Giulio Sapelli. Maria Laura Antonelli / Agf
Su queste pagine abbiamo seguito da vicino gli intrecci degli sviluppi delle relazioni franco-tedesche, dalla candidatura di Martin Schulz nel febbraio del 2017 fino alle elezioni tedesche che hanno ricondotto ad una nuova Grande Coalizione, che il 10 aprile si è riunita nel castello di Meseberg per discutere congiuntamente del programma da seguire nei prossimi mesi: si discute in primo luogo di lavoro e di questioni di sicurezza a livello europeo e di Nato.
Per più di un anno la stampa internazionale ha dato molta attenzione al “motore franco-tedesco” o “asse franco-tedesco”, riponendo in esso grandi aspettative per una ripresa non soltanto economica, ma anche politica del progetto europeo. Tuttavia, ad oggi, gli effetti di tale asse europeo sembrano non avere seguito; e forse, mai ne avranno.
Ci rivolgiamo a Giulio Sapelli, attualmente ricercatore associato presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, dopo una lunga carriera tra l’accademia e l’impresa, per orientarci sulle ragioni dell’assenza dell’Europa come attore geopolitico sulla scena internazionale. Tematiche che hanno guidato la ricerca dell’autore nelle sue ultime pubblicazioni da Dove va il mondo? Per una storia mondiale del presente (Guerini e Associati, 2013), Frattali. L’età dell’instabilità mondiale (goWare, 2017), Un nuovo mondo. La rivoluzione di Trump e i suoi effetti globali (Guerini e Associati, 2017) fino alla sua ultima pubblicazione Oltre il capitalismo. Macchine, lavoro, proprietà (Guerini e Associati, 2018), dove l’autore sottolinea l’importanza della biodiversità delle forme d’organizzazione dell’impresa come antidoto contro la tirannia di un capitalismo finanziario, in cui riemergono forme di neo-schiavismo.
Le crisi geopolitiche attuali derivano dal mancato ‘Congresso di Vienna’ post-Urss
Edoardo Toffoletto: Cosa pensa degli attuali rapporti tra Francia e Germania? Soprattutto considerando che l’Europa come soggetto geopolitico, se radicato sul duopolio franco-tedesco, sembra essere in attrito, come lei spesso ricorda, con gli equilibri internazionali retti dalla Nato, dunque come si dovrebbe porre l’Europa come soggetto geopolitico sulla scena internazionale?
Giulio Sapelli: Diciamo che la domanda è mal posta, non perché lei la pone male, ma perché è una domanda che non ha il suo ubi consistam – il suo punto d’appoggio. Perché in Europa c’è un grande squilibrio di potenza, derivato fondamentalmente da due fattori, uno esterno e uno interno all’Europa:
Il primo fattore è che gli Americani, crollata l’Unione Sovietica, non hanno dato luogo a quello che probabilmente Ronald Reagan e Gorbaciov si erano impegnati a fare, cioè un nuovo Congresso di Vienna che sistemasse il mondo; non si può, in effetti, dopo il crollo di una superpotenza, quale era l’Urss, non rimettersi ad un tavolo e definire il nuovo ordine mondiale.
Nel Pacifico si sarebbero accorti per esempio che la Russia, anche se non c’è più la guerra fredda, con Vladivostok è a 20 chilometri dai confini della Corea del Nord. Ci saremmo potuti evitare la pagliacciata di questi ultimi tempi per la quale si afferma che Kim Jong-Un dipenda dalla Cina, e non si ricorda che il nonno di Kim Jong-Un era un funzionario dell’internazionale comunista. Quindi la Corea del Nord è frutto della Russia e dell’Iran, non ha alcun rapporto con la Cina. Se ci fosse stato quell’accordo internazionale post-Urss, di cui parlo, la Russia, gli Usa e le potenze europee avrebbero forse sistemato questa zona del Pacifico, dato uno status al Giappone, e avrebbero cominciato a fare un accordo di denuclearizzazione, di cui tanto si parla in questi giorni per quanto riguarda l’Iran per arrivare fino alla Corea del Nord…
Kim Il Sung, nonno di Kim Jong Un, nel 1956. Wikimedia Commons
Gli Americani si sono illusi, come spiega bene David Calleo (Follies of Power: America’s Unipolar Fantasy, Cambridge University Press, 2009), di un possibile ordine mondiale unipolare. Con relative appendici ideologiche, come la tesi di Francis Fukuyama, che sosteneva, all’indomani del crollo del muro di Berlino, che il neo-liberalismo dispiegato avrebbe segnato la fine della storia. Gli Stati Uniti sono in preda (sono stati in preda) a un potere dinastico dai Clinton, Bush fino agli Obama, che hanno posto le basi per la distruzione della potenza più grande del mondo: con la finanziarizzazione dell’economia e con l’unipolarismo.
Toffoletto: E il secondo il fattore?
Sapelli: Il secondo fattore, quello interno, si potrebbe dire, è una conseguenza del mancato accordo internazionale post-Urss. Infatti, è per questo che non hanno affrontato il nodo che adesso emerge, e da cui deriva la sua domanda: non ci può essere uno squilibrio di potenza così a favore della Germania in Europa: questa è una cosa che ha sempre provocato guerre. E sostengo, sfidando chiunque all’onere della prova, che la retorica che l’unità europea ha impedito la guerra è falsa. Infatti, proprio questo squilibrio di potenza ha fatto sì che, a 70 chilometri da Trieste, le donne serbe evirassero con delle scatole di conserva i mussulmani, così abbiamo avuto Srebrenica. Se questa non è guerra… questo è avvenuto perché la Germania ha riconosciuto la Croazia dimenticandosi, prima di farlo, che doveva mettersi d’accordo con la Francia e coi russi…
Mi ricordo De Michelis (Ministro degli Esteri nei primi anni Novanta ndr) che piangeva davanti a me, che per caso l’avevo incontrato, e che diceva: “guarda un po’ cosa m’hanno fatto questi [i Tedeschi]”; lui, che era un uomo molto intelligente, capiva che l’unica speranza era di fare una grande Jugoslavia. Però i Tedeschi dovevano star fermi, quindi loro hanno macchiato di sangue l’Europa. Naturalmente non col loro sangue, ma con quello degli altri.
Una donna prega nel cimitreo e memoriale di Potocari vicino a Srebrenica, dove sono sotterrate molte delle oltre 8 mila vittime del genocidio perpetrato dall’esercito serbo, comandato da Ratko Mladic, ai danni di civili bosniaci. Matej Divizna/Getty Images
Toffoletto: Se l’unità europea non ha portato la pace, in che modo si può pensare oggi l’Europa?
Sapelli: In primo luogo, bisognerebbe partire soprattutto dall’Europa così come è adesso, con questo squilibrio di potenza a favore della Germania, frutto degli errori Americani. In secondo luogo, è sbagliato dire che c’è un asse franco-tedesco: c’è una dominazione tedesca, a cui e contro cui la Francia si leva con grandi contraddizioni al suo interno.
Vediamo la sostanza delle cose. In un paese come la Francia, che è il cuore politico dell’Europa, poiché la Germania sarà il cuore economico, ma quello politico è la Francia, il fatto che 24 milioni di persone non votino, ma ne votino solo 22, non significa che c’è la divisione del popolo francese, ma una profonda divisione nell’establishment francese. Inoltre, ci si dovrebbe soffermare sul primo atto di Macron, il quale, appena nominato, licenzia il capo di Stato Maggiore, de Villiers. Quest’ultimo ha un fratello senatore o deputato, che è un uomo forte del gaullismo, diciamo, sarkosiano, e ancora prima chirachiano. Questi elementi dovrebbero far pensare a qualche cosa: la Francia è terribilmente divisa.
Toffoletto: Per tenere insieme gli elementi dei fattori esterni ed interni che contribuiscono all’assenza dell’Europa come soggetto geopolitico sulla scena internazionale, come si posizionano la Francia e la Germania di fronte agli Usa?
Sapelli: Mentre la Germania si è schierata contro gli Stati Uniti, di fatto, i francesi sebbene non abbiano partecipato all’insulso bombardamento dell’Iraq del 2003, hanno molti legami con gli Stati Uniti: la Francia è una delle potenze più legate agli Stati Uniti, dai tempi di Aristide Briand, quando Pierre Mendès France scrisse negli anni ‘30, quel libro famoso, La Banque Internationale, in cui si prende atto che si deve governare il flusso di capitali con l’accordo degli Stati Uniti; in seguito, Jean Monnet, è l’uomo che de Gaulle usa per avere rapporti con gli Stati Uniti.
Il funzionalismo à la Monnet, che è stato un errore catastrofico, con cui si è unificata l’Europa, né federalista, né confederale, però aveva alla base sempre l’occhio a cosa dicevano gli Stati Uniti.
Quindi l’asse franco-tedesco non esiste. C’è una dominazione tedesca. Inoltre, si deve considerare che la Francia è l’unica nazione europea, forse l’unica al mondo, dove tra stato e nazione c’è una contiguità: dove lo state building si è costruito su una nation building. I tedeschi, figurati… nel 1848 la Prussia fa uno Zollverein – un’unione doganale tra i Länder tedeschi – poi prima del 1870 i tedeschi non esistono. La Spagna durante la guerra di successione spagnola (1701-1714) era spaccata tra Borboni e Hohenzollern. Quindi la Francia è l’unica nazione europea. Ma la Francia è oggi molto preoccupata. Di qui l’Europa chiaramente non può avere alcuna forza per esprimere una volontà coerente sulla scena internazionale.
Germania dominante, ma non egemonica perché le manca il potere culturale
Toffoletto: Il dibattito tedesco mostra una certa superficialità quando si tratta di tematizzare le tensioni geopolitiche. Sembra esserci una generale rinuncia al pensiero strategico; anche nell’ambito della ricerca universitaria vi è una sudditanza al pensiero anglo-americano nel senso più deteriore: perfino un rinnegamento della propria storia culturale. Lei cosa ne pensa?
Sapelli: In effetti, l’altra grande questione è la deflazione. La deflazione usata dai tedeschi per mantenere il proprio surplus commerciale, che poi non usano accecati dall’ideologia ordo-liberale. La storia tedesca stessa falsifica l’ipotesi marxista che il centro della società sia l’economia: i problemi legati all’imposizione su scala europea della politica economica tedesca mostrano quanto il problema sia prima di tutto culturale, vale a dire lo spazio simbolico dentro il quale situare l’attività economica. Pur essendo la nazione dominante, non riescono a essere leader, quindi c’è un difetto di egemonia, loro esercitano un dominio, ma non riescono ad avere un potere egemonico, perché non hanno più un potere culturale, come le sue osservazioni dimostrano. L’ultimo che si è accorto di questo è stato Helmut Schmidt, che critica il Governatore della Bundesbank con la seguente osservazione: “Lei pensa che si possa entrare in Europa senza un’idea, con solo l’approccio monetario?”. Questo è quello che è avvenuto.
Toffoletto: Riprendendo questo problema da un angolo prettamente geopolitico, mi ricordo che Der Spiegel si stupiva di quanto la questione dei gasdotti Nord-Stream, in cui l’ex-Cancelliere Gerhard Schröder era invischiato in quanto consulente presso Gazprom, fosse intrinsecamente politica. Il lemma stesso Geopolitik è un tabù, ricordava Lucio Caracciolo su un editoriale di Limes. Come è possibile stupirsi che i rapporti economici, e soprattutto le questioni energetiche, siano eminentemente (geo-)politiche?
Sapelli: Ma la geopolitica per loro significa nazismo, così come anche a livello artistico e culturale, nella stessa Bayreuth, si può osservare nella scenografia la negazione dello spirito wagneriano. Allo stesso modo l’avanguardia nella Repubblica di Weimar diceva di non voler più fare la prima guerra mondiale e poi però è venuto Hitler. E’ un grande pericolo quello di agire rinnegando la propria cultura, come se intrinsecamente connessa con le tragedie del XX secolo, ma di questo non si discute.
Toffoletto: Mi verrebbe da dire che sarebbe meglio che la Germania attingesse nuovamente al suo immenso patrimonio culturale, ridotto spesso alle nozioni di Heimat (Patria), Volk (Popolo) o Geist (Spirito) e reso astrattamente causa degli orrori del nazismo, che su queste nozioni fondava la sua retorica. Paradossalmente, se si pensa a quanti pensatori dell’Ottocento tedesco, da Kant fino a Simmel, hanno immaginato un’Europa come Concerto delle Nazioni, il suo patrimonio culturale potrebbe essere l’antidoto all’ideologia ordo-liberale…
Sapelli: Esattamente la necessità di un’idea d’Europa che esprimeva Helmut Schmidt, la cui mancanza fa emergere il vero problema che è la mutualizzazione del debito. Naturalmente, i tedeschi non la vorranno mai; aggiungiamo che adesso anche l’Olanda si è espressa a sfavore, cioè il paese più internazionalizzato al mondo rispetto al Pil, e che per certi versi è forse più importante della Germania. Inoltre, come si può andare avanti, con un Parlamento europeo che non decide?
Toffoletto: Restano ancora oscure le motivazioni delle scelte di Macron, tra cui l’attacco al funzionariato francese e le privatizzazioni delle ferrovie (Sncf) quando il possibile interlocutore tedesco sta aprendo ad una legislatura segnata da investimenti in infrastrutture.
Emmanuel Macron durante la campagna elettorale. Jean-Philippe Ksiazek/Afp/Getty Images
Sapelli: Mi sono abbonato alla newsletter di En Marche!, la cosa che mi ha più interessato è stata che quando faceva propaganda elettorale, metteva i suoi interventi anche nelle Logge del Grande Oriente di Francia, le quali, tuttavia, lo criticavano aspramente per essere troppo un liberale di destra. La massoneria francese è nota per le sue tendenze socialiste: in effetti, il primo maggio i massoni sfilano dietro Force Ouvrière (terzo sindacato francese) a Parigi. Assieme all’America, la Francia è l’unico paese in cui la massoneria è solidale con il sindacato. Mi sono convinto quindi che Macron esprima una parte del potere francese, legata ad altri circuiti massonici più conservatori, come il Rito Scozzese Antico e Accettato, cioè la massoneria inglese legata alla Casa Reale. Eppure, mi pare che anche lì siano molto divisi. Come si fa a mettersi contro, come sta facendo lui, al funzionariato francese? Ciò non può essere coerente con una visione élitaria del potere, quale è quella massonica. I funzionari francesi non sono soltanto l’asse della Repubblica, ma del potere francese. Neanche Chirac, da plebeo che voleva smontare l’Ena (La Scuola Nazionale di Amministrazione), è riuscito a smantellare la struttura del funzionariato che è uno dei pilastri della potenza diplomatica francese. Macron veramente vuole togliere i privilegi ai funzionari…
Toffoletto: La mossa di attaccare i privilegi dei funzionari, potrebbe essere letta tra quelle “necessarie riforme” per venire incontro alla Germania?
Sapelli: Secondo me, il potere tedesco sta facendo venir fuori il peggio dell’Europa: dai nazionalismi dell’est Europa, ai Paesi Bassi fino a far venir fuori la Spagna castigliana con il suo volto franchista nel modo in cui sta trattando gli indipendentisti catalani. L’Europa sta imbarbarendo a causa del dominio tedesco… tutti questi fenomeni, includendo l’auto-devertebrazione dello Stato francese operata da Macron, non dovrebbero essere compresi come echi del pilota automatico imposto dalla Germania all’Europa?
Il futuro dell’Europa è in Africa
Toffoletto: In mezzo a queste scissioni e squilibri di potere, quale sarà il criterio per capire se l’Europa riuscirà a trovare una sua coerenza geopolitica?
Sapelli: Il futuro dell’Europa si misura rispetto all’Africa e il fatto che ci sia un’Europa così divisa è tragico. Si parla di Piano Marshall verso l’Africa, ma come è possibile se stiamo ancora a discutere della mutualizzazione del debito? Abbiamo stanziato 4 miliardi per il Piano Marshall per l’Africa, ma vi ricordate cos’era il Piano Marshall, altro che 4 miliardi, 40.000 miliardi! Per questo bisogna cambiare paradigma rispetto al problema del debito…
Poi i tedeschi ritorneranno in Africa, e lì dovranno essere armati, si parla di riarmo, come la mettiamo con la Nato?
Migranti soccorsi da una nave italiana in attesa di sbarcare al porto di Catania. 21 marzo 2017. Giovanni Isolino/AFP/Getty Images
La schizofrenia della geopolitica del regno unito
Toffoletto: Lei ha sempre dato importanza alla Brexit, sottolineandone le profonde radici storico-culturali. Come si situa il Regno Unito nel plesso delle relazioni internazionali?
Sapelli: La questione è qui ancora più complicata. Per un verso la storia così torna al suo posto: l’Inghilterra non ha mai avuto alcun legame con l’Europa, si è semmai sempre preoccupata che non vi fosse uno squilibrio di potenza al suo interno, per esempio a causa dei tedeschi, e quindi creando alleanze con la Francia. Anche il Regno Unito però ora è in una crisi spaventosa: aspirano a ricostituire l’anglosferatramite un rapporto stretto con gli Americani; però lo vogliono avere contestualmente con i cinesi, con la Cina. Il che non può andare d’accordo. I rapporti simbolici nelle relazioni internazionali, come anche nelle relazioni sociali sono importanti. Il Regno Unito, nella persona della Regina Elisabetta II, non può accogliere con la carrozza reale Xi Jinping: dare a lui quel dono simbolico, avrebbe detto Levi-Strauss, che non ha mai dato a nessuno. E allo stesso tempo, il Regno Unito vuole fare l’anglosfera? Chiaramente è una strategia che confligge con la posizione americana.
Toffoletto: Quali sono le cause della crisi di un paese, il Regno Unito, che ha plasmato con il suo Impero la storia a cavallo tra il XIX e il XX secolo?
Sapelli: Torno un po’ in maniera ossessiva a quello che dicevo prima: il fatto che non si è impegnata anche la Gran Bretagna in quel famoso Congresso di Vienna, che si doveva fare, fa sì che l’Inghilterra abbia perso profondamente il suo ubi consistam. E passa una crisi come quella che passava con il canale di Suez negli anni ’50, quando con la Francia manda i paracadutisti per impedire la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser. Gli Usa stanno a guardare, appoggiando sottobanco Nasser. Oggi, gli Stati Uniti e gli europei dovrebbero capire che il Regno Unito è in crisi, e invece insistono a continuare a dargli botte – tra Brexit dura, morbida. Le potenze europee dovrebbero capire che si tratta della crisi di un grande paese, che è poi la civilizzazione. Io dico sempre che tre cose hanno portato la civiltà: il cristianesimo, l’Impero Britannico e le multinazionali. Dove sono mancate una di queste tre cose è mancata la civilizzazione, che è una cosa scalare e non circolare come la cultura.
Toffoletto: L’atteggiamento dell’Ue di fronte alla Brexit potrebbe sempre spiegarsi attraverso il tabù del debito?
Sapelli: Sì, si ritorna sempre al feticcio del debito, come criterio ultimo delle relazioni internazionali: la storia ha mostrato che si è andato avanti condonando i debiti, non esigendoli fino all’ultimo centesimo, come l’esempio della crisi Greca ci mostra. La Germania nel XX secolo non è appunto potuta ripartire grazie agli aiuti europei e americani e la cancellazione quasi integrale dei suoi debiti di guerra?
Il leader cinese Xi Jinping. Lintao Zhang/Getty Images
Insomma, l’Inghilterra è in una crisi terribile. Perché la Cina è inaffidabile. Xi Jinping non comanda nessuno. È un pregiudizio illuministico pensare che 60 milioni di comunisti controllino solo con il terrore 1.400.000.000 di cinesi. Nella relazione al Congresso del Partito Comunista cinese, c’è scritto che si devono riportare a casa i capitali esportati. E invece, il mondo è invaso da capitali cinesi: vuol dire che non controllano neanche le shadow bank o le shadow pool, le banche finte. Gli Imperatori – basta leggere Needham, Granet – non hanno mai governato la Cina. E gli Inglesi vogliono avere un’alternativa alleandosi con la Cina? E fanno questo, mettendosi in più contro i russi?
Meno male che almeno è arrivato Trump, benché pieno di contraddizioni, dice almeno che la Cina la deve smettere di inondare il mondo con le sue merci.