di Cesare Sacchetti
Inserito da La Cruna dell’Ago | Mar 28, 2023
Se si è prestato attenzione a quanto sta accadendo in questi giorni in Israele, si sarà probabilmente assistito ad un fenomeno che non appare avere precedenti nello stato ebraico.
Le strade delle città israeliane sono letteralmente invase da centinaia di migliaia di manifestanti scesi in piazza per protestare contro la riforma giudiziaria proposta dal governo Netanyahu.
Tale riforma trasferirebbe molti poteri all’esecutivo attuale attraverso la possibilità di scegliere e nominare molti giudici delle corti israeliane fino a prevedere la possibilità di sovvertire i verdetti emessi dalla suprema corte israeliana.
Il governo, molto semplicemente, avrebbe un potere che fino ad ora non avrebbe mai avuto, e tale potere risiederebbe nelle mani del partito del premier israeliano, il Likud.
Le ultime notizie parlano di un rinvio dell’approvazione della legge dopo la Pasqua ebraica, ma non sono in pochi a credere che si tratti solo di un tentativo di Netanyahu di prendere tempo e aspettare che passi la tempesta per riproporre la legge.
Per poter però comprendere meglio cosa sta accadendo nello stato ebraico e perché si è giunti ad un passo dalla guerra civile, come ha dichiarato perentoriamente il presidente di Israele, Herzog, è necessario vedere e comprendere meglio le anime che governano Israele.
Delle anime che per molti decenni hanno convissuto senza non poche difficoltà e che adesso sono sul punto di distruggersi a vicenda.
La corrente che domina prepotentemente la politica israeliana da ormai due decenni è quella del partito del Likud del premier Netanyahu. I fondatori di questo partito sono due figure di assoluta rilevanza storica per Israele, quali Menachem Begin e il comandante militare Ariel Sharon, protagonista di numerose e decisive battaglie per lo stato ebraico.
La visione che governa il Likud è strettamente legata ad una affermazione suprematista dello Stato di Israele tanto da arrivare a concepire come necessaria la dottrina degli attacchi preventivi a coloro che vengono considerati delle pericolose “minacce” per gli interessi israeliani.
La missione del Likud è quella di far espandere i confini di Israele in quella che secondo tale partito è un’affermazione del “diritto” dello stato ebraico a proseguire la politica di espansione coloniale.
In tale visione non esiste alcuna possibilità per i palestinesi di avere un loro stato. Esiste solo il diritto ad esistere di Israele anche andando ben oltre i territori attuali.
Il rapporto del Likud con il sionismo messianico
Il Likud ha però anche un profondo legame con il mondo religioso sionista ebraico a partire dal suo leader Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano è strettamente legato ad una potentissima setta del mondo ebraico hassidico nota come “Chabad Lubavitcher” fondati nel 1775 dal rabbino Shneur Zalman Borukhovich.
Se si cerca il nome di questo gruppo su Google si vedrà che i loro esponenti sono stati ricevuti praticamente da ogni leader nel mondo.
Lì si vede nella Casa Bianca circondare il Presidente di turno ai suoi due lati della scrivania quasi a volerlo intimidire e a ricordargli chi è lì dentro chi dà gli ordini e chi li riceve.
Bush riceve i Chabad Lubavitch alla Casa Bianca
Sono così potenti che anche le amministrazioni delle varie città europee non mancano mai di rendergli il “dovuto” omaggio come fece, ad esempio, Virginia Raggi quando accese il Menorah a piazza Barberini nella cerimonia organizzata proprio dal gruppo ebraico in questione.
E alla stessa cerimonia ha partecipato Giorgia Meloni recentemente lo scorso dicembre. È interessante notare a questo riguardo che questo rito viene praticato dal 1987 ogni anno a piazza Barberini a Roma.
Prima di questa data non risulta che ci fosse una cerimonia pubblica che riguarda una festività ebraica in una piazza romana così importante, e tantomeno risulta che i massimi esponenti della politica italiana si prodigassero a prendervi parte.
Ciò è abbastanza indicativo di come negli ultimi decenni la politica italiana sia dominata negli ultimi decenni da potenti lobby sioniste ma questa è un’altra storia sulla quale si avrà modo di tornare in futuro.
Ciò che conta ora è far comprendere il pensiero che domina il culto dei Chabad e per comprendere a cosa realmente anela tale gruppo bisogna recarsi sul loro sito ufficiale.
Se ci soffermiamo sulla sezione che riguarda il moshiach, comprendiamo che i Lubavitcher attendono con trepidazione da secoli l’arrivo di un leader che avrà il compito di unificare i popoli della Terra e di ricostruire il Tempio di Salomone distrutto dai romani nel 70 d.C.
Il moshiach viene descritto come un uomo con qualità eccezionali, persino superiori a quelle di Mosè, e avrà una forza e un carisma tale da guadagnarsi seguaci in tutto il mondo.
Chabad scrive esplicitamente che “tutte le nazioni si sforzeranno per creare un nuovo ordine mondiale, nel quale non esisteranno più guerre e conflitti.”
Dunque, sì, viene pronunciata esplicitamente l’espressione Nuovo Ordine Mondiale utilizzata da tempo negli ambienti massonici per descrivere la visione di un governo globale che in realtà è ben lungi dal portare “pace”, ma che piuttosto si impone, per la sua stessa natura, con la violenza su quelle nazioni che non vogliono rinunciare alla propria sovranità.
È a questa visione che si richiama il Likud. Il sionismo deve in qualche modo giungere ad affermare il primato assoluto di Israele e deve farlo restando fedele a quella visione messianica di cui parlano i Lubavitcher.
Ciò spiega lo stretto rapporto di amicizia che lega sin dai suoi primi anni di attività politica l’attuale primo ministro Netanyahu all’ex rabbino leader e figura chiave del gruppo ebraico in questione, Menachem Mendel Schneerson.
Ed è proprio lo stesso premier israeliano, in un’occasione nella quale si ricordava la figura del rabbino scomparso nel 1994, a raccontare di un incontro avvenuto tra lui nel 1984 e Schneerson.
All’epoca, Netanyahu era l’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite e il rabbino lo convocò per dargli istruzioni ben precise su ciò che doveva dire in quella che il leader chassidico definiva come una “casa di menzogne”.
E il legame tra i due è stato così profondo da ispirare tutta l’attività politica di quello che poi nel 1996 divenne il primo ministro di Israele.
Il rapporto tra il Likud e il mondo religioso ebraico messianico è profondo e praticamente impossibile da rescindere dal momento che questo partito sembra essere sotto molti aspetti una emanazione politica della spiritualità chassidica.
Il Likud si propone di espandere i confini dello Stato ebraico anche se questo vuol dire invadere il territorio di altri stati sovrani. In questa mentalità, Israele viene prima di ogni cosa. Prima del diritto dei palestinesi ad esistere su un proprio Stato e persino prima dei vicini che provino ad opporsi all’espansionismo sionista.
Quanto sta accadendo alla Siria di Assad puntualmente vittima di bombardamenti israeliani è solamente un esempio di come il sionismo messianico sia pronto a muovere guerra a tutti coloro che siano considerati un intralcio ai suoi piani.
Il conflitto tra il sionismo conservatore e l’ebraismo liberale di Soros
Questo mondo ha però una visione inconciliabile con l’altra anima che domina il mondo ebraico e Israele, che è quella liberale guidata dal leader della opposizione, Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid.
In questa corrente politica, esiste un profondo disinteresse se non una vera e propria ostilità per il culto religioso ebraico. Non è certamente la spiritualità, seppur con un’accezione negativa, a dominare il campo progressista.
Qui c’è un sionismo liberale che afferma che lo stato non deve fare propria alcuna confessione religiosa e vorrebbe togliere agli ebrei ultra-ortodossi il privilegio, difeso da Netanyahu, che li esonera dalla lunga coscrizione militare triennale alla quale sono soggetti gli altri cittadini israeliani abili a servire sotto le armi.
Nel sionismo liberale non c’è alcun richiamo esplicito al moshiach. C’è la secolarizzazione. C’è uno stato totalmente impermeabile ad ogni influenza religiosa che vorrebbe seguire l’esempio dei Paesi europei che sono ormai spogliati del tutto dalle loro autentiche origini cristiane sostituite da quelle del pensiero liberale.
C’è uno scontro aperto tra due visioni dell’ebraismo e del mondo che appaiono del tutto inconciliabili.
E ciò spiega sia la profonda avversione del Likud nei confronti del magnate George Soros sia la freddezza nei confronti dello stato ebraico da parte dello stesso Soros.
Soros non è mai stato un personaggio molto amato dagli ambienti del sionismo conservatore per una ragione molto semplice.
Soros non ha mai nascosto le sue origini ebraiche ma a differenza dei membri del Likud non si considera un ebreo nazionale, quanto un ebreo internazionale.
Suo scopo non è assicurare la sovranità dello stato di Israele ad ogni costo. Suo scopo è esportare il modello di società aperta che spoglia le nazioni dello loro identità religiose, etniche e culturali per sostituirle con il “modello” del melting pot, ovvero quella violenta e autoritaria fusione di culture che finisce inevitabilmente per uccidere la cultura originaria del Paese dove tale filosofia è applicata.
Soros può definirsi globalista per questa semplice ragione. È un esportatore della rivoluzione liberale che come tale si propone di abbattere i confini degli Stati, estirpare qualsiasi cosa rimandi alle loro tradizioni, svilire la figura dell’uomo e del padre, esaltare invece quella della donna monade misantropa per giungere poi al completo e inevitabile annichilimento spirituale e materiale della nazione colpita da questo irruento e devastante processo rivoluzionario.
Il liberalismo non è altro che una bomba nucleare ideologica. Laddove la si getta non resta più nulla di ciò che c’era in precedenza. Resta soltanto il caos permanente che affligge le società Occidentali soprattutto dal 1968 in poi, anno nel quale la rivoluzione si è istituzionalizzata fino a dominare ogni aspetto dell’Occidente tutto.
Non c’è campo dove non si sia affermato il liberalismo nei decenni passati. La politica, il mondo dell’arte e dello spettacolo, lo sport, la cultura e la scuola. Ovunque si mettesse piede si trovava affermata questa ideologia che ha sviluppato chi ne ha subito la inoculazione forzata a provare una sorta di senso di colpa primigenio nei confronti della propria storia e della propria cultura.
È il “senso di colpa dell’uomo bianco” che nella sua applicazione in Italia ha portato l’italiano medio a sviluppare un senso di autodisprezzo unico che non si registra in maniera così acuta come negli altri Paesi.
Ragione per la quale una guarigione dell’Italia non potrà non passare da una rimozione di tale virus ideologico ma ciò ci porta ad una conclusione naturale.
George Soros e la sua ideologia liberale non potrà mai convivere con quella ultra-sionista del Likud. L’ultima volta che il magnate ebraico è stato in Israele è stata nel 1994 quando si era vicini alla chiusura di un accordo di pace storico tra l’OLP di Arafat e il primo ministro israeliano dell’epoca, Yitzak Rabin.
Rabin apparteneva ad un’altra corrente di pensiero che non condivideva la visione messianica di Israele. Apparteneva al partito laburista che si richiamava più alle idee di David Ben Gurion vicino al mondo progressista ed avversario storico del fondatore del Likud, Menachem Begin.
Quando Soros venne in Israele e partecipò ad una serie di incontri espresse tutto il suo entusiasmo per l’accordo di pace che si stava chiudendo in quel periodo e al tempo stesso scioccò la platea che lo ascoltava all’albergo Dan Accadia presso la città di Herzliya.
Fu in quell’occasione che il finanziere ungherese condannò il nazionalismo, compreso quello di natura ebraica.
Tra i partecipanti del convegno, alcuni reagirono con sdegno e lasciarono la sala. Altri invece espressero apprezzamenti per Soros ma in quel contesto si comprendono ancora una volta perfettamente le linee essenziali che dividono questi due mondi.
Se il sionismo nazionale si propone di dominare attraverso l’espansione dello stato ebraico e l’allargamento di Israele fino a raggiungere i confini dell’antica Israele biblica che arrivavano fino all’odierna Arabia Saudita, l’altra parte del mondo ebraico liberale rappresentata da Soros si propone invece di destrutturare le nazioni per poter affermare il dominio dei centri sovranazionali su di esse.
L’errore che non deve commettere istintivamente l’osservatore esterno, cristiano o meno, è quello di considerare queste due anime come interamente rappresentative di tutto l’ebraismo o peggio ancora riconoscere un potenziale alleato in una di queste due correnti.
Se c’è un’anima del mondo ebraico con il quale si può intraprendere un dialogo e che incarna al meglio lo spirito originario di questa religione, questa potrebbe essere quella degli ebrei di Neturei Karta, che ribadiscono la loro ferma opposizione al sionismo e ad Israele e considerano la ricostituzione dello stato ebraico come un atto di diretta disobbedienza a Dio stesso.
Il sionismo ha difatti separato le comunità ebraiche dai Paesi europei che le ospitano tanto da arrivare ad instaurare nei seguaci della filosofia di Theodor Herzl una sorta di diffidenza verso le nazioni nelle quali hanno vissuto per secoli e secoli.
Questa è la ragione che ha portato moltissimi ebrei agli inizi del secolo scorso ad opporsi alla ricostituzione dello stato di Israele perché avevano già intuito che tale disegno non era di alcun beneficio al popolo ebraico ma era piuttosto la volontà di alcune potenti famiglie di banchieri, quali quella dei Rothschild.
Furono proprio loro a chiedere al governo britannico attraverso la famigerata dichiarazione Balfour del 1917 di trasformare la Palestina nel futuro stato di Israele e furono loro a finanziare sin dal primo istante tale disegno.
Ora però siamo arrivati ad un punto in cui la convivenza tra le differenti sensibilità dell’ebraismo che Israele ha provato a mettere sotto lo stesso tetto dal 1948 sembra sull’orlo di cessare di esistere.
I sionisti radicali vogliono marciare verso la visione messianica del Chabad mentre quelli liberali vogliono uno stato ebraico ma rifiutano i connotati e le implicazioni religiose del chassidismo.
Il conflitto tra l’ebraismo nazionale e quello internazionale non è mai stato così vicino a portare ad una vera e propria guerra civile nel cuore di quello stato che era stato creato per essere la casa, secondo Herzl, “pacifica” di tutti gli ebrei indipendentemente dalla loro confessione religiosa.
Una casa però nella quale i suoi inquilini non sembrano mai essere stati vicini dall’essere in armi gli uni contro gli altri come lo sono ora.