MB – Ricordiamo che a capo della “cattolica” Sant’Egidio c’è Andrea Riccardi, già ministro di Mario Monti per la rovina d’Italia, nonché commendatore della Legion d’Honneur – In fondo, la biografia non autorizzata del personaggio e della sua organizzazione)
(da La Verità)
La comunità internazionale punta sulla conferenza per la Libia di Palermo per dare stabilità al Paese nordafricano. Tuttavia, il governo italiano, organizzatore dell’ evento del 12 e 13 novembre, deve guardarsi non solo dalle offensive dell’ esecutivo francese di Emmanuel Macron ma anche dal fuoco amico.
In particolare, quello della Comunità di Sant’ Egidio. Il movimento di ispirazione cattolica fondato da Andrea Riccardi, che fu ministro per la Cooperazione internazionale e l’ integrazione durante il governo di Mario Monti, è intervenuto nel Sud della Libia con una conferenza, il 22 e 23 ottobre, che ha riunito rappresentanti delle istituzioni locali e dei consigli di varie tribù tra cui tuareg, tebu e arabi.
Si legge sul sito della Comunità di Sant’ Egidio che è stata rivolta nell’ occasione «una richiesta alla Comunità di Sant’ Egidio perché ne sostenga gli sforzi di sviluppo e riconciliazione». Un’ iniziativa «anticipata» sul Fatto Quotidiano il 21 ottobre da Mario Giro, membro di Sant’ Egidio e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Nel suo intervento Giro scrive che «servono molte pressioni sui libici perché cambino mentalità», «senza tale impegno diplomatico la situazione di crisi potrebbe diventare permanente, come in Somalia» e, ancora, che vanno coinvolte non soltanto le autorità di Tripoli e Bengasi, ma anche, tra le altre, quelle di Misurata e le tribù del Fezzan.
Tuttavia, la mossa della Comunità di Sant’ Egidio ha infastidito la Farnesina, raccontano alla Verità fonti della diplomazia italiana. Perché in questo momento di tensioni tra Italia e Francia, il nostro governo preferirebbe non doversi mettere al riparo dal fuoco amico, soprattutto se proveniente da una zona, il Sud della Libia, su cui il governo Conte sta intensificando i suoi sforzi dato l’ alto tasso di frammentazione.
Ma non è tutto. Perché sono noti i buoni rapporti tra la Comunità di Sant’ Egidio e Macron che, raccontano fonti diplomatiche, da tempo conta sul movimento di Riccardi proprio per gestire il Fezzan. Di Fezzan si parlò per esempio il 26 giugno, quando il presidente francese incontrò a Palazzo Farnese, a Roma, una delegazione di Sant’ Egidio.
Pochi giorni prima, esattamente il 18 giugno, il capo delle relazioni internazionali della Comunità, Mauro Garofalo, fece visita al ministero degli Esteri di Parigi e pure all’ Eliseo.
Riccardi uscì dall’ incontro romano entusiasta, definendo Macron, che aveva incontrato anche papa Francesco, «un uomo molto attento alle ragioni del dialogo».
Ma il presidente francese all’ epoca cercava di generare un corto circuito nella diplomazia italiana. In quei giorni infatti stava per partire la missione militare italiana a Ghat, nel Fezzan, per rafforzare i presidi di frontiera. A capo della missione il direttore del Dipartimento centrale dell’ Immigrazione, Massimo Bontempi. Gli esperti erano incaricati di controllare le zone del traffico di esseri umani, guidate da tribù non in contrasto con il governo tripolino di Fayez Al Serraj ma assai distanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, l’ uomo che può contare sul sostegno di Russia, Stati Uniti, Egitto ed Emirati arabi ma ultimamente sempre più lontano da Parigi.
Il governo di Tripoli però non ha affatto gradito l’ iniziativa della Comunità di Sant’ Egidio con le tribù del Fezzan. Diversi media libici, tra cui l’ agenzia di stampa nazionale Lana, hanno diffuso un comunicato in cui la Commissione della società civile del governo tripolino condanna «l’ organizzazione italiana Sant’ Egidio per aver tenuto degli incontri e riunioni in terra libica senza chiedere il permesso alle autorità ufficiali dello Stato libico».
La Commissione, ribadendo il sostegno alla conferenza di Palermo organizzata dal governo italiano, si è detta preoccupata per «le attività di Sant’ Egidio in Libia con alcune componenti libiche che si svolgono senza alcun permesso legale che le consenta» e ha condannato ciò che viene definito «una violazione delle leggi libiche e internazionali da parte di Sant’ Egidio».
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CHI E’ ANDREA RICCARDI E PERCHE’ E’ DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant’Egidio
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l’epiteto di “ONU di Trastevere” applicato ad arte alla sua comunità. […] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n’è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant’Egidio.
Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt’uno. Quando uscì su “L’Espresso” era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto.
SANT’EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF
(Da “L’Espresso” del 9 aprile 1998)
Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant’Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c’è una caffetteria snob, “Pane amore e fantasia”, con l’insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c’è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c’è un mercatino di cose vecchie e curiose, “La soffitta”. Anche di questo non c’è scritto che è della comunità.
Sant’Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d’accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all’inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: “Wonderful people”, meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene.
TRA OPUS DEI E DALAI LAMA
Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant’Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l’omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un’istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all’obbedienza.
Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta “l’Onu di Trastevere” non è un’organizzazione laica tipo “Médecins sans frontières”, ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant’Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni.
Sono stati quelli di Sant’Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d’ogni credo. Da allora, Sant’Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l’ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private.
Con questi precedenti, Sant’Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell’Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano.
IN PRINCIPIO FU CL
Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant’Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant’Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l’organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c’è già il nocciolo duro di Sant’Egidio d’oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l’aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant’Egidio.
MONACI DEL NUOVO MILLENNIO
Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant’Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l’edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d’un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.
Segue la fase monastica. Con una spruzzata d’orientalismo. In vacanza, quelli di Sant’Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un’impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s’immaginano “celibi per il Regno dei cieli” e “monaci nel deserto della città”. Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all’insegna dell'”ora et labora”, dove il “labora” sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia.
LA SCOPERTA DEL SESSO
Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell’estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell’eremo di Macereto, un po’ tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul “nuovo monachesimo” e prendono il via i primi matrimoni. Resta l’obbedienza assoluta a quello che era di fatto l’abate indiscusso, Riccardi.
Il quale, intanto, s’è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l’anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l’interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant’Egidio è tutto un via vai di cardinali d’ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali.
La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant’Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c’è una scuola materna, con un’aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell’aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L’idillio tra Giovanni Paolo II e Sant’Egidio sboccia così. L’innamoramento è l’estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più.
ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA
Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant’Egidio l’ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano.
Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant’Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato “che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster”, un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan.
MARTINI FOLGORATO
Altro cardinale protettore di Sant’Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un’altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant’Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all’inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l’etichetta di donna traviata. “La nostra Maria Maddalena”, la definivano i suoi censori.
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