(La Neo-Chiesa non aspettava altro, spegnere tutti i canali di Grazia, Bellezza e Verità)
In piena epidemia di coronavirus – paradossalmente – le chiese di Roma che, secondo l’espressione di Papa Francesco, avrebbero dovuto essere degli «ospedali da campo», non accolgono i fedeli che ne avrebbero bisogno. L’agenzia I.Media ha fatto il giro delle parrocchie romane a porte chiuse.
«Il 12 marzo 2020» – scrive Camille Dalmas – il Cardinale Angelo De Donatis, vicario di Papa Francesco per la Diocesi di Roma, ha chiesto ai preti di chiudere le porte delle chiese della città eterna fino al 3 aprile [chiusura prolungata fino al 13 aprile – NDR], allineandosi alle raccomandazioni date dal Governo italiano per lottare contro il coronavirus. La misura, adottata da tutti i vescovi del paese, è storica per Roma, patria vivente del cattolicesimo da duemila anni, dove mai era mai stata ordinata una simile restrizione».
Davanti all’opposizione dell’elemosiniere del Papa, il Cardinale Konrad Krajewski, che è incaricato delle opere in favore dei poveri, «il Cardinale De Donatis ha deciso di ritornare sulla decisione e ha lasciato alla saggezza dei suoi parroci il compito di mantenere una prossimità con i fedeli senza contravvenire alle consegne del Governo di Giuseppe Conte. Ma la riapertura, nei fatti, sarà molto poco seguita, – è difficile valutare in che misura sia stata esercitata una costrizione sui parroci. […]
«La chiusura di molti luoghi di culto emblematici della capitale è significativa. Per esempio, sotto la sgargiante facciata rococò della chiesa delle Santissime Stimmate di San Francesco, vicino Largo di Torre Argentina, i cancelli sono chiusi con i lucchetti.
Il Padre Angel Garcia Rodriguez, parroco spagnolo di questa parrocchia, aveva deciso, nel dicembre 2019, di mantenere aperta la sua chiesa a qualsiasi ora del giorno e della notte, allo scopo di rispondere all’appello di Papa Francesco per una Chiesa “come un ospedale da campo”. Se gli ospedali romani non conoscono riposo, in particolare le numerose strutture gestite dalla Chiesa, i “dispensari” dell’anima della capitale hanno dovuto decidersi per il confinamento».
«Tuttavia «una facciata presenta le porte aperte: quella della Basilica di Santa Maria Maggiore. Ma la polizia e l’esercito sono lì presenti e ne vietano l’accesso: solo i preti “autorizzati” possono entrare, ha dichiarato il funzionario di polizia incaricato. Non ne abbiamo saputo di più. Un po’ più a ovest, sulle porte della parrocchia del Cardinale Krajewski è presente un cartello che spiega che questo luogo di culto, che si credeva fosse l’ultimo bastione cattolico aperto al popolo di Dio, è anch’esso chiuso in attesa della fine dell’epidemia».
In Spagna, in Polonia, in Argentina, le chiese restano aperte
Di contro, in Spagna, in Polonia e in Argentina, diversi vescovi hanno deciso di mantenere aperte le loro chiese. Mons. Juan Antonio Reig Pla, vescovo di Alcala de Henares, nella regione di Madrid, il 20 marzo ha dichiarato ad Andrea Zambrano, della Nuova Bussola Quotidiana:
«Come vescovo ho deciso di lasciare aperte le chiese e anche il solito orario per le celebrazioni della Santa Messa. Con questa decisione voglio offrire ai fedeli il segno che la Chiesa non abbandona mai chi ha bisogno dell’aiuto divino, e in particolare dei Sacramenti. Così, per le celebrazioni seguiamo tutte le indicazioni di prevenzione raccomandate dalle autorità sanitarie. Inoltre, alle 12 e alle 20.30, le campane della cattedrale annunciano con due rintocchi la preghiera per le necessità provocate da quest’epidemia. Tra i beni della persona (beni utili, piacevoli, il bene morale, ecc.), il bene massimo è quello spirituale, legato al destino eterno dell’uomo. È la ragione per cui non possiamo privare i fedeli, anche in circostanze estreme come quelle che viviamo adesso, dei doni divini e, in particolare, dell’Eucarestia».
«Non soltanto manteniamo le distanze di sicurezza, ma prendiamo anche tutte le misure che sono state indicate per prevenire il contagio: igiene delle mani del sacerdote, disinfezione del pavimento e dei banchi dei fedeli, dei vasi sacri, ecc. Benché tutto questo rivesta grande importanza, nessuna di queste cose soddisfa il desiderio di infinito del cuore umano. Per questa ragione, insieme alle misure di sicurezza, non può non essere presente quanto è specifico dell’opera della Chiesa: offrire la salvezza di Gesù Cristo tramite la preghiera, la predicazione della Parola e i Sacramenti».
Ed ha aggiunto: «La Santa Messa, in tutte le occasioni, e ancor di più in una situazione di estrema gravità come questa che viviamo, è il Cielo in Terra. Senza la presenza del Cielo fatto presente nell’umanità di Cristo e, adesso, nei Sacramenti, l’uomo si perde d’animo. Per situazioni come questa e per giusti motivi le persone possono essere dispensate dalla Messa domenicale; ma non bisogna negare il Pane del Cielo a quanti, con le misure di prevenzione indicate delle autorità sanitarie, possono recarsi a Messa e desiderano il conforto di Dio».
Altre dieci Diocesi spagnole hanno adottato le stesse disposizioni: Granada, Salamanca, Asidonia-Jerez, Cadice- Ceuta, Cordova, Huelva, Almería, Segorbe-Castellón, Minorca, Orihuela-Alicante.
In Polonia, in un comunicato ripreso dal blog di Yves Daoudal il 10 marzo [in Italia riportato dall’agenzia SIR] il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca, Mons. Gadecki ha dichiarato: «Nel quadro delle raccomandazioni dell’Ispettore Sanitario Capo, secondo il quale non devono esserci grandi assembramenti di persone, io chiedo di aumentare – per quanto possibile – il numero delle Messe domenicali nelle chiese, affinché un certo numero di fedeli possa assistere ogni volta alla liturgia secondo le direttive dei servizi sanitari».
Nello stesso tempo, il prelato polacco ha sottolineato che «come negli ospedali vengono curate le malattie del corpo, le chiese servono, tra l’altro, a curare i mali dell’animo e pertanto è inimmaginabile che nelle nostre chiese non si elevino preghiere».
L’Argentina, il 19 marzo, ha attuato un confinamento generalizzato per fermare l’epidemia di coronavirus, ma il Governo ha previsto delle regole particolari per i ministri dei culti, culti che sono stati considerati come rispondenti a bisogni di prima necessità. Così, i ministri figurano nella lista delle persone esenti dall’isolamento sociale preventivo e obbligatorio, in vigore dal 20 marzo in tutto il paese. E il Giornale Ufficiale [corrispondente all’italiana Gazzetta Ufficiale] pubblicato il giorno stesso, autorizza esplicitamente i ministri dei diversi culti a circolare allo scopo di fornire l’assistenza spirituale.
Di contro, sono state interdette le Messe pubbliche. L’articolo due del decreto derl Governo stabilisce che i luoghi di culto devono rispettare il principio secondo il quale «durante il periodo di “isolamento sociale preventivo e obbligatorio”, non può essere organizzata alcuna manifestazione culturale, ricreativa, sportiva o religiosa o ogni altro tipo di manifestazione che comporti la presenza di persone”.
Il 31 marzo, Don Claude Barthe, a delle domande rivoltegli dal movimento Pax Liturgique. Alla domanda: «Concretamente, cos’è possibile ancora fare in materia di celebrazione pubblica della Messa?», ha risposto: «Legalmente, in Italia più niente. In Francia ben poca cosa. In Francia, praticamente, ogni “assembramento” per una cerimonia è proibito, salvo per le sepolture, ma con meno di venti persone. Invece, le chiese possono rimanere aperte. Un corrispondente numero di preti approfittano di questo permesso ed espongono il Santo Sacramento e ascoltano le confessioni. Il tutto seguendo delle rigorose precauzioni, specialmente le condizioni di distanza, che sono tanto più facili da rispettare, visto che pochissimi cattolici approfittano dei loro spostamenti per “l’attività fisica” per venire a pregare».
Due giorni prima, il 29 marzo, Mons. Benoist de Sinéty, vicario generale dell’Arcidiocesi di Parigi, aveva tenuto a ricordare – in maniera ecumenica – ne Le Figaro : « In un momento in cui aumenta l’urgenza e l’insieme della nostra società trattiene il respiro di fronte al diffondersi di questa epidemia, chiedo seriamente che possa essere rispettato il diritto fondamentale di essere uomo fino alla fine della vita. Che coloro che ne esprimono il desiderio, o le cui famiglie lo chiedono, possano beneficiare della presenza al loro fianco del ministro della loro religione, che tenga loro la mano, che non li lasci morire senza beneficiare dell’accompagnamento spirituale che desiderano. Non andare al capezzale dei morenti equivale ad una forma di abbandono».
E Don Thierry Magnin, Segretaro generale della Conferenza Episcopale Francese, ha dichiarato al sito Aleteia: che un prete può amministrare il sacramento dell’unzione dei malati anche in tempo di confinamento: «Con l’accordo del Ministro degli Interni, ricorrendo il caso di “assistenza alle persone vulnerabili” un prete può andare a dare il sacramento dell’unzione e il viatico alle persone in fin di vita».
Nel frattempo, a Roma, Mater et Magistra di tutte le Chiese, piazza San Pietro è deserta e la Basilica vuota. Cosa che ha fatto scrivere a Marcello Veneziani, su La Verità del 15 marzo: «Una sera ho passeggiato da solo a Roma tra le rovine della contemporaneità, ben più spettrali e desolanti delle rovine antiche. E mi ha fatto così male che non ci riproverei più, anche se avessi una dispensa speciale per farlo. Non puoi vivere se il mondo intorno è morto. Ma restiamo in attesa di resurrezione».