Cinque milioni di poveri in più. Gioventù disoccupata in proporzioni mai viste, e senza alcuna prospettiva di trovar lavoro. Precarizzazione. Pensionati in miseria. Imprenditori che si tolgono la vita. Perdite di lavoro e salari in età matura. Erosione dei risparmi, degrado sociale e dell’istruzione, immigrazione di massa di esseri da culture radicalmente estranee. Disuguaglianze e iniquità fra ricchi e poveri senza precedenti. E questo, da anni.
Per di più, le soluzioni a questa tragedia sono note e confermate storicamente, ma la UE – con la sua dottrina economica bancaria radicalmente errata – ci vieta di applicarle. Ché poi, la celebrata UE, le regole severe che ci impediscono di crescere le impone a noi con rigore estremo, meno ad altri:
“In quasi 20 anni di euro il PIL italiano è cresciuto del 3% e quello della Francia del 20%. Sapete quanto è il maggior deficit fatto dalla Francia rispetto all’ITALIA? Il 18% del PIL”, nota Claudio Borghi. L’Europa è una prigione dei popoli dove vige l’ingiustizia del più forte, lo stato di diritto non esiste più.
E allora: come mai la maggioranza degli italiani vuol restare nell’euro e nella UE? Come mai non è ancora avvenuta una rivoluzione, o almeno una insurrezione? Come mai da noi non ci sono Gilet Gialli che scendono in piazza a chiedere cambiamenti radicali, a bruciare le bandiere azzurre con le stelle?
Dove sono “le masse”? Se uno si domanda dove sono le masse, trova che esse esistono. E sono capacissime di radunarsi a decine di migliaia, di affrontarsi e picchiarsi fino ad uccidersi nella lotta. Capaci di morire: purché in discoteca, negli stadi, nelle feste rave o trap, per andare in 250 mila a vedere un cantante, accalcarsi nella notte per Sfera Ebbasta, o calpestarsi in trentamila in una piazza per assistere ad una partita sui megaschermi.
Insomma le masse sono pronte e disposte a “fare massa”, ad unirsi spontaneamente e pagando di persona – purché lo scopo sia insignificante. Purché consista nella prospettiva di un “divertimento”, dello “svago”, dello spettacolo. Aggiungiamo il 10 per cento di italiani che si danno all’uso (moderato o pesante) di droghe, e agli infiniti adepti della pornografia web. Ed ecco “le masse”.
Cosa è successo loro? Lo ha spiegato nel suo saggio “L’ossessione del benessere” (Laffont 2019) o Benoit Heilbrunn, che è insieme filosofo e professore di marketing (sic) allo ESCP Europe.
Tutto comincia con la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti che, il 4 luglio 1776, proclama il “diritto” di ogni uomo alla “felicità”. Una nozione del tutto ignota al diritto romano , che avrebbe fatto ridere Giulio Cesare (“Navigare necesse est, vivere non necesse”) come Bartolomeu Dias e le ciurme di naviganti portoghesi e ispanici che in condizioni terribili di fatica, malnutrizione e sacrificio conquistarono il mondo; ignota anche all’ammiraglio Nelson che senza un occhio e senza un braccio, invece di chiedere la pensione d’invalidità, andò a vincere e morire nella battaglia di Trafalgar.
“La felicità è un’idea nuova in Europa”, riconobbe infatti Saint-Just (il giovane angelo della ghigliottina a fianco di Robespierre) quando introdusse quel “diritto” nel codice rivoluzionario, chiedendo alla Convenzione di votarlo: “Che l’Europa sappia che non volete più un infelice, né un oppressore sul territorio francese; che questo esempio propaghi l’amore delle virtù e della felicità! La felicità è un’idea nuova in Europa!”. Saint-Just pronunciò questa nobile esortazione il 3 marzo 1794, poche settimane dopo aver fatto approvare la “legge dei sospetti”, che consegnò alla ghigliottina centinaia di persone senza bisogno di provarne la colpa, sancendo l’indissolubile unione fra Felicità e Terrore delle successive rivoluzioni rosse.
Il fatto è, dice Heilbrunn, che per quegli uomini del XVIII secolo “esisteva un legame intimo ed evidente fra libertà e felicità”. Il guaio è che la promessa di creare una società di uomini liberi e perciò felici, non si è realizzata. Il “contratto sociale” fondato sulla democrazia, restava deludente e mancante.
“E’ uno dei fallimenti evidenti dell’Illuminismo”, dice. “Ma cosa promettere agli individui se la felicità non è più un orizzonte plausibile? Il capitalismo ha trovato una risposta: agli individui nel complesso di essere felici, ha proposto un surrogato: il benessere.
Il marketing ha strutturato la società dei consumi in modo che ciò che la legittima come “regno della libertà” (e democrazia) è il perseguimento (e l’ottenimento) del benessere. “E’ per questo che i liberisti, assimilando la società al mercato, fanno della libera scelta fra le merci la stessa cosa che la democrazia”.
Il punto è che mentre la ricerca della felicità voleva essere un “progetto politico legittimatore”, il perseguimento del benessere sentimentale e psico-fisico, anestetizza. Lo vide già Alexis De Tocqueville nel suo “La democrazia in America”, in cui viaggiò nel 1830. Lui, che veniva da un’Europa dove anche la nobiltà viveva scomoda (i mobili imbottiti furono introdotti, per esempio, solo nel Biedermeier, 1850), vide nel “dio confort” uno dei rischi per la democrazia americana – insieme al fatto che è un carattere indelebile delle democrazie. E’ la passione dell’uguaglianza, avverte Tocqueville, che mette nel cuore di ciascuno l’amore per il confort. Ma se e quando il perseguimento del benessere diviene l’orizzonte ultimo del vivere insieme, la vita si accentra sugli interessi egoistici, e spegne la disposizione “alla rivolta e alla lotta”. Anestetizza. La volontà di vivere “bene” senza essere disturbati porterà l’individuo ad abdicare alla libertà politica, previde il grande Alexis.
Robinson Crusoe di Daniel De Foe è, per Heilbrunn, il libro di fondazione del “nuovo rapporto dell’europeo con la materia considerata sotto il segno della necessità: e un catalogo di quali sono i beni assolutamente necessari a Robinson perché possa vivere in maniera confortevole: un fucile, polvere, utensili in metallo, vestiti, tabacco, alcol…”.
Il peggio è stato, rincara Heilbrunn, nel 1948, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella sua carta fondatrice, ha esteso il diritto al benessere alla buona salute fisica e psicologica, ponendolo come orizzonte di ogni politica pubblica. Da qui la medicalizzazione, da qui anche gli “interventi umanitari” al grido americano di “I care” (io mi prendo cura”). Di qui in fondo la religiosità New Age, con il culto di Gea, l’ecologismo, l’animalismo e il veganismo, con la medicalizzazione-materializzazione delle dottrine orientali. Lo Yoga, ricorda Heilbrunn, in India è uno dei “darshan”, una dottrina e pratica ascetica di liberazione spirituale; qui è diventata una ginnastica per il benessere, preventivamente svuotata della sua dimensione spirituale, che si pratica in palestra insieme al body building e all’aerobica. “Respirazione e meditazione sono prese come tecniche di distensione e decelerazione in una società ansiogena dove tutto si accelera”.
“Il trucco della società dei consumi è quello di porre come fine dell’esistenza le cose che dovrebbero essere i mezzi. La funzionalità, la rapidità, la sicurezza, la buona forma fisica sono mezzi, mentre l’amore, l’amicizia, la libertà politica sono fini; dagli anni ‘60 il confort è diventato definitivamente un fine in sé, ed è esattamente per questo che la società dei consumi ha potuto trasformare il benessere in mercanzia, facendo passare per felicità quello che è soltanto piacere”.
L’esito finale di un totalitarismo del benessere è “un mondo senza l’altro, in cui conta solo l’esperienza sensoriale e solipsista. Il benessere come fine ultimo e totalitario comporta l’apologia di un mondo senza confini nel quale tutto è indifferenziato perché, alla fine, tutto si equivale.
“E’ un mondo dove si esalta l’individualismo mentre si sfalda l’individuo in ciò che lo definisce: l’autonomia di giudizio, il pensiero critico, la resistenza all’oppressione – qui si fa passare per individualismo ciò che è puro e semplice egoismo …. Il benessere come orizzonte ultimo gioca il riposo del corpo e dell’anima contro l’esplorazione, la vita grande e il futuro… alla fine, il benessere come orizzonte insuperabile sacrifica persino l’impulso vitale alla conservazione di sé”.
Se vi chiedete come mai in Italia le masse non si ribellano, e vi chiedete dove sono in Italia “le masse”, ecco la risposta.
Post Scriptum
E’ per questo che i russi che hanno vissuto sotto Stalin, perduto parenti nel Gulag e figli o genitori nella guerra patriottica, che sono stati feriti nell’avanzata o internati, che hanno avuto “vite spianate sotto un rullo compressore”, ed hanno applaudito la libertà, oggi vivono questa libertà come “un tempo di seconda mano”: “Invece della Patria un grande supermercato”. Lo scrive Svetlana Aleksievic nel suo grande libro corale, appunto intitolato “Tempo di seconda mano”. E parla anche di sé: “Credevamo che le parole potessero scuotere il mondo …Eccola, la libertà! Eravamo pronti a dare la vita per i nostri ideali, a lottare strenuamente. E invece era cominciata un’esistenza cechoviana. Senza storia ….i nuovi sogni: costruirsi la casa, comprarsi una buona automobile, …. Nessuno parla più di idee, ma di crediti, tratte e assegni, non si lavora più per vivere ma per “fare soldi” …Ho domandato:”Cos’è la libertà?” Padri e figli hanno risposto in modo diverso. Quelli che sono nati in URSS e quelli che sono nati dopo l’URSS provengono da pianeti diversi.