ininfluente ai fini della manifestazione di una sussistente e operativa vitalità dell’essenza cavalleresca. Il fatto di non doverla oggi più usare quale arma per il combattimento su un campo di battaglia non ne sminuisce di certo la profonda portata simbolica, né l’incidenza reale dell’efficacia rituale in occasione di un’Investitura.
Se essa non agisce più direttamente, ed in particolare, contro la carne e il sangue dei nemici, tuttavia mantiene intatta la capacità evocativa della propria azione di potenza contro quello che è l’ancor più insidioso e sottile antagonismo, di carattere spirituale, svolto dal Nemico per antonomasia.
La sua elsa a forma di “croce”, nella quale si usa preziosamente custodire le sacre reliquie, ne santifica l’azione; la dritta e lucente lama “a doppio taglio” ne stabilisce sia la rettitudine assiale contro le ingannevoli circuizioni del maligno, sia la solare luminosità contro le tenebre del peccato, sia la duplice potente azione contro i nemici interni ed esterni alla Chiesa, oltre che al singolo individuo Cavaliere.
L’esclusione della spada dal rituale sacramentale di Investitura cavalleresca, insomma, non può che comportare un cedimento innanzi all’avanzare del demonio, in quanto è proprio essa a veicolare la potenza sacramentale nell’investendo Miles.
Il suo significato legato cristianamente non all’offesa ed alla sopraffazione, bensì alla caritatevole difesa contro il male ed al mantenimento della giustizia in vista della pace, viene totalmente travisato da quel certo irenismo tanto in voga, il quale dimentica la pluriforme centralità assunta dalla spada anche e proprio nella Sacra Scrittura: simbolo di potenza e difesa contro il peccato (Gen 3,24), simbolo di vittoria salvifica (Dt 33,29), simbolo di punizione contro le colpe (Gb 19,29 e Sap 5,20), simbolo della Verità del Cristo (Mt 10,34), simbolo dell’apostolato per la Verità (Lc 22,36), simbolo della stessa Parola di Dio (Ef 6,17; Eb 4,12; Ap 1,16. 2,12-16. 19,15. 19,21).
Essa è insomma simbolo del Cristo Signore in quanto Logos; il Quale, non a caso, compare nell’ultimo combattimento apocalittico proprio nelle vesti di Cavaliere (Ap 19,11).
Per tornare alla cronaca della vicenda, è d’uopo porre in rilievo come la presa di posizione del Gran Maestro dell’Ordine del S. Sepolcro sia stata dettata non da un’oggettiva adesione alle prescrizioni che legano ogni Investitura cavalleresca al testo del Pontificale Romanum[2], bensì ispirata ad una mera, soggettiva scelta emotiva, in quanto «a lui personalmente, fra l’altro, utilizzare una spada all’altare, e per giunta durante una Messa, non piaceva tanto»[3].
Posizione puramente personalistica e relativistica, dunque, analogamente condivisa dal Luogotenente Generale, dalle cui parole pare oltretutto scaturire l’infondata ed ingiustificata perplessità sulla liceità dell’Investitura operata da un Vescovo: «Il lettore mi consentirà una notazione personale. La prima volta che ho presenziato a un’investitura dell’Ordine, oltre 25 anni fa, rimasi sconcertato nel vedere sull’altare, un vescovo, rivestito dei paramenti liturgici episcopali, il quale, nel corso della celebrazione della messa (infra missam), maneggiava – nel caso specifico, in modo maldestro – una spada, cioè un’arma. Come studioso di storia mi era chiaro che, nel Medio Evo, l’investitura di un nuovo cavaliere comportava l’uso della spada, ma colui che la usava era un laico, egli stesso già investito. Questa anomalia mi ha indotto, anche come docente universitario di storia della Chiesa, ad approfondire l’argomento» [4].
Dotta ignoranza quella che non sa o non vuole ricordare che l’Investitura, in quanto rientrante nella categoria dei sacramentali costitutivi, non può che necessariamente essere conferita, in origine, a partire da un Vescovo o da un Abate con dignità episcopale, e che solo in seconda istanza può essere tramandata anche da un Cavaliere già investito.
Infine, sulla questione delle Dame si raggiunge il grottesco, in quanto: «L’ingresso di Dame in una istituzione che, per la sua natura, era aperta ai soli uomini, ha provocato l’abbandono della sua originaria identità di ordine cavalleresco, nel senso in cui tale espressione era intesa nel Medio Evo. Da questa nuova realtà nacque l’esigenza di ammettere le Dame con una formula diversa da quella imposta agli uomini, e senza ricorrere all’uso della spada. Agli inizi del XXI secolo, non pare più accettabile che persone vincolate dagli stessi obblighi e titolari degli stessi diritti, siano ricevute con modalità diverse nella medesima istituzione. Il nuovo rituale risponde pienamente a questa elementare esigenza»[5].
Ci chiediamo, quindi, se l’omologazione, l’appiattimento tra maschio e femmina debba avvenire “al ribasso”, ossia obbligando l’uomo a rinunciare ad un “segno” della propria “virile” identità ontologica per perpetrare così l’ennesima “effeminazione” della Chiesa.
Senza voler minimamente scomodare la nobile figura di Santa Giovanna d’Arco, ci viene peraltro da pensare quanto tutto ciò rimanga incongruente (e questo sì, a motivo di un approccio ai fatti che, in fin dei conti, è eccessivamente “elementare” se non proprio “semplicistico”) con quella paradossalmente opposta tendenza la quale – sempre per doverosamente perseguire la medesima famigerata ed ideologica “parità di genere” – contempla oggigiorno il reclutamento delle donne negli eserciti o nelle forze di polizia, permettendone senza remore anche l’utilizzo delle armi.
Ma noi non propagandiamo l’armamento delle Dame; semplicemente invochiamo di non disarmare i Cavalieri.
Non meno esente da responsabilità è un altro alto vertice dell’Ordine, il Governatore Generale, il quale sottolinea il proprio consenso puntualizzando che «l’intenzione, attraverso il nuovo Rituale, è di porre sullo stesso piano formale, oltre che sostanziale, i Cavalieri e le Dame investendi. Il nostro Ordine, che già nell’Ottocento apriva le sue porte alle donne, mostrando con questa sensibilità verso il ruolo femminile nella Chiesa una modernità straordinaria per l’epoca, oggi, in continuità con quella scelta, pone nella cerimonia dell’Investitura le Dame a fianco dei Cavalieri di fronte all’altare e, nella Veglia, sceglie un simbolo di femminilità, ossia l’olio profumato, nel ricordo delle donne che si recavano al Sepolcro per ungere il corpo del Signore»[6].
Ecco dunque reiterata quella confusione tra i piani che sono propri della “forma” e del “formalismo”, perpetrandola in nome di una apparentemente virtuosa semplificazione dei rituali. Sfugge ai più la responsabilità di tale confusione nel provocare, invece, la nullificazione di ogni valore sacramentale (che così come nell’Investitura cavalleresca, avviene anche in numerose ulteriori circostanze liturgiche), quasi che l’adesione corretta alla specifica “forma” fosse priva di ogni incidenza e peso anche e soprattutto sulla “sostanza”. E del resto, sintomatico di tale confusione è altresì l’aver retrocesso il “rito” dell’Investitura ad esser considerato una pura e semplice “cerimonia”: il che non è proprio la medesima cosa.
In verità, tutto ciò denota insomma un’allarmante ignoranza metafisica, frutto di superficialità ideologica, che contribuisce all’indebolimento dei più sacri principi dell’intera identità ecclesiale.
Per concludere, ci sembra solamente il caso di osservare che proprio privando l’Investitura cavalleresca della imprescindibile azione metafisica svolta dalla spada, non differenziando più le persone su cui tale azione deve e può espletarsi (il Cavaliere, piuttosto che la Dama), si cede a quella vacuità, a quella esteriorizzata sembianza, a quella parvenza imbiancata di sepolcro, a quel formalismo a cui si vorrebbe, invece, porre rimedio.
Adottando, infatti, una prassi rituale che sacrifica sbrigativamente le legittime implicazioni metafisico-formali, si finisce per realizzare una solo “apparente sostanza”.
Il nostro auspicio è che i due grandi Ordini Militari di Malta e del S. Sepolcro possano presto recuperare la verità e la purezza dell’originario eroico Spirito cavalleresco. Infatti a tutt’oggi, purtroppo, questo pare aver lasciato in essi il posto a concezioni secolarizzate, ibride e non fondate metafisicamente, le quali nulla hanno a che fare più con la loro gloriosa combattente tradizione.
AD MAIOREM DEI GLORIAM
[1]https://www.repubblica.it/cronaca/2021/05/19/news/via_la_spada_dal_rito_di_investitura_per_rispetto_della_donna-301708091/
[2] Iussu Editum a Benedicto XIV et Leone XIII Recognitum et Castigatum – De Benedictione Novi Militis.
[3] www.ilmessaggero.it 18 maggio 2021 vd. supra alla nota 1 (sottolineatura nostra).
[4]http://www.oessh.va/content/ordineequestresantosepolcro/it/gran-magistero/il-gran-magistero/news-dal-gran-magistero/l_uso-della-spada-nelle-cerimonie-dinvestitura-dellordine-del-sa.html. (sottolineatura nostra)
[5] Ibidem. (sottolineature nostre).
[6] http://www.oessh.va/content/ordineequestresantosepolcro/it/gran-magistero/il-gran-magistero/news-dal-gran-magistero/un-nuovo-rituale-dellordine–innovazione-nella-tradizione-.html