Cosa sono i volti della crisi?
Sono quelle immagini di disperazione economica ed umanitaria che all’improvviso irrompono nella tua routine quotidiana casa-lavoro-casa, te le trovi davanti e non puoi fare niente per scacciarle dalla vista. La presa di coscienza arriva come una secchiata d’acqua gelata stile ice bucket challenge.
I volti della crisi sono quelle cose che ti si piazzano davanti e ti annunciano all’istante l’arrivo del grande treno della Storia.
Sono le signore anziane milanesi vestite bene che con dignità ti chiedono qualche monetina in san Babila perché hai il computer e quel giorno hai le scarpe da riunione con il cliente.
Sono i capannoni abbandonati e le aziende chiuse dove hai comprato le piastrelle 3 anni fa. Oggi te ne serve un pacco uguale, ci vai e trovi il grande negozio abbandonato e chiuso. Con un minuscolo post-it giallo appiccicato dietro alle sbarre della ex porta d’ingresso che dopo un viaggio di km dice “chiuso” o “vendesi”. Rigorosamente in maiuscolo e con lo sberleffo ortografico del puntino sulla i.
Te li trovi così, davanti al naso, e ti rendi conto che la Storia ti sta passando lì, proprio davanti al tuo naso: sono i volti della Grande Crisi post-2008.
Quanto di seguito accade oggi nella una volta ricca Lombardia, la più prospera regione italiana e tra le più produttive d’Europa. Una volta.
Rivoltana, da Milano verso l’adda. A corto di benzina e in assenza di un gpl aperto (perché i francesi hanno il gpl al self e noi no?) chi scrive fa una sosta rifornimento.
Il distributore é nuovo. Noto marchio dell’industria petrolifera globale.
La pompa di benzina ha un’auto parcheggiata davanti, portiera aperta. Rotolano cespugli, silenzio da duello western. Temperatura tipo Calcutta ai primi di giugno.
Faccio retro per cambiare pompa e arriva la benzinaia. All’apparenza una dominicana sui 35 bassetta, larghetta e riccioletta. Urla “benzina? Benzina? Qui! Qui!” e indica di andare avanti verso l’auto parcheggiata.
“Quanta ne vuoi? ” tradisce la probabile esperienza professionale della signora, che rivolge la domanda come se offrisse marijuana al parco sempione.
La provenienza geografica invece salta completamente. Nessun accento conosciuto nel suo italiano incerto. Di sicuro non ispanico né latino. Forse Filippine? Malesia? Torre annunziata? In quale lingua potrei comunicare?
Con modi gentili e professionali mi offre la tessera fedeltà della catena, con la quale avrò millemila premi, superpremio finale, ed uno sconto di due centesimi al raggiungimento dei 500 euro spesi in benzina entro le prossime 12 ore.
Accetto ricambiando il sorriso e confido che possa essere un piccolo aiuto. Chiede di lasciare l’auto (che era aperta, con due smartphone a bordo, finestrini abbassati ma soprattutto con la benzina aperta in corso di erogazione), cosa che faccio e la seguo nel gabbiotto.
Il volto della crisi?
Pareti scrostate. Crepe. Uno scaffale di legno montato male, grezzo, con sopra 3 flaconi di olio motore e 5 flaconi di antigelo con etichetta stile anni 90 sbiadita dagli agenti atmosferici.
Un computer con schermo piatto quasi quadrato, di quelli che andavano 10 anni fa. PC altrettanto agée, diciamo. Antennina collegata per vedere il digitale terrestre nel computer. Bimbo sorridente con ipad di terza mano. Bambina seduta sulla sedia di plastica da esterno.
4 pos, le macchinette per pagare con il bancomat, tutti collegati ed operativi, benché consunti.
Aria condizionata.
Simbolo religioso appeso alla parete in modo precario, della serie “incidente sul lavoro in 3,2,1…”
Per avere la carta fedeltà mi chiede la tessera sanitaria, la striscia, mi manda un sms sullo smartphone che nel frattempo era rimasto non presidiato nell’auto, salvo ripetute occhiate a controllare che non ci fosse nessuno a rovistare dal finestrino.
Poi tutto a posto, confermo sms, carta fedeltà, pago cash e vado, ringraziando l’allegra benzinaia che evidentemente aveva acquistato la proprietà o la gestione, probabilmente abbandonata da qualche benzinaio oberato dai debiti causati dalla visita dalle squadracce della polizia fiscale italica.
L’avresti scambiato per uno di quei negozietti dei film delle società post-nucleari, stile mad max, che vendono benzina, cibo e tecnologia vecchia ma ancora affidabile, a volte mezza clandestina, con i secchi in terra per raccogliere la pioggia dal tetto bucato.
Ecco, un distributore di benzina così mal messo non l’ho mai visto nemmeno in Egitto, nel mezzo del Sinai, o in Grecia.
Forse poteva essere Gaza al terzo mese di guerra.
Era in pianura padana, a 20km da Milano, 25 minuti da Linate, un’ora d’auto dall’Expo, 2 ore in aereo da Atene, ormai troppo lontana da Berlino.
Eppure, ripartendo per la mia destinazione in ormai inevitabile ritardo, la benzinaia originaria del nonsisadovestan salutava con bel sorriso.
Sorriso che ho ricambiato, rivolgendo un pensiero gentile di augurio a lei ed alla sua avventura.
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