i famosi “mercati” hanno votato pro
“Martedì sera, mercoledì e pure ieri. I grandi fondi americani hanno dato il via ad acquisti massicci di titoli di Stato italiani. A far scattare il «buy» sono stati inizialmente gli algoritmi che hanno letto lo sfondamento della soglia al ribasso e hanno azionato le operazioni automatiche.
Bridgewater, Aqr, Glg e Ahl sono in prima fila, ma a ingrossare il gruppo, dopo gli avanposti, di Citi e Jp Morgan, si sono messi nella giornata di ieri Blackrock, Pimco, Prudential e Dodge & Cox.
Tutti fondi pronti a entrare nella fase due degli acquisti: attendere che la volatilità si stabilizzi al ribasso per fare man bassa di titoli a prezzi scontati.
Per chi operino, soprattutto le banche d’ affari come Citi e Jp Morgan, non è dato sapere.
Sono infatti dealer primari che si muovono per conto di terzi.
Certamente interessati al nostro debito deprezzato ci sono i fondi pensione americani, ma anche quelli inglesi. Il primo effetto dell’ ingresso massiccio americano è stato quello di bilanciare i rendimenti e di mitigare al ribasso l’ andamento dello spread sul bund tedesco.
Ben 4 miliardi di Bot su un paniere di poco superiore ai 5 scriveva ieri Il Messaggero sarebbe finito a Citi e Jp Morgan. Ma a indicare che oltre al fattore prezzo c’ è anche un segnale politico è il prosieguo del trend e ancor più l’ intenzione di entrare con posizioni lunghe e di medio termine.
Alcuni osservatori suggeriscono che tra i nomi dei buyer spuntano manager vicini al mondo repubblicano.
Non è un caso se nella lista non compaia Goldman Sachs, storico simpatizzante del versante democratico. Probabilmente è una coincidenza, che rispecchia però le nuove posizioni del Partito repubblicano degli States.
Una parte, allineata a Donald Trump, vedrebbe l’ Italia sempre più allontanarsi dalla Germania, mentre gli uomini del partito che ancora oggi rispondono alla famiglia Bush preferirebbero che Roma rimanesse in scia a Berlino. O meglio che il nostro Paese mantenesse un ruolo complementare all’ economia tedesca per evitare che la Germania abbia contraccolpi economici.
L’ Italia resta infatti il primo partner commerciale di Angela Merkel.
In questo preciso momento geopolitico aiutare il nostro Paese a evitare un tracollo finanziario con acquisti mirati è ancor più con un segnale di fiducia (Se gli Usa credono nel nostro debito perché altre nazioni dovrebbero dubitarne?).
Lungi da noi fare fantafinanza. Al contrario basta unire i puntini per comprendere come l’ aria sia cambiata improvvisamente con una ventata di sostegno che deve essere arrivata sicuramente fin dentro le stanze di Sergio Mattarella. La giornata di ieri è stata, infatti, anche caratterizzata da una guerra aperta tra Washington da una parte e Berlino con Bruxelles dall’ altra.
Una bomba diplomatica oltre che politica.
L’ amministrazione Trump applica da oggi importanti dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio dall’ Ue, dal Messico e dal Canada. Gli Stati Uniti hanno deciso di non prorogare l’ esenzione temporanea concessa all’ Europa due mesi fa di applicare imposte del 25% sull’ acciaio e del 10% sull’ alluminio.
Una batosta per il Vecchio continente per il quale si è espresso il presidente Ue Jean Claude Juncker con un’ uscita abbastanza bolsa: «Puro e semplice protezionismo, non ci resta che prendere contromisure».
Angela Merkel ha parlato di «tariffe illegali» e di «rischio escalation» senza specificare che cosa debba attendersi Trump.
In realtà Berlino sa benissimo che su questo specifico fronte l’ Ue non ha armi da affilare così come si aspetta che, trascorso un mesetto, la Casa Bianca, probabilmente per voce di Wilbur Ross, il segretario al Commercio degli Usa, avvierà trattative parallele con l’ intento di rivedere l’ intero impianto commerciale tra i due blocchi.
Proprio quello che gli Usa stanno facendo con la Cina che, dopo aver accusato il colpo dei dazi e lo stop -seppur temporaneo – alle vendite dei telefoni Zte in America ha avviato un tavolo parallelo. Pechino ha messo in campo ieri misure di segno opposto in risposta al rinnovato protezionismo americano: il Consiglio di Stato, presieduto dal premier Li Keqiang, ha annunciato che dal primo luglio verranno tagliati i dazi sull’ importazione di una serie di beni di consumo.
E ciò che è stato per la Cina Zte, è per la Germania Deutsche Bank. Praticamente in contemporanea con l’ annuncio dei dazi mirati alla Germania più che alla Francia e all’ Italia, la Federal Reserve ha definito come «problematiche» le condizioni delle attività americane dell’ istituto di Francoforte.
Lo status «condizioni problematiche» – il gradino più basso espresso dalla Fed – ha condizionato le scelte dell’ istituto di credito nel ridurre l’ assunzione di rischi in aree come il trading e la concessione dei prestiti. Questo status significa anche che le decisioni del gruppo tedesco sulle assunzioni e sui licenziamenti di top manager in Usa devono passare dalla Fed.
Una sorta di commissariamento che sembra avere poche motivazioni al di fuori di quelle politiche. Difficoltà della banca tedesca negli Usa vanno indietro negli anni, ma chi segue il dossier sa che il ramo estero è stato da diverso tempo messo in ordine e in sicurezza. Il titolo alla Borsa di Francoforte ha perso il 7% raggiungendo il minimo storico di 9,16 euro.
Se si considera che la Casa Bianca ha pronte una serie di misure «straordinarie» per penalizzare anche Volkswagen e tutte le vetture di lusso tedesche, appare ormai chiaro che gli Usa non vogliono mollare l’ osso“.
In questo panorama rivoluzionario per il Vecchio continente, Donald Trump non ha avuto problemi a dare un segnale netto a favore dell’ Italia. Essere percepito come una sorta di prestatore di ultima istanza fiducioso nei titoli di Stato italiani ha dato una spallata finale e ha favorito definitivamente la nascita del governo gialloblu.
Non più considerata come un’ entità reietta da tutta l’ Europa ma come un blocco politico che in caso di necessità potrebbe avere un santo nel paradiso a stelle e strisce”.
USA FOR ITALY (adelante con juicio)
“Parliamo dello scenario di unsupporto USA alla linea di relazioni internazionali e, non secondariamente, interne alla stessa eurozona, che sarebbe manifestabile da parte del governo italiano che ha appena prestato giuramento.
Un nodo di controversia che, notoriamente, è legato al supersurplus tedesco (…)
Il richiamo di Trump, a fronte di una simile acuta asimmetria negli scambi, è addirittura alla “sicurezza nazionale“. Evidentemente, Trump concepisce come problemi di destabilizzazione sociale, e di conseguenza politica, l’aggravio del debito con l’estero (su costosi manufatti esteri ad alto valore aggiunto) e il connesso problema di sotto-occupazione nel corrispondente settore industriale statunitense: una visione che, in realtà, ha un suo senso razionale(…)
La “tensione” commerciale tra USA e Germania avrebbe come suo logico riflesso economico e geo-politico, in chiave di interdipendenza delle posizioni commerciali internazionali, un favor americano per l’allentamento della morsa tedesca sull’economia italiana, esercitata, com’è noto, attraverso i giugulatori vincoli fiscali dell’eurozona.
Il che avrebbe anche favorito la formazione dell’attuale governo, in quanto ritenuto più attrezzato a ottenere un diverso approccio sulla intransigenza deflattiva tedesca (quella di cui, per la verità, parlavano in passato Prodi, Visco e lo stesso Padoan).
4. A queste osservazioni sono anche da aggiungere altri elementi:
a) oltre che i fondi USA (riguardo a cui, ribadiamo, non si bene sa chi siano i “terzi” ordinanti gli acquisti), sui titoli pubblici italiani, a rafforzamento dei corsi e dei prezzi di collocamento, si sono mosse pure Poste Italiane e Cassa depositi e prestiti.
Ma pure questo aspetto, abbastanza inedito (se si ripensa a come andarono le cose nell’estate-autunno del 2011), quantomeno con questa tempistica e con questa portata dei volumi, può corrispondere a un sentiment innescato dal placet dell’Amministrazione USA;
b) alla prospettiva di reintroduzione dei dazi e del “ban” sulle auto di lusso, il Presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, utilizzando toni che la Merkel si è guardata bene dall’esternare, ha dichiarato:
“Guardando alle ultime decisioni del Presidente Trump, si potrebbe persino pensare: con amici come questi chi ha bisogno di nemici? (!) Ma francamente gli dobbiamo essere grati. Grazie a lui ci siamo liberati di tutte le illusioni. Ti rendi conto che se hai bisogno di una mano la troverai solo alla fine del tuo stesso braccio”.
5. Il che rende facile interrogarsi sulla opportunità di dover affidare la “posizione comune” a personaggi che obiettivamente impegnano tutta l’Ue, Italia inclusa, ma usano toni che inaspriscono le relazioni internazionali più rilevanti e che appaiono consoni solo a quella stessa posizione di surplus tedesca che, pure secondo Macron (qui, p.7), pagano tutti gli altri Stati dell’eurozona.
5.1. E’ da notare che, in contrasto con la fedeltà assoluta alle attuali regole dell’eurozona che pare essere precondizione costituzionalizzata di legittima nomina come ministro della Repubblica italiana, persino George Soros (!), in un suo recentissimo speech a Parigi, ha ammesso che l’eurozona è retta da regole problematiche e superate e che ormai incentivano la “non cooperatività” all’interno dell’Ue. Sicché i trattati vanno rivisti consentendo a tutti i paesi più tracciati di loro scelta, compreso quello di non essere parte della moneta unica!
6. Anche a voler considerare sfumato il surriportato succo del discorso di Soros (ricomprendente il riconoscimento dell’erroneità dell’attuale approccio Ue al problema degli immigrati economici), ci pare che ogni “parte” politicamente rilevante degli USA si renda conto che l’eurozona, anzitutto, sia un esperimento fallito e bisognoso di profonde riforme.
Insomma, mantenerla è certamente un tradizionale interesse americano: mantenerla a qualsiasi costo – in particolare destabilizzando con la deflazione salariale di stampo mercantilista l’intero continente ed anche i suoi più importanti partner commerciali-, non sembra più ragionevole a nessuno.
7. E questo spiega, in termini di obiettivo geopolitico condiviso nell’intera area NATO (per intendersi), come un compromesso di rinnovata cooperazione europea, che non può che passare per una profonda revisione dei meccanismi della moneta unica al fine di mantenerla in vita ma non nella forma attuale, sia sì ben visto dagli USA, ma con la consapevolezza che la Germania è un grosso problema che va risolto.
Con le buone o con le cattive (finanziariamente e commercialmente parlando).
Frattalicamente parlando…
Steve Bannon: “Ho parlato per ore con Salvini per convincerlo ad allearsi con i 5 Stelle”
“Siete i primi a poter davvero rompere il paradigma sinistra-destra. Potete mostrare che il populismo è il nuovo principio organizzatore”. Con queste parole l’ideologo del sovranismo americano, Stephen K. Bannon, si è rivolto a Matteo Salvini, qualche giorno dopo le elezioni, per convincerlo ad allearsi con i 5 Stelle. A rivelarlo è stato lo stesso Bannon in un’intervista al New York Times.
Bannon ha raccontato di aver parlato per ore con il segretario del Carroccio e altri esponenti della Lega. Nella stessa intervista, Bannon ha anticipato che altri Paesi europei seguiranno l’esempio dell’Italia. (…)