di Roberto PECCHIOLI
Fermate l’Italia, voglio scendere. Uno dei problemi, invecchiando, è non riuscire più a comprendere ciò che vediamo. Sfuggono dalle mani i codici per decifrare la realtà nuova, ci si sente estranei, inadeguati e si finisce per rinchiudersi in se stessi. Se la vedano “loro”, noi rimaniamo spettatori di fatti che accadono nostro malgrado e di cui non sappiamo individuare senso o direzione. Come assistere a un film bengalese in lingua originale. Per questo siamo in tanti a voler scendere.
L’Italietta è diventata Italiaccia. Per un paio di giorni abbiamo avuto tre governi. Quello in carica “per il disbrigo degli affari correnti”, come recita la formula ampollosa e sottilmente umoristica del protocollo ufficiale, quello “del presidente” di Carlo Cottarelli, funzionario del Fondo Monetario Internazionale, nonché quello sgradito a tutte le oligarchie, capitanato dal professor Conte con la partecipazione del bieco bolscevico, fascista e anti europeo Paolo Savona. La formazione gesuitica del capo dello Stato ha permesso di riesumare una categoria teologica caduta nell’oblio, quella dei peccati commessi con pensieri, parole, opere e omissioni. Il processo alle intenzioni del diabolico ottuagenario Savona, pronto ad uscire dall’euro in 48 ore nette (?!) ha tuttavia consentito agli italiani di vederci più chiaro.
Il buon Mattarella si è presentato al popolo per rivendicare lo stop a Savona nel nome dei Mercati, rivelando – santa ingenuità – di chi è garante e presidente. Il commissario europeo con passaporto tedesco, Herr Oettinger, colto anch’egli da un attacco di sincerità, ha ringhiato che ci penseranno i Mercati (sempre con la maiuscola!) a insegnare agli italianuzzi, piccoli, neri, sporchi e fetenti a votare come si deve. Persino Juncker, forse tradito dalla birra belga, ha rivelato apertis verbis quanto gli stiano sulle scatole gli abitatori dello Stivale, fannulloni, mantenuti, corrotti (verissimo, ma in affollata compagnia) e tante altre cose.
Detto da un gerarca lussemburghese, staterello assai incline ai peggiori affaracci finanziari, sopra e sotto il tavolo, l’unica risposta è quella di Tonio al cugino Renzo Tramaglino. Il promesso sposo, riparato a Bergamo, si lagnava dell’appellativo di baggiani dato dai locali ai milanesi come lui. L’esperto Tonio replicò che, in bocca ai bergamaschi, era come dare dell’eccellentissimo a un monsignore. Archiviati gli insulti e le gonne strappate delle italiche vestali giornalistiche, resta l’amarezza per una nazione frantumata, uno Stato in mano a personalità quanto meno inadeguate, classi dirigenti perfino peggiori di quanto immaginassimo. Dunque, fermate l’Italia e fateci scendere. Vogliamo guardarla dal basso, dal buco della serratura quest’ Italia irriconoscibile che ci rende nostalgici di ogni passato.
In poche settimane abbiamo visto cose che voi italiani di ieri neanche avreste immaginato. Le abbiamo osservate da spettatori perplessi che poco sanno e molto immaginano. Ciò che tocchiamo con mano è una decadenza tanto profonda e accelerata, nella presente fase terminale, che somiglia davvero agli spasmi dell’agonia. Abbiamo ascoltato fieri “servitori delle istituzioni” invocare l’intervento della polizia postale per denunciare e condannare chi ha attaccato la presidenza della repubblica via computer. Insulti, minacce, volgarità non ci appartengono, vanno respinte senza esitare. Ma questa è la reazione del potere al sentimento popolare: polizia, intimidazione, repressione. Alla napoletana, sembra il motto “facite ’a faccia feroce”, ma soprattutto tenete presente che voi, i democratici della più bell’acqua, avete il dovere di accettare il dissenso. Non è questo il blasone, il quid pluris della democrazia rispetto agli altri regimi? Altrimenti, sarà vera quella strofa di una canzone di battaglia di tanti anni fa: “Democrazia, democrazia, è cosa vostra e non è mia. Democrazia in quantoché comandate voi.”
Vogliamo scendere, perché la vostra Italia è davvero quella che ha dato il peggio di sé nelle ultime incredibili settimane. Questo è il “paese” dove un gelataio è multato di 516 euro (un milione del vecchio conio, il reddito mensile di non pochi pensionati e altrettanti giovani “flessibili”) per non aver battuto lo scontrino per l’aggiunta gratuita della panna in un cono gelato. Spiace continuare, ma è anche il luogo dove chi scrive, reduce da un pauroso incidente in una galleria autostradale, è stato oggetto di contravvenzione perché le cinture posteriori non erano bene allacciate, circostanza non accertata dai solerti verbalizzanti, ma spontaneamente riferita. Un conoscente disabile in fase terminale sborserà 250 euro per non aver esposto l’apposito contrassegno nel parcheggio, che teneva nel portafogli e ha esibito ad un altro zelante salvatore della patria. Dura lex, sed lex, quando è comodo, facile e non comporta rischi. Sanzione confermata, gli ausiliari del traffico sono poveri cristi che guadagnano se portano denaro alle casse comunali. La chiamano competitività, è un must del sistema vigente, il quale prospera mettendo l’uno contro l’altro i sudditi.
Un’ Italia ufficiale arrogante con i deboli, viscida e servile con i potenti, anzi flessibile, nel senso che si piega volentieri. Milioni dei suoi figli li ha costretti al lavoro in affitto, a quello intermittente, a chiamata (on demand, come la scheda delle televisioni!), a tempo parziale, determinato, ripartito e occasionale. Siete sicuri, soloni del sistema, che il popolaccio, quello che un vostro chierico culturale, Ilvo Diamanti, bolla come “popolocrazia”, avrebbe gradito un governo “neutro” diretto dall’ alto funzionario dei poteri forti Carlo Cottarelli, di cui una deputata di Forza Italia (la classe dirigente di Berlusconi…) ha detto: si è comportato come un principe?
Nei giorni frenetici della crisi di governo passa sotto silenzio l’arresto per corruzione di un vice prefetto. Speriamo davvero in un errore giudiziario, ma che dire della casta di privilegiati cui appartiene? Riaffiora la vecchia Italia prefettizia di Giovanni Giolitti, ministro di malavita. Alla stazione di Milano Certosa hanno deciso di svolgere una seria operazione di controllo dei titoli di viaggio. Tombola: 87 su 87 controllati senza biglietto e non interessa conoscere la nazionalità, perché farabutti e approfittatori tricolori ne abbiamo anche per l’esportazione. Invece esportiamo cervelli, giovani volonterosi che vanno a costruirsi la vita lontani da Mattarella, pensionati decisi a non fare i donatori di sangue all’Italia ingrata (reddito, tasse, diritti, sanità eccetera) anche nell’autunno della vita.
Chi ci ha (s)governato sino a oggi prosegue nel delirio. Dopo averci tediato per mesi con le trame nere del XXI secolo, inventato di sana pianta il pericolo fascista, uno di loro, l’inesausto ministro Delrio, non si dà pace e taccia di fascista Matteo Salvini. E’ un bravo medico, forse dovrebbe prescrivere a se stesso qualche goccia di Lexotan. Nell’inverno della Prima Repubblica, Mino Martinazzoli, un bresciano dall’aria triste, ultimo segretario della DC in rotta, ricevette da comunisti e post comunisti analoghi insulti. Con sarcasmo forse involontario, rispose che erano davvero a mal partito gli accusatori, se non riuscivano a distinguere i democristiani dai fascisti.
Ma l’Italia si avvita su stessa. Il trapassato non passa, il presente fa piangere e il futuro fa paura. Per favore, fermatela quest’ Italia terminale, lasciateci scendere per diventare esuli o apolidi. Magari siamo troppo vecchi o stupidi per capire, forse stiamo troppo in basso per vedere le magnifiche sorti e progressive del “paese”. Ci siamo guadagnati una bizzarra speranza, la nuova ditta Matteo & Gigino. Se falliranno, non resterà che autosospenderci da cittadini italiani, confessandoci colpevoli delle macerie pro quota. Chissà se i Mercati concedono il passaporto.
ROBERTO PECCHIOLI