Matteo D’Amico
Il 25 novembre è una delle tante date trasformate in ricorrenze para-liturgiche del nuovo culto religioso dei diritti umani.
Come quasi tutte le innumerevoli altre giornate dedicate ai temi più svariati nel tema di quella di oggi risuona un accento utopistico: si parla di “eliminare” la violenza contro le donne.
Tanto varrebbe dire che occorre eliminare il peccato in generale, la malattia o la pioggia in autunno. Da un punto di vista cristiano queste orrende ricorrenze evocano un mondo anticristico, ricolmo di buoni sentimenti e ipocrisia, di progetti irrealizzabili che nascondono fini opposti a quelli dichiarati.
Innanzitutto non si dice nulla sulla natura del male che si vuole debellare, né si spiega su che fondamento metafisico si reggerebbe l’affermazione di questo come di ogni altro diritto umano.
Si parla di un dramma, ma non si evocano le cause di esso.
Per esempio non si nomina la pornografia, dilagante inarrestabilmente in fasce d’età sempre più giovani e che è anticamera di ogni possibile violenza sulle donne.
Non si dice nulla del dramma del divorzio, che ha frantumato la famiglia e che spesso è la causa di innumerevoli violenze fra gli ex-coniugi.
Non si dice nulla contro l’aborto, non comprendendo che dove una madre distrugge la vita che porta in seno, vita innocente e indifesa, nessuna altra violenza può essere esclusa. Non si riconosce, soprattutto, che, per quanto la violenza sulle donne sia deprecabile, molto più grave è la distruzione della vita innocente causata dall’aborto.
Non si dice nulla sull’indecenza del modo di vestire femminile odierno, dove spesso trionfano scostumatezza e volgarità, ferendo il pudore e la castità, esponendo le nudità femminili senza ritegno. Ci si dimentica così che una tradizione antichissima e immemorabile, comune a tutte le civiltà, vuole che il corpo femminile sia velato, nascosto, non esibito nel modo più sensuale, proprio per evitare di sollecitare il desiderio maschile.
Non si ha la volontà di riconoscere che solo la fede cristiana ha saputo, con secoli di instancabile apostolato, infondere il più profondo rispetto per la donna. Anzi, ipocritamente, i poteri che vogliono morto e distrutto il cristianesimo, pretendono però di avere il rispetto della donna nel cuore dell’uomo, rispetto che solo una fede viva e una carità ardente possono far sorgere veramente.
Invece gli stessi che combattono Cristo, che sradicano fin anche l’idea di Dio dal cuore dei giovani, esigono al tempo stesso un mondo dove regna la più alta morale.
Si spaccia il patriarcato come causa della violenza sulle donne, mentre è la crisi e la scomparsa del patriarcato rettamente inteso che scatena le passioni e distrugge il rispetto della donna.
M.M.:
La ricorrenza del 25 novembre ha indicato come nemico il “Patriarcato” additato a simbolo di ogni male.
Ma il Patriarcato, che certamente non corrisponde a più nulla di reale, e che per gli storici seri forse da noi non è mai esistito quale organizzazione familiare e sociale, è chiaramente un’astrazione simbolica.
Non esiste per come viene definito (la sottomissione della femmina al maschio-padrone) ma solo come simbolo della Trascendenza (“Padre”, così Cristo chiama Colui che sta nei cieli) e di qualsiasi forma di Auctoritas, religiosa e profana, che nella civiltà cristiana dal Padre celeste deriva.
Il Patriarcato simboleggia chiaramente la civiltà tradizionale e cristiana.
Ben lungi da corrispondere più, nella nostra società atomizzata e massificata, al benché minino potere o istituzione reale, il Padre, simbolo della Trascendenza e di ogni autorità superiore al singolo, è ciò che il nichilismo liberal (woke, gender, queer, eccetera) odia maggiormente.