di Giuseppe Liturri
analisi dell’economista Ashoda Mody commentata da Giuseppe Liturri
Il presidente della Bce, Christine Lagarde, venerdì 28 febbraio rassicurava tutti circa l’assenza di uno shock economico collegato alla diffusione del coronavirus, ribadendo che il pacchetto Draghi del settembre scorso è sufficiente a gestire la crisi. Martedì 3 marzo si dichiarava invece “pronta ad adottare misure appropriate”. L’esordio della signora francese nella gestione di una situazione turbolenta non appare proprio dei migliori.
Nelle stesse ore, l’economista di origine indiana Ashoka Mody, già al Fondo Monetario Internazionale ed ora professore a Princeton, scriveva un editoriale dal titolo scioccante “Italia, la crisi che potrebbe diventare virale”. Che conviene analizzare punto per punto.
L’analisi di Mody prende le mosse dalla constatazione che il blocco dell’economia, conseguenza del coronavirus, facendo leva sulla preesistente debolezza del nostro Paese, rischia di catapultarci in una crisi finanziaria che inevitabilmente finirà per contagiare tutta l’economia globale. Siamo troppo grandi per passare inosservati ed arriviamo a questa sfida debilitati. È già ora di prepararsi a gestire le conseguenze, nonostante la pericolosa noncuranza che arriva dalle parole della Lagarde.
Da quando, due decenni fa, l’arroganza dei leader europei ci ha condotto dentro la “morsa” dell’eurozona, con una moneta troppo forte per la nostra economia e tassi di interesse reale troppo alti, abbiamo smesso di crescere e di investire sul nostro futuro. Oggi il coronavirus ha bloccato l’economia di Lombardia e Veneto, il cuore produttivo del Paese che, grazie all’elevata propensione all’esportazione, ci ha tenuto in piedi in questi anni.
Tutto ciò si innesta su una situazione finanziaria pubblica (che vede il rapporto debito/Pil in crescita verso il 137% – Dati Country Report della Commissione UE) e privata (con il sistema bancario poco profittevole ed ancora alle prese con i danni provocati dallo smaltimento accelerato delle scorie della precedente crisi) entrambe ancora molto vulnerabili.
Se a ciò si aggiunge che il rallentamento del commercio internazionale, sin dall’inizio del 2018, aveva frenato il passo dell’economia europea, ed italiana con essa, fortemente dipendenti dalle esportazioni, si completa il quadro di debolezza dell’Italia. Eravamo già da tempo sul sentiero della recessione, nonostante tutte le rassicurazioni del ministro Roberto Gualtieri. Ed il ciclo della produzione industriale si era invertito sin dai primi mesi del 2018. E, si sa, la malattia, attacca con maggior ferocia proprio i più deboli. E noi non possiamo reggere ad una contrazione del Pil che farebbe salire il debito/Pil oltre soglie non sostenibili, considerata la recessione ed i tassi sul debito. Parimenti, le banche non possono reggere una nuova ondata di perdite sui propri prestiti. Inevitabilmente i nostri creditori internazionali sarebbero investiti anch’essi dalle perdite e si scatenerebbe una crisi di dimensioni globali.
L’economista prosegue mettendo in evidenza le differenze rispetto alla crisi del debito del 2012. L’Italia è ben più grande della Grecia e, soprattutto, non c’è più la leadership politica di Angela Merkel, in difficoltà sia in casa che all’estero. L’Europa si presenta a questa crisi divisa su tutto e senza leader capaci di indicare la rotta.
Allora quali scenari? L’Italia accetterà un salvataggio finanziario con connesso il guinzaglio di un programma di aggiustamento fiscale, alla greca, magari con il nuovo Mes pronto all’uso? La Bce violerà le regole, finanziando direttamente il debito italiano, o sarà paralizzata dal timore dei tedeschi di vedersi accollare il fardello del debito italiano?
Mody non risparmia toni apocalittici. Secondo lui siamo davanti ad un momento cruciale della storia economica, in cui la potenza di fuoco delle banche centrali, tranne la Fed, appare già esaurita, le prospettive di crescita in declino quasi dappertutto e la risposta fiscale tutta da organizzare. Siamo alla resa dei conti. O i Paesi del Nord Europa accettano un salvataggio finanziario dell’Italia, consapevoli che ci vorranno molti anni per il rimborso. Oppure restano indietro, sperando che passi presto la tempesta. Ma in quest’ultimo caso il rischio è quello di assistere, senza alcuna possibilità di gestirla, all’avvitamento di una crisi finanziaria di dimensioni mondiali, innescata da una catena di dissesti che vede l’Italia come epicentro. Il peggio potrebbe non avverarsi mai, ma sarebbe da irresponsabili non preparare una risposta adeguata.
Fin qui Mody. Il cui scenario ha ricevuto le prime conferme tra venerdì e sabato, quando Prometeia ed il centro ricerche Ref, hanno diffuso, rispettivamente, una stima del Pil del primo trimestre 2020 in calo del 0,3%, ed un PIL del primo semestre in calo tra 1% e 3%. Qualcosa tra 9 e 27 miliardi in meno di Pil nel semestre. Considerato che non è ancora chiara la durata dello stallo economico, si tratta di mere congetture che però servono a dare le dimensioni del problema. È ragionevole aspettarsi un primo trimestre 2020 col PIL il calo almeno del 2%. La proiezione su tutto il 2020 mette i brividi solo a calcolarla.
Di fronte a tali rischi, le prime misure adottate dal Governo, pur condivisibili, somigliano ad un castello di sabbia che reggerebbe l’urto della schiuma sulla battigia ma non quello dello tsunami che si intravede all’orizzonte. Non è più tempo di zero virgola. È il caso di prendere atto che l’Italia non può reggere ad un tale urto all’interno del sistema di regole, di politica monetaria e fiscale, attualmente vigenti nell’eurozona. Uno shock fiscale anticiclico nell’ordine di diverse decine di miliardi sarebbe necessario ed urgente, ma tuttora vietato.
L’iniziativa del Governo di fare ulteriori 3,6 miliardi di spesa, spingendo il deficit 2020 al 2,4%, è davvero irrilevante rispetto alle dimensioni del problema. Inoltre sottovaluta il denominatore del rapporto (il Pil) la cui riduzione potrebbe portare il rapporto oltre il 3%, senza aver ancora effettuato alcun aumento di spesa. Ci sarà inoltre da fare i conti con la Commissione Ue che, solo qualche giorno fa, nel suo country report sull’Italia continuava a ripetere la stanca litania delle riforme strutturali e del contenimento del disavanzo di bilancio, inimmaginabile che riescano a scrollarsi di dosso in un attimo tutto quel vetusto armamentario. Quella stessa Commissione Ue che nell’autunno 2018, con la recessione già alle porte, ritenne opportuno scatenare una indegna gazzarra mediatica per censurare un deficit/PIL che, guarda caso, è proprio lo stesso che oggi il Commissario Gentiloni guarda con benevolenza.
Per non parlare del fatto che, a consuntivo, quel deficit si è rivelato essere molto più basso, attestandosi al 1,6%. Era noto che, con l’arrivo di uno shock esogeno, l’Italia era la più vulnerabile. Ora siamo alla resa dei conti, leggermente diversa da quella prospettata da Mody: la vera alternativa è finire definitivamente commissariati dalla Ue, con la Troika per interposta persona a Palazzo Chigi, o riacquistare un minimo di autonomia monetaria e fiscale e ripartire rivitalizzando la domanda interna.
Un Paese con un avanzo di partite correnti con l’estero di €53 miliardi annui ed una posizione patrimoniale sull’estero solo lievemente negativa, ha il diritto dovere di fare questa scelta consapevolmente.
(articolo aggiornato e integrato rispetto alla versione pubblicata sabato scorso dal quotidiano La Verità)