Industria italiana: “a marzo si schiantano fatturato e ordinativi” (da Rischio Calcolato) . Il calo del fatturato è stato del -1,6% in un mese, quello degli ordinativi – più importante, perché rivela che le industrie avranno meno da fare nel prossimo futuro – di -3,3 per cento. Tragico il crollo degli ordinativi esteri: – 5,8%.
Un crollo. Più precisamente, un nuovo collasso della crisi mai curata, che è iniziata otto anni fa. Siamo da otto anni incagliati in depressione economica, e non la raddrizzano. Complimenti.
Politici, economisti e il “circo mediatico” che ha il compito di tenervi allegri e distrarvi, sorvolano sul fatto che questa Depressione è più grande e spaventosa della Grande Depressione del 1929-39.
Questa tabella mostra che negli annni ’30, dopo il quarto anno di crisi, l’Europa conobbe un aumento del PIL (GDP), un notevole miglioramento. Nella crisi odierna, nessun aumento dl Pil.
Lo steso vale per il Regno Unito:
Incredibile ma vero: negli anni ’30 il miglioramento dell’economia reale prodotto dal New Deal fu sensazionale, in confronto all’encefalogramma piatto dei nostri anni. E attenzione: mica era un miracolo economico, quello degli anni ’30. La gente stava male. Nel ’33, in USA era disoccupato il 24,9 % della forza lavoro totale, 11 milioni e 385 mila disoccupati. Nel ’37 l’economia ebbe una ricaduta e fu considerato il fallimento del New Deal.
Ora, se quello fu un insuccesso, che cosa è quello che hanno ottenuto Padoan, Draghi, Merkel, Schauble, Hollande e tutti i governi europei? Una bancarotta sociale, morale e intellettuale.
Ripercorriamo in breve i segni della depressione:
La caduta della produzione industriale, con la perdita del 24% delle industrie. Il crollo dell’immobiliare. Il collasso del commercio mondiale. Il prosciugamento del credito. Banche in dissesto, sull’orlo del crack. La deflazione e la riduzione della massa monetaria. Lo scandaloso crescere delle ineguaglianza fra ricchi e poveri (troppa iniquità è distruttiva per le economie), con la scoperta che esistono in Italia un milione di bambini in povertà assoluta (1 su 5) e che la mortalità della popolazione è aumentata come nella seconda guerra mondiale.
E tutto ciò è aggravato, non migliorato come ci avevano fatto credere, dalla interconnessione delle economie e dei sistemi finanziari: questa stessa interconnessione aumenta l’instabilità.
Nessuno di questi indici è migliorato, nonostante le misure, le “riforme” e le iniezioni di liquidità che lorsignori hanno tratto dalla loro cassetta degli attrezzi.
E’ il fallimento delle ricette e “soluzioni” proposte nell’ambito concettuale del capitalismo terminale e del libero mercato mondiale: come mai ascoltiamo questo Padoan, che ci è stato messo lì dai poteri esteri per governare la nostra economia nell’interesse dei creditori, che è un fallito? A Renzi, che i suoi bonus da 80 euro non sono nulla, non una politica industriale, non un New Deal di nessun tipo? Non sono nemmeno assistenzialismo? A Draghi, il cui quantitative easing (stampaggio di liquidità per le banche) non sta producendo alcuna ripresa, perché non diamo un calcione nel didietro, ma anzi lo veneriamo come un maestro e un salvatore, un competente?
La “soluzione” trovata dalla UE sotto guida tedesca per la Grecia non è una soluzione, è una furbata odiosa contro un paese alla fame: i paesi della zona euro trasferiscono 0,3 miliardi di euro alla Grecia? Guardate meglio: trasferiscono questi miliardi ai creditori della Grecia, più precisamente perché Atene possa ‘servire’ il suo debito con la BCE. Per i greci di questi 10 miliardi non arriva niente, come al solito. Mi correggo: a loro rimane più debito sul collo, che dovranno pagare per più tempo. Un debito che non può pagare avendo un’economia ormai morta e tutti lo sanno: ma la Merkel e Schauble non hanno sentito ragioni, pensano alle loro elezioni, alle loro banche. “Chapeau alla Germania! Ha fregato i contribuenti UE che verseranno altri soldini al fondo ESM per salvare le sue banche e quelle francesi”: così sunteggia il sito IcebergFinanza, e non si può dir meglio.
Bamboccioni anche in America
Negli anni ’30, i governanti ci hanno provato, ad alleviare la povertà e mettere in riga la speculazione. Oggi, lorsignori hanno saputo solo dare dai “bamboccioni” ai giovani italiani che restavano a lungo in casa dei genitori. Adesso, ad otto anni dall’inizio della depressione, gli Usa scoprono di avere anche loro i bamboccioni: il 34% vive coi genitori per mancanza di reddito autonomo: è la percentuale del 1940. Anche lì la famiglia fa da ammortizzatore sociale; o quel che ne resta, vista l’aggressione che subisce in Occidente il concetto stesso di famiglia.
Del resto in tutta l’Unione Europea il 48,1 per cento dei 18-34enni vivono in casa di papà e mamma: quasi la metà. Il trend è uguale in tutto il mondo anglo: in Canada i bamboccioni oggi sono il 42,3%, mentre erano il 32,1% el 1991 e i 26,9% nel 1981. In Australia, il 29% (nel ’76 erano il 21)
E anche in Giappone, cosa credete? Oggi sono quasi il 49% i giovani fino a 34 anni che vivono coi genitori, contro il 29.5% del 1980. Effetto particolarmente impressionante, se si pensa che questo avviene dopo 25 anni di stimoli monetari del governo per tener su l’economia.
Credete che in Cina funzioni meglio? Guardate qui:
Cina: ad ogni “easing” monetario-creditizio del governo, sempre peggio.
Dovunque, i nuovi lavoratori guadagnano sempre meno..
La velocità di circolazione della moneta è un indicatore essenziale per giudicare la forza di un’economia: tale velocità decresce quando avvengono meno transazioni, dunque l’economia, il Pil, si riduce; “mancano i soldi”. Negli anni Trenta, la velocità monetaria in Usa era pur sempre più rapida di quella di oggi.
L’americano medio stava economicamente meglio dopo la Grande Depressione, di quanto stesse al momento della crisi del 2008; non solo le paghe erano del 6% più alte negli anni ’70 che oggi, ma oggi quasi non si trovano altro che lavori a tempo parziale, allora sconosciuti. Il numero di sequestri di case per impossibilità di pagare il mutuo sono oggi comparabili a quelli.
Una micro-ripresina più illusionista che reale, esaltata dai media, sta finendo e con essa gli impieghi: Microsoft sbatte fuori 1850 dipendenti, Shell, annuncia 2200 licenziamenti; Intel ne chiude 350 dove? In Germania.
L’austerità imposta dai creditori; la svalutazione interna (delle paghe) per pagare il debito estero o pubblico, ottengono l’effetto contrario: aumentano il debito in rapporto al Pil (che cala), deindustrializzano, degradano la qualità della forza-lavoro. Quante volte lo si è ripetuto? Ma lorsignori hanno sempre la stessa ricetta: austerità e tagli di paghe (mai delle loro).
In Francia comincia la rivolta
In Francia almeno, da settimane la popolazione si rivolta in piazza e negli scioperi. Con l’occasione, sono in vista alcuni dati sulla disoccupazione là: 6,5 milioni i disoccupati o lavoratori occasionali; ma vi si devono aggiungere 4 milioni e passa di “Invisibili”, che non entrano nemmeno più nelle statistiche dei cerca-lavoro. Quindi sono 10,46 milioni. Ovvia, dopo 8 anni di depressione economica pan-europea non curata. E questi dati ancora non dicono tutto: bisogna valutare il peggioramento in atto, repentino. Esempio: i disoccupati di lunghissima durata (più di tre anni a spasso, dunque di fatto inoccupabili per aver perso ogni qualifica) sono cresciuti + 1,3 per cento nel solo ultimo anno; i disoccupati oltre i 50 anni, in un solo anno, sono aumentati del +6,4%. E attualmente in Francia, un disoccupato su due iscritto all’agenzia di collocamento (che là funziona, non come in Italia) non riceve alcuna indennità delle varie assistenze sociali: per la precisione il 49,6% non ha alcun reddito di compensazione.
La rivolta francese è arrivata al lancio di molotov e all’incendio di auto della polizia; il governo duro sfida il popolo; perché, dice Sapir, “questo governo non è che il basamento di potere di una potenza straniera e che, per non spiacere ai suoi veri padroni, è pronto a precipitare il paese nella guerra civile…I nostri avversari quelli di Bruxelles e Francoforte, che cercano di imporre alla Francia quel che hanno già imposto in Grecia, Spagna e Italia, loro, sono coerenti”.
La differenza con l’altra Depressione
Che differenza dagli anni ’30: non solo nei regimi fascisti europei e Giappone, ma nella stessa capitalistica America i governanti cercarono veramente di alleviare le miserie dei lasciati a terra. Henry Agard Wallace, che fu il ministro dell’Agricoltura direttamente al timone del New Deal, nel 1933, applicò la diagnosi del capitalismo (è sovrapproduzione) e dunque le ricette: ridurre la produzione. Premiare i coltivatori perché lasciassero incolti i campi (in Italia si faceva la battaglia del grano), distruggere il grano in eccesso negli ammassi per sostenerne i prezzi. I maiali negli allevamenti furono sfoltiti (“cinque o sei milioni di porcellini” uccisi) e il governo ordinò di macellare maiali a 100 libbre di peso anziché a 200. “Per il cotone, scrive Wallace, decidemmo l’ eliminazione delle colture su circa dieci milioni di acri coltivati, un quarto del totale. I piantatori avrebbero ricevuto premi sufficienti purché arassero i terreni già seminati (distruggendo i raccolti). Il denaro necessario per finanziare i sussidi doveva trarsi dalle imposte della vendita sul cotone.
L’assurdità del rimedio suggerito dai capitalisti (in questo caso i grandi produttori), di ricevere sussidi dal governo per troncare la produzione – e sussidi ricavati tassando i contribuenti – ha molta analogia con quel che accade oggi, con le banche sostenute da moneta gratis dalla BCE e “salvataggi della Grecia” (in realtà dei banchieri) pagati di contribuenti europei. Ma ciò colpì Wallace come un assurdo morale: “Quanto maggiori sono gli ammassi di frumento superfluo nel Kansas, tanto più lunghe sono le file di disoccupati che a New York attendono il turno per ricevere una scodella di zuppa. Cosa pazza ma perfettamente ortodossa in una società che gioca il gioco secondo le regole della scarsità”.
Con quelle misure, ossia coi tagli di produzione sussidiati dallo Stato, i cotonieri ebbero “la soddisfazione di vedere i prezzi duplicati” sul mercato, guadagnando quindi due volte: con la percezione dei sussidi pubblici, e con i prezzi artificialmente rincarati sul “Mercato” (cosiddetto). La stessa soddisfazione ebbero i produttori di granaglie, i burrai, i grandi allevatori; il consumatore invece subiva gli aumenti dei prezzi. Anche qui, spero si sia capaci di vedere un “analogon” dell’attuale ricetta di austerità e tagli salariali per renderli più competitivi: in nome del mercato e del dogma capitalistico liberale.
Brav’uomo, il ministro Wallace cominciò a intuire che c’era qualcosa di radicalmente sbagliato nel dogma. Glielo disse una cosa che il liberismo economico non prevede: la coscienza. “Il paradosso del bisogno in mezzo all’abbondanza fu costantemente nelle nostre menti a misura che noi procedevamo nell’attuare la macellazione dei maiali”.
Ma quale “mercato”, scusate? In quella immensa crisi, il “mercato” (dei grani, del cotone, dei maiali) era stato abolito. C’erano produttori che ricevevano sussidi di stato (per ridurre la produzione), e prezzi raddoppiati artificialmente; dovunque lo Stato andava in soccorso alla produzione privata. E lo Stato aveva, nel frattempo, sequestrato l’oro in mano ai privati, chiuso banche fallite e poi riaperte prendendo controllo del credito, chiuso la Borsa e poi l’aveva messa sotto il suo controllo, aveva emanato la legge che stroncava la speculazione d’azzardo, Glass-Steagall Act – il capitalismo non c’era più, e – si badi – erano stati gli stessi capitalisti a chiedere l’intervento dello Stato.
L’atto seguente – arditissimo – fu di estendere il fatto oggettivo, la sparizione del mercato, anche a favore dei consumatori. E fu creata la Federal Surplus Relief Corporation, un ente pubblico “capace infine di portare il superfluo agli affamati”. Invece di distruggere l’eccesso l’eccesso produttivo, lo redistribuiva. L’ardimento della cosa fu addirittura inebriante per Wallace: “Poche persone si rendevano conto di quanto radicale fosse l’idea di un governo che comprava chi aveva troppo per dare a chi aveva troppo poco. Un metodo così diretto di risolvere il paradosso del bisogno in mezzo all’abbondanza non aveva senza dubbio mai superato, prima del 1933, lo stadio della discussione”. La sua vertigine era giustificata: di colpo, aveva scoperto il socialismo nazionale. E visto che poteva funzionare. Naturalmente i poteri forti non consentirono che l’esperimento durasse più a lungo; la loro soluzione fu la guerra mondiale, grande consumatrice di surplus e essenziale alla conquista di nuovi mercati nel globo per la permanente sovrapproduzione americana.
Ma questa è un’altra storia.
Se di Wallace abbiamo parlato qui, è solo per mostrare (mutando ciò che è da mutare) che la nostra depressione ha qualche analogia con quella. Allora si trattò di grani, maiali, burro, cotone; oggi di liquidità iniettata senza esito in enormi quantità, di debiti insostenibili perché cumulati da interessi composti, di una cura ostinatamente praticata come “austerità” che corrisponde alle riduzioni di produzione di allora; la redistribuzione alimentare del surplus può essere vista come un analogon della “helicopter money”, di denaro messo direttamente nelle tasche, poniamo, dei pensionati. Se otto anni dopo la crisi si aggrava e nessuno dei Draghi, Merkel, Schauble o Hollande pensa minimamente di affrontare, è perché manca l’ingrediente che Wallace aveva: la coscienza.
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NOTA – Su H. A. Wallace mi sono servito di Bruno Rizzi, “La Burocratizzazione del mondo”, Edizioni Colibrì, a cura di Paolo Sensini. Bruno Rizzi (1901-1977) fu un originalissimo pensatore marxista, insieme coltissimo e uomo pratico, viaggiatore di commercio, corrispondente di Trotzski e di comunisti americani, alla fine constato, con straordinaria onestà intellettuale che il socialismo funzionante non era quello sovietico: “Che direbbe il vecchio Engels constatando che il vero progresso economico non è stato realizzato dalla dittatura del proletariato ma da paesi anti-marxisti come i regimi fascista e hitleriano?”, scriveva nel 1939.