LE APORIE DEL LIBERALISMO CATTOLICO NEL PENSIERO DI DARIO ANTISERI. Di Luigi Copertino.

LE APORIE DEL LIBERALISMO CATTOLICO NEL PENSIERO DI DARIO ANTISERI.

on giu 06, 2016

In un articolo, pubblicato sul Corriere della Sera del 7 gennaio scorso, Dario Antiseri ci ricorda, con doverosa teoria di citazioni, quanto tutti noi dobbiamo al Cristianesimo in termini di affermazione della libertà e del primato della coscienza personale sul potere, sempre tendenzialmente assolutizzante, dello Stato.

Ora, a parte che Antiseri dimentica che di potere dello Stato può parlarsi, in modo appropriato, solo a partire dal XVI secolo, ossia da quando lo Stato quale forma del Politico, compare sulla scena storica, mentre in precedenza si deve parlare piuttosto di Autorità politica onde ricomprendere in una definizione necessariamente unitaria tutte le forme di Comunità politica pre-statuali, c’è tuttavia un punto debole, fortemente debole, nel suo ragionamento, che di seguito spiegheremo. Non prima di aver doverosamente riferito sui contenuti principali dell’argomentazione del noto filosofo.

Cogliendo senza dubbio un aspetto saliente e veritativo della questione, Antiseri scrive: «… con il messaggio cristiano aveva fatto irruzione nella storia degli uomini l’idea che il potere politico non è il padrone della coscienza degli individui, ma che è la coscienza di ogni uomo e di ogni donna a giudicare il potere politico. Per il cristiano solo Dio è il Signore, l’Assoluto. È per decreto religioso che Káysar non è Kỳrios. Con ciò, il potere politico veniva desacralizzato, l’ordine mondano relativizzato e le richieste di Cesare sottoposte al giudizio di legittimità di coscienze inviolabili, di persone “fatte ad immagine e somiglianza di Dio”».

E poi, sempre con zelo di verità, aggiunge: «La Grecia ha passato all’Europa l’idea di razionalità come discussione critica e, in questo senso, per dirla con P. B. Shelley, “noi tutti siamo Greci”; ma non fu la Grecia a passare all’Europa i suoi dèi. Questi, come ha scritto Giovanni Reale, erano già stati resi vani dai filosofi a cominciare dai Presocratici, Senofane in testa. Il Dio delle popolazioni europee è il Dio della Bibbia e del Vangelo. Che cosa sarebbe l’Europa o, ancor più esattamente, l’Occidente senza il Cristianesimo? Wilhelm Röpke: “Soltanto il Cristianesimo ha compiuto l’atto rivoluzionario di sciogliere gli uomini, come figli di Dio, dalla costrizione dello Stato e, per parlare con Guglielmo Ferrero, di demolire l’esprit pharaonique dello Stato antico”. Ed ecco, da parte sua, cosa, “per semplice osservanza della verità”, volle precisare Benedetto Croce in “Perché non possiamo non dirci cristiani”: “Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto”. E la ragione di ciò, precisa Croce, “è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità”. E, dopo Croce, Karl Popper: “Riconosco – egli scrive ne “La società aperta e i suoi nemici” – che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influenza del Cristianesimo […]. I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa”. E la coscienza, quale ultima corte di giudizio nei confronti del potere politico, in unione con l’etica dell’altruismo, “è diventata la base della nostra civiltà occidentale. È la dottrina centrale del Cristianesimo (“ama il prossimo tuo”, dice la Scrittura, e non “ama la tua tribù”) ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche che sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata”».

Ed ancora, significativamente, Antiseri osserva: «Scriveva, dunque, Laboulaye: “I palazzi dei papi hanno rimpiazzato il palazzo di Cesare; il Vaticano parla di potenza alla Chiesa; ma al di sotto di questo splendido edificio ci sono le catacombe, le quali parlano di libertà”. Un’idea – questa – sulla quale solo qualche anno fa è tornato ad insistere l’allora card. J. Ratzinger, vale a dire “sulla discussione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato […] Lo Stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberaldemocratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa”».

Dario Antiseri cerca, così, di dimostrare che la base più autentica e vera del liberalismo è nel Cristianesimo. Ma egli, per raggiungere il suo prefissato scopo, usa le sue fonti, mischiando autori fra loro del tutto diversi, dall’ordoliberale Wilhelm Röpke al teologo, piuttosto critico verso la modernità, Joseph Ratzinger, con una metodologia alquanto discutibile e poco “scientifica”, quanto invece molto “apologetica”.

Non a caso egli da un lato sorvola su un paio di fondamentali passaggi di Ratzinger, sui quali torneremo fra breve, che dicono tutto circa il limite dell’apprezzamento cristiano per il liberalismo – “Lo Stato è importante …” “Anche se poi il pensiero liberaldemocratico ha preso le sue strade” – e dall’altro lato è costretto a riconoscere, in cauda, che qualcosa non ha funzionato nel rapporto, anche filosofico, tra Cristianesimo ed esiti liberali dell’odierna Europa e dell’odierno Occidente. Lo fa citando un cattolico tutt’altro che incline a simpatie per il liberalismo, un autore di simpatie politiche monarchiche, vicino per certi versi al pensiero dell’Action Francaise e sicuro simpatizzante per il fascismo italiano, ossia Thomas S. Eliot.

Scrive, infatti, Antiseri, lamentando le contraddizioni del pensiero laicista: «E all’attenzione di quanti, in nome di un laicismo – non di rado dai tratti fondamentalisti – immaginano una società sconsacrata, mi permetto di sottoporre un pensiero di Thomas S. Eliot: “Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura; e allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie”».

Appunto! La secolarizzazione, anche quella del Politico, ha preparato la strada per la barbarie esplosa nel XX secolo nelle forme del totalitarismo moderno ma – ed è questo che i cattolici liberali come Antiseri non sanno cogliere – ora quella stessa barbarie si è stabilmente affermata nelle forme anti-politiche della globalizzazione neoliberista, in particolare di quella finanziaria, che al posto dell’antico Leviatano statuale ha innalzato il nuovo, e più totalizzante, Leviatano del Mercato Mondo, più adatto alla postmoderna società liquida eppure del tutto consequenziale con gli stessi presupposti filosofici del vecchio individualismo sul quale si fondava lo Stato moderno.

Queste aporie nel pensiero cattolico liberale, latenti per quanto alla lunga evidenti, trovano spiegazione in quello che poc’anzi abbiamo definito, in relazione alle argomentazioni di Dario Antiseri, “punto debole”.

Infatti, se è vero che la Rivelazione cristiana ha desacralizzato la Comunità politica, è altrettanto vero che ne ha messo in rilievo la “naturalità”. Da Aurelio Agostino fino a Tommaso d’Aquino, dagli Scolastici di Salamanca fino al Magistero moderno dei Papi, la Comunità politica, alla luce della Fede cristiana, è accolta nella sua verità ontologica di spazio umano naturale e, con ciò stesso, ne viene negata la pretesa base contrattuale o volontaristica. La Rivelazione cristiana nega del tutto alla Comunità ed all’Autorità politica ogni presunta base soggettivista, e quindi anche decisionista.

Quest’ultimo, il soggettivismo, è stato introdotto dalla modernità in tre modalità: quella “autoritaria” di Thomas Hobbes, quella “totalitaria” di Jean Jacques Rousseau e quella “individualista” di John Locke. Nessuna di queste tre modalità è compatibile con la Fede cristiana e la  visione del Politico che da essa deriva. Per la quale se è vero che l’Autorità politica non è onnipotente, è altrettanto vero che, per natura, essa esercita il suo ruolo legittimamente. E detto ruolo, pur variando a seconda delle circostanze storiche, non è affatto minimalista come ritengono i liberali, anche cattolici.

Quindi la Comunità politica è limitata ma al tempo stesso è definita dal diritto di natura che è espressione sul piano immanente della Legge Eterna trascendente. Il giudizio morale sull’Autorità politica non attiene alla coscienza in quanto capriccio soggettivista, secondo gli schemi dell’individualismo liberale, ma alla coscienza “retta” ossia consapevole dell’imperatività del diritto di natura e consona con esso.

Nel suo realismo la Rivelazione cristiana non conosce affatto l’individuo, fantoccio astratto inventato dall’illuminismo, ma esclusivamente la persona, ontologicamente concreta, che per natura, per diritto di natura, non si da mai solipsisticamente ma sempre essenzialmente come relazione (ed appartenenza) comunitaria. La persona umana è sempre relazione ad immagine della SS.ma Trinità che è, ad intra, relazione tra le Divine Persone nell’Unità della medesima Natura. Se la persona umana, pertanto, è il fondamento stesso, di natura, del Politico, proprio il suo carattere naturale, di diritto naturale, rende l’Autorità politica soggetta al giudizio morale, prima che del singolo, della Chiesa che le è sovra-ordinata. Giudizio morale, quello della Chiesa, fondato sull’istanza ultima – la Legge Eterna – che fonda anche il diritto naturale.

Antiseri, citando Benedetto Croce, dimentica che proprio questo, ovvero la sovra-ordinazione del giudizio morale desumibile dalla Fede cristiana ma veicolata dalla Chiesa (e se non si accetta tale veicolazione, come appunto tendono a fare i liberali, si cade inevitabilmente nel protestantesimo), è quanto era rifiutato dal filosofo liberale di Pescasseroli. Da mero “cristiano culturale”, oggi diremmo “cristianista”, Benedetto Croce considerava (a ragione dal suo punto di vista) incompatibile il liberalismo con il Cristianesimo in quanto – come egli ebbe a scrivere – la coscienza, dal Croce intesa nel senso individualistico e soggettivistico, nel “sistema cristiano” (sic!) sarebbe coartata da una Autorità, quella papale ed ecclesiale, che pretenderebbe di guidarla alla felicità ultramondana dichiarandosi detentrice unica della Verità. Per Benedetto Croce, invece, la realizzazione della felicità non può che essere esclusivamente mondana e la sua ricerca un fatto esclusivamente attinente alle scelte imponderabili ed insindacabili dell’individuo.

Antiseri poi dimentica che, in realtà, sotto il profilo storico e filosofico, lo Stato, quale forma moderna del Politico, ha per fondamento lo stesso astrattismo razionalista che è alla base del concetto, astratto, di individuo, tanto è vero che Stato, Individuo e Mercato – “mercato” nel senso moderno assolutistico di libertà economica incondizionata e non in quello, esistente anche nell’antichità, di scambio vincolato da una fitta rete di rapporti sociali – nascono, storicamente, insieme tra XV e XVI secolo.

Se, da parte nostra, ammettiamo, senza remore, che nella storia è potuto accadere che la sovra-ordinazione del giudizio morale desumibile dalla Fede veicolata dalla Chiesa sia stata a tal punto malintesa da giustificare la teocrazia, come nel caso dell’agostino medioevale (che non ha nulla a che fare, se non nel senso di una interpretazione certo possibile ma inautentica, con il pensiero di Aurelio Agostino), non possiamo, però, non osservare che è esattamente la sottovalutazione della “frattura”, intervenuta nella modernità, tra il modo cristiano di concepire la coscienza, ed i suoi diritti/doveri, e quello moderno ed appunto “neopagano”, anche nella sua forma liberale, a costituire il sassolino che fa vacillare tutto il bel e fiorito ragionamento di Antiseri.

Il quale, come si è visto, a sostegno della sua tesi, cita persino Joseph Ratzinger ma senza rendersi conto, o nascondendo, che – lo abbiamo già accennato – proprio il Papa emerito afferma, nel testo usato da Antiseri, esattamente quanto da noi ora sostenuto ossia che tra la radice cristiana della desacralizzazione dell’Autorità politica e la deriva soggettivista del liberalismo vi è un salto, storico e filosofico, del tutto evidente.

Joseph Ratzinger afferma, e non nega, il ruolo, di natura, dello Stato definendolo importante. Il Papa emerito, altrove (Cfr. “Rapporto sulla fede”, libro intervista scritto con Vittorio Messori), ha sottolineato la stretta parentela tra permissivismo etico e permissivismo economico, ossia tra relativismo morale ed individualismo. Ed anche nel passo citato da Antiseri viene sottolineata questa parentela. Leggiamo bene, per favore, prima di utilizzarlo in modo inappropriato. Ratzinger, infatti, scrive della distinzione: «… tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato […] » per aggiungere subito dopo: «Lo Stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberaldemocratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa».

Ecco il punto, ecco la questione cruciale e fondamentale che rende inconsistente l’approccio catto-liberale! Il Cristianesimo fonda una storia di libertà, senza dubbio. Ma si tratta di una storia interna e subordinata sia alla Comunità, nella quale la persona è per natura inserita sin dalla nascita – non, dunque, per sua scelta volontaria neanche riguardo la professione dato che in essa si esplicano le doti naturali da Dio donate al singolo –, sia al primato della Verità. Il liberalismo, con il suo fondamento contrattualista, volontarista, soggettivista (e se ci si ragiona, in ultimo, razionalisticamente costruttivista), del Politico ha preso la sua strada. Una strada molto differente ed assolutamente divergente dal retaggio, di fede e di cultura, cristiano apostolico. Si tratta della strada che ha portato l’Occidente alla sua dissoluzione anarco-individualista, in essenza nichilista. La strada che, nell’affermazione, parallela e strettamente connessa a quella dell’individualismo economico, dei presunti “diritti civili”, ha legittimato l’aborto, l’eutanasia, il contrattualismo sessuale (leggasi coppie di fatto e convivenze etero ed omosessuali).

L’Italia, parte di questo degenere Occidente, con la legge Cirinnà, ha anch’essa, benché ultima, legittimato le cosiddette “unioni civili” aprendo contemporaneamente, nonostante quel che ne pensano alcuni, la via anche all’adozione di figli da parte di coppie omosessuali ed all’utero in affitto, che ben presto, magari complice una giurisprudenza anticipatrice, interverranno sul piano legislativo.

Quel che non si comprende, invece, è se i catto-liberali si rendono conto che questa deriva etica è soltanto, ed inevitabilmente, l’esito dei presupposti stessi del liberalismo e che è solo un loro “pio” desiderio quello di un “liberalismo diverso”, “religioso”, il quale non esiste né mai è esistito nella storia. Non ci risulta, in proposito, additabile alcun esempio storicamente concreto dato che quello americano, che i liberali solitamente indicano, non è tale giacché esso costituisce soltanto l’apoteosi dell’indifferentismo e del relativismo. I liberali, anche quelli cattolici, sembrano assumere, di fronte alle dure repliche e smentite della realtà, lo stesso atteggiamento di quei comunisti che, nel tentativo di salvare idealità magari nobili ma in una certa notevole misura utopiche, distinguono tra “socialismo reale”, sempre imperfetto, e “socialismo ideale”, ancora da inverare.

Neanche, però, il “liberalismo reale” è giustificabile, tantomeno cristianamente, in nome del sogno di un supposto “liberalismo ideale”.

Luigi Copertino

Dal sito www.domus-europa.eu