di Marcello Veneziani
Due cattolici veri, convinti e praticanti, intrecciano un fitto dialogo, con poche divergenze e molte convergenze, sullo stato della fede e della cristianità, della Chiesa e dei cattolici nei giorni nostri. Il filo conduttore di questa visione che si dipana attraverso dieci parole chiave, e che riassume il senso di questa ricco e a tratti accorato confronto, è il senso della decadenza della Chiesa, come suggerisce il titolo del libro. È come se la Chiesa ai tempi di Bergoglio, fosse in croce: inchiodata in alto dalla perdita della verità e dall’oblio di Dio, in basso dal suo ridursi a soccorso umanitario e centro d’accoglienza; ai lati trafitta da una parte dal cedimento alla cultura protestante e dall’altra dall’apertura unilaterale al dialogo con l’Islam. In questo crocevia, la Chiesa perde la sua luce, la sua aura e i suoi fedeli, si svuotano le chiese, perde forza il messaggio cristiano, si confonde con lo spirito del mondo e le organizzazioni umanitarie.
Aurelio Porfiri e Aldo Maria Valli hanno storie diverse e percorsi diversi; il primo è un musicista vissuto a lungo in Asia, il secondo è un vaticanista, osservatore e studioso del mondo cattolico. Ma sono uniti dalla fede, da molte letture ed esperienze di fede e la loro sintonia non si può ridurre all’appartenenza a un presunto fronte ultra-tradizionalista. Avverte Valli: “Siamo semplicemente cattolici”.
Cosa rimproverano Porfiri e Valli alla Chiesa di Bergoglio? Il suo compiacere il proprio tempo allontanandosi dalla Verità di Dio. “Una Chiesa che vuole apparire amichevole e simpatica – nota Valli – una Chiesa che tralascia il discorso sulle cose ultime per dedicarsi ai temi sociali è una Chiesa che fatalmente tradisce il Vangelo di Gesù e diventa relativista. E una Chiesa relativista, che rinuncia alla potestas docendi e si compiace del suo essere amichevole e simpatica, che altro può proclamare se non il dogma del dialogo?” Valli dice di avere l’orticaria per il dialogo e Porfiri fa notare “l’ironia del fatto che noi stiamo contestando il metodo del dialogo attraverso un dialogo”. Ma il dialogo presuppone la fede nella verità e non il suo congedo. Credere che dal dialogo tra gli uomini possa sortire la verità perduta, significa voltare le spalle a Dio, convertirsi a quello che Bergoglio chiama “nuovo umanesimo”. Un’espressione che è stata per secoli retaggio delle culture laiche, massoniche, illuministiche; tutto meno che della cristianità.
Rincorrere i luterani, aprire le porte agli islamici, dialogare con gli atei e i nichilisti, giacché il fine è l’umanità, la difesa dell’ambiente, l’integrazione. Questo è il disegno umanista di Bergoglio e la sua pretesa etico-educativa.
La Santa Madre Chiesa, dicono i due autori, è quasi completamente caduta in preda alla follia ideologica. Perché è successo? Perché molti uomini di Chiesa (anche donne) hanno voluto mettere l’uomo al posto di Dio. È così che si passa dalla fede all’ideologia, “dai comandamenti divini, voluti dal Padre per il nostro bene, ai comandamenti umani, voluti dagli uomini nell’illusione di poter fare da soli”. L’autonomia dell’uomo e la sostituzione del divino è quanto di più irreligioso possa maturare in seno alla chiesa, un cedimento nel nome della misericordia allo spirito peggiore della modernità, una perdita del magistero stesso della Chiesa. Il risultato però è paradossale: la Chiesa perde il suo ruolo pastorale ma cresce nelle sue pieghe il clericalismo, che è il volgersi alla sfera temporale, “una forma di secolarismo che attacca la Chiesa dall’interno”, nota Porfiri.
Una divergenza tra i due interlocutori emerge sul tema dell’identità, a cui Porfiri sembra essere più legato, ma Valli sottolinea che lui ne respinge gli abusi e non il principio in sé. Il tema di fondo che anima il dialogo tra Porfiri e Valli, intessuto di pensieri, confronti ed esperienze, è la perdita della dimensione verticale a vantaggio della dimensione orizzontale, collettiva, dialogica, sociale, filantropica. La perdita dell’eterno nel temporale.
È netta la divaricazione tra due modi d’intendere la fede: quella concepita alla luce della tradizione cattolica come fedeltà a Dio e alla Chiesa, tramite la preghiera, la liturgia, l’amore per la verità; e l’altra intesa dal nuovo umanesimo bergogliano come carità, misericordia, soccorso umanitario, perché in ogni volto, in ogni persona c’è il volto di Cristo, a cominciare dai più poveri e dai più lontani. Nel primo caso è centrale il Mistero, la Resurrezione, l’Immortalità; nel secondo è cruciale la solidarietà, la fratellanza, la redenzione sociale. Quest’ultima scelta vuole riannodare la Chiesa di Bergoglio, tramite il Concilio Vaticano II, al Cristianesimo delle origini, saltando duemila anni di tradizione cattolica, millenni di dottrina della Chiesa e di pensiero cristiano, migliaia di martiri, santi e testimoni della fede. Come se la Chiesa avesse preso nei secoli un colossale abbaglio e avesse seguito una millenaria distorsione del suo compito, e solo oggi abbia la giusta percezione della sua missione nel mondo. Ed ora volesse correggersi, anzi diventare “evangelicamente corretta” tornare alle origini, povera e nuda, dialogica e caritatevole. Anche se poi il dialogo, la tolleranza, l’apertura si arresta quando ha davanti i cattolici della tradizione. A dimostrazione di quel che diceva Augusto del Noce: i cattolici progressisti si sentono più vicini ai progressisti non cattolici che ai cattolici non progressisti; ossia per loro è fondamentale l’essere progressisti, e accessorio l’essere cattolici e credenti.
Ma la Chiesa di Bergoglio ha fatto un salto ulteriore nel suo dialogo con gli atei, gli islamici e i protestanti e mostrandosi sempre meno attenta ai cristiani perseguitati nel mondo e ai cattolici che mantengono viva la fede nonostante tutto. Prevale la logica di preferire i lontani ai vicini, i diversi ai simili, gli stranieri ai compatrioti, i non-cristiani ai cristiani. Una logica contro la realtà, contro la natura delle relazioni umane, contro l’indole degli affetti e delle consonanze, contro ogni senso comunitario. E’ come se la Chiesa di Bergoglio nel tentativo di riportare il Cristianesimo alle origini, stia entrando, al contrario, in una specie di postcristianità.
Da qui il titolo Decadenza, che è forte ma meno drastico di quanto si possa pensare: la decadenza non è ancora la morte, e forse – col soccorso della Provvidenza- è reversibile, come le stagioni. Viviamo l’autunno della Cristianità, l’inverno della Chiesa cattolica.
MV, Prefazione a Decadenza di A.Porfiri e A.M.Valli (ed. Chora, 2020)
Leggere integralmente il contributo che monsignor Carlo Maria Viganò ha fatto pervenire ad Aldo Maria Valli. Si tratta di una risposta al giornalista Stephen Kokx e non esito a definirla determinante, decisiva.
A.M.V.
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