di Marcello Veneziani
Ricordate la copertina di The Economist che nel 2001 titolava: Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy, ovvero Perché Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia? Bene, ora l’autore di quell’articolo, Bill Emmott, pone una domanda opposta: E se Berlusconi fosse il salvatore politico dell’Italia?
Prima di esultare per la marcia indietro ponetevi voi la domanda se sia davvero un fatto positivo questo testacoda britannico o se il Berlusca odierno sia recepito adesso come funzionale all’establishment interno e internazionale e come antidoto dei populisti, alleati inclusi.
Chi scrive respinse allora la condanna dell’Economist e diffida oggi della sua riabilitazione. Anzi, ora che riaffiora il suo totem e ritrova consensi e soprattutto assensi mediatici, esplicito un sospetto indecente che per onestà e incontinenza non so tenermi dentro.
È un sospetto che dispiacerà a berlusconiani e antiberlusconiani e che riguarda un bilancio onesto dell’esperienza di governo del berlusconismo.
Ho l’impressione che Berlusconi nel 2011 abbia restituito l’Italia così come l’ha presa: sfiduciata e spaesata, corrotta e furbetta, piena di ingiustizie e demeritocratica. La sua rivoluzione fu annunciata e denunciata, ma non produsse poi il promesso ammodernamento né la temuta devastazione di cui parlarono i suoi nemici. Feroci conflitti, odii incrociati, livore diffuso, ma niente d’importante è mutato.
Direte con buone ragioni: colpa dei giudici, degli alleati, dei poteri oscuri, della crisi mondiale, della gnocca, fate voi, ma a me pare così. L’Italia ha continuato il suo decorso senza freni, il declino proseguì e B. non fu la causa né il rimedio.
Il berlusconismo non fu affatto una tirannide ma non lasciò eredità politiche, classi dirigenti e opere destinate a durare nel tempo. Lasciò il vuoto che aveva finto di riempire, lascia la politica alla sua rovina e il paese alla sua stanca routine, fra decadenza e depressione.
Ai suoi nemici dico: non era un melanoma ma una dermatite. Un’irritazione epidermica, benché acuta. Ai suoi estimatori dico: non ha inciso dentro il paese, non ha fatto nessuna rivoluzione, fece un grande buco nell’acqua.
Berlusconi passa alla storia, il berlusconismo all’oblio. Lui dal nulla creò prima una grande impresa, la tv commerciale, poi un partito vincente, una coalizione di governo tra cani e gatti, sbaragliò i nemici, governò tre volte e a lungo. Ma poi non lasciò segni, se non illusionismo. E fu spazzato via da un mezzo golpe interno-internazionale.
L’Italia resta quel che era, benché più triste e più vecchia, salvo lifting e trapianto: un po’ più porca, un po’ più ladra, culturalmente de sinistra, moralmente fintobigotta e pure trans, civilmente incivile, sostanzialmente paracula.
E mi sembra un tantino surreale pensare che quella rivoluzione fiscale e liberale che non fu fatta allora quando disponeva di larghe e solide maggioranze, di governi duraturi, di alleati forti, di coprotagonisti come Fini, Bossi e Casini e di una classe dirigente ancora integra, possa funzionare ora, che Berlusconi è più vecchio e con meno alleati, meno frecce al suo arco e tanti imitatori che lo scavalcano a “sinistra” o tra i populisti.
L’unica considerazione che ci consola o ci sconforta, secondo i punti di vista, è che i suoi competitori, a sinistra e tra i grillini, siano perfino meno affidabili di lui. E che tutte quelle leggi e iniziative approvate in questi ultimi anni per smantellare il tessuto del nostro paese – la famiglia, il diritto alla vita, la demagogia dell’accoglienza, e così via – Berlusconi probabilmente non le avrebbe fatte. Non fece molto su quei territori, preferì sfilarsi o lasciare ciascuno libero di decidere per conto suo. Ma perlomeno non lo fece.
Vi basta questo paragone per ritenerlo oggi un male minore rispetto agli altri oppure no?
Lascio a voi la risposta, io ho la mia, ed è piuttosto scettica. Poi quando vedo i nuovi tifosi interni e internazionali, ancor più confermo lo scetticismo e il dubbio che poi vogliano usarlo come stampella di qualche rinato Gentiloni bis, o simili.
Se non per il rilancio del suo vero delfino, Renzi, figlio di fecondazione artificiale: il seme di Silvio nell’ovulo sterile del Pd.
MV, Il Tempo 8 gennaio 2017