Raffaele Giovanelli
Le prime macchine che hanno svolto un ruolo storico importante sono state le grandi navi per la navigazione in alto mare, lontano dalle coste. Queste navi comparvero alla fine del Medioevo. Durante l’era di Bisanzio le navi da guerra erano dotate di un’arma segreta potentissima: il fuoco greco, una specie di napalm, un lanciafiamme che inceneriva le navi avversarie e che mantenne a Bisanzio la superiorità in mare.
Seguendo le navi, ed in particolare le navi per navigare gli oceani, si parlerà un po’ di tutta la storia, dalla fine del Medioevo in poi.
Prima le navi da trasporto erano a remi ed a vela quadra, lente e difficili da manovrare.
Le grandi navi oceaniche si basarono esclusivamente sulla vela, che divenne molto complessa, in grado di spingere la nave con vento obliquo.
L’espansione della potenza delle nazioni marinare europee avvenne grazie ai progressi conseguiti nella navigazione a vela. Venezia fu la prima potenza a riconoscere l’enorme importanza delle navi. Venezia realizzò il primo cantiere navale a ciclo integrale, in grado di mettere in mare una flotta militare entro un mese. Ma Venezia per ragioni geografiche e politiche venne esclusa dalla corsa alla conquista delle nuove terre.
Guardiamo una caravella con cui Colombo attraversò l’Atlantico. Con navi come questa, ed in seguito un po’ più grandi, alcuni paesi europei in concorrenza ed in lotta tra loro, hanno conquistato il mondo, in gran parte sconosciuto all’inizio di questa grande avventura.
La Santa Maria confrontata con la nave di Zhen He 134 metri, la Santa Maria 21 – 22 metri
Il confronto con le navi cinesi è umiliante. Anche se le grandi navi a vela raggiunsero in Europa grande efficienza, furono i cinesi i primi a costruire le navi a vela più grandi e sicure. Tuttavia i cinesi non capirono il ruolo che le loro gigantesche macchine avrebbero potuto svolgere e quindi non entrarono nella gara per la conquista del mondo. Per di più i cinesi avevano l’incubo delle ricorrenti invasioni dei mongoli. Essi intrapresero la navigazione dei mari attorno alla Cina nel 1405. Le navi cinesi avevano un sistema propulsivo molto più articolato delle semplici vele delle navi europee. Nel 1644 i Manciù prendono Pechino e la Cina subirà un crollo che la allontanerà definitivamente dalla gara per il dominio del Mondo. Ma due secoli e mezzo prima del crollo era la Cina ad un passo dalla conquista.
I progressi nelle tecniche di navigazione a vela avranno enormi conseguenze umane, religiose e politiche. Cominciamo con l’avventura cinese.
Quando la flotta imperiale (1) si fermò alle porte dell’Europa
Da un articolo di Federico Rampini“Seicento anni fa salpava dalla capitale imperiale di Nanchino una flotta di 208 navi fra ammiraglie, bastimenti militari, vascelli per la ricerca scientifica, grandi giunche mercantili per il trasporto di truppe, di cavalli, di sete preziose e di acqua potabile. Era una flotta con 28mila uomini a bordo. … Dal 1405 al 1433 la flotta dei tesori effettuò sette spedizioni, che la portarono ad esplorare e colonizzare i paesi affacciati sull’Oceano Indiano.Le rotte della grande flotta cinese a partire dal 1405
I cinesi sapevano molte cose sull’Europa. Sapevano che il suo livello di sviluppo era basso quindi non ne erano attratti; non si spinsero fino alle rive del Mediterraneo perché sapevano di trovarvi solo lana, vino e poco altro che volessero comprare. In un’epoca in cui una parte dell’Europa doveva ancora uscire dall’arretratezza del Medioevo, e le repubbliche marinare italiane erano troppo piccole per competere con la Cina, questa era l’unica superpotenza mondiale. L’autorità del suo imperatore Zhu Di – che si faceva chiamare Yongle cioè “gioia eterna” – si estendeva sui mari dalla Corea al Giappone, dall’India all’Indonesia, dal Kenya ad Aden. Sarebbe bastato poco perché i cinesi colonizzassero l’Europa, cambiando il corso della storia. Non lo fecero, e un secolo dopo furono Cristoforo Colombo e i conquistadores a esportare il dominio dell’uomo bianco nel resto del mondo. Ma l’epopea delle spedizioni navali cinesi – ignorata dai nostri manuali di storia eurocentrici e riscoperta solo di recente da alcuni studiosi come la Levathes – è piena di sorprese. Viene ribaltata l’opinione che abbiamo avuto sulla Cina di allora. La credevamo una nazione ricca ma ripiegata su se stessa, orgogliosa e indifferente verso il resto del mondo. Tutto errato, come è falso lo stereotipo secondo cui la Cina anche al suo apogeo fu sempre e soltanto una potenza militare terrestre. Al contrario, l’imperatore Zhu Di volle lanciare le sue flotte alla conquista degli oceani, perché era un neoliberista ante-litteram. Ripudiando la saggezza della scuola confuciana, convinta che l’unica fonte di stabile ricchezza fosse l’agricoltura, Yongle incoraggiò invece i mercanti e gli scambi internazionali. Era convinto che la Cina aveva tutto da guadagnare dalle esportazioni. «Ora gli abitanti dei quattro mari siano una famiglia sola – decretò l’imperatore della dinastia Ming – che fiorisca il commercio alle nostre frontiere, e dai paesi lontani gli stranieri siano benvenuti fra noi». Zheng He venne promosso grande ammiraglio all’età di 34 anni dopo essere stato un brillante generale dell’esercito. Era un eunuco…. per le consuetudini cinesi era rarissimo che un eunuco arrivasse ad eccellere nell’arte della guerra. L’ammiraglio aveva un’altra peculiarità: era musulmano, a testimonianza di un’epoca in cui la Cina era un crogiuolo etnico-religioso e un modello di tolleranza. La grande flotta che salpò nel 1405 era erede di una straordinaria tradizione navale cinese, quasi certamente la più antica nella storia dell’umanità. … Gli archeologi considerano seriamente anche la possibilità che dei navigatori partiti dalla Cina abbiano attraversato il Pacifico influenzando le civiltà pre-colombiane in Messico. La scrittura, il calendario, la scultura dei Maya presentano somiglianze sconcertanti con le tradizioni dei cinesi e di altri popoli buddisti dell’Asia. Le imprese marittime furono possibili grazie all’antica superiorità cinese nella scienza e nelle sue applicazioni. Mille anni prima di Copernico e Galileo l’astronomo Zhang Heng aveva stabilito con certezza che la terra è rotonda. Dal sestante alla polvere da sparo, tutte le tecnologie decisive per le esplorazioni e per i combattimenti navali videro la luce in Cina con diversi secoli d’anticipo sull’Europa. Quando Marco Polo arrivò alla corte del Khublai Khan nel 1275, i cinesi avevano già sottratto da tempo agli arabi la supremazia nella marina mercantile sulle rotte tra l’Africa e l’Asia. Nel porto di Quanzhou sulla costa del Fujian Marco Polo scoprì giunche gigantesche usate per sfidare gli oceani: avevano almeno quattro alberi, sessanta cabine individuali, trecento membri di equipaggio e perfino dei giardini pensili. Una sola di quelle giunche cinesi avrebbe potuto contenere la Nina, la Pinta e la Santa Maria (le tre caravelle di Colombo) tutte insieme. …La maggior parte delle navi avevano quattro ponti e una stiva di stabilizzazione con terra e pietre; catapulte incendiarie e cannoni con polvere da sparo; prue rinforzate per resistere all’urto delle barriere coralline. Le ammiraglie arrivavano a 146 metri di lunghézza e 60 di larghezza: tuttora fra le più grandi navi di legno mai costruite. Lo scrittore Lou Maotang nel XVI secolo ha redatto una dettagliata cronaca delle spedizioni navali dei Ming. Le grandi navi del tesoro – quelle riservate ai comandanti e ai carichi più pregiati – avevano otto alberi, lussuosi saloni di rappresentanza, ponti coperti. Tra i tesori nella stiva figuravano le porcellane Ming delle manifatture imperiali, e le tappezzerie di seta kesi. Ogni nave militare possedeva 24 cannoni di bronzo in grado di sparare granate esplosive, armamenti che nessuno era in grado di eguagliare. Grazie all’indiscussa superiorità militare della Cina la funzione di quelle armi era soprattutto dissuasiva. L’ammiraglio Zheng He ebbe raramente bisogno di combattere, poiché tra i suoi compiti non c’era l’annessione di terre straniere: non era necessario. Fece alcune operazioni di polizia internazionale, ripulendo i mari dai pirati, o scaramucce brevi con vassalli riottosi in Giappone. Erano episodi minori in una “pax cinese” che regnava incontrastata. Dalla Corea a Calcutta, dalla Somalia alla Tanzania i sovrani locali esibivano rispetto e sottomissione verso la dinastia Ming. Ancora ai nostri giorni sulle coste del Kenya abitano famiglie di mulatti africani che si definiscono «dalla faccia rotonda», forse i lontani discendenti dei marinai cinesi della flotta del tesoro. Nel 1433, nel corso della settima ed ultima spedizione, Zheng He si ammalò e morì in mezzo all’Oceano Indiano. Aveva 62 anni. Negli ultimi 28 aveva percorso 50mila chilometri e visitato 37 paesi. Il destino volle che la morte dell’ammiraglio coincidesse con una svolta politica dalle conseguenze profonde. Minacciati dalle incursioni delle orde di mongoli e tartari, i Ming furono costretti a una revisione strategica radicale. Spostarono la capitale da Nanchino a Pechino, situata molto più a Nord, senza sbocchi sul mare. La potenza navale non era più una priorità militare. Di colpo la difesa dei Cinesi si giocava sulla terraferma. La svolta strategica si accentuò fino al XVII e XVIII secolo sotto la dinastia Qing: l’impero lanciò campagne di conquiste terrestri che ingigantirono la sua estensione incorporando il Tibet, lo Xinjiang, la Mongolia e la Manciuria. Quella espansione continentale allargò le frontiere fino a disegnare le dimensioni della Cina odierna. La morte di Zheng He segna uno spartiacque simbolico, tra la storia che poteva essere e quella che è stata davvero. La Cina si ritirò dai mari proprio quando le nascenti potenze europee osavano affacciarsi sempre più lontano dal Mediterraneo. La ritirata della potenza cinese dai mari del sud-est asiatico aprì nuovi spazi di conquista agli europei.” |
Intanto in Cina, chi aveva a cuore gli interessi dei mercanti cinesi, minacciati dalla quantità di nuove mercanzie provenienti dalle terre raggiunte dalla grande flotta, fece approvare leggi miranti a negare la possibilità di ulteriori esplorazioni. La flotta venne distrutta, e in capo al 1500, era illegale in Cina costruire vascelli che avessero più di due alberi. Dal 1525, i vecchi vascelli a due alberi vennero sequestrati e distrutti sistematicamente, e gli equipaggi arrestati.
Nel 1434 Enrico il Navigatore, terzo figlio del re del Portogallo, inviò una missione al comando di un certo Gil Eannes fino alle coste dell’Africa occidentale. Qui Eannes non incontrò la flotta cinese, per il semplice fatto che la flotta era stata richiamata e stava per essere smantellata. Enrico, grazie a Eannes prima, e a Vasco de Gama poi, gettò le basi di quello che sarebbe stato il primo impero globale eurocentrico.
La domanda è: perché la conquista del mondo fu fatta dagli europei?
Anche Fernand Braudel (2) si era posto la stessa domanda: “Ma perché la civiltà europea e non un’altra civiltà o, eventualmente, una cultura? … In realtà soltanto due civiltà – l’Islam e la Cina – avrebbero potuto contendere all’Europa la vittoria che il Vecchio Continente si sarebbe poi definitivamente aggiudicata. L’Islam è stato probabilmente penalizzato dai suoi passati successi. Dal punto di vista economico l’Islam è, in quel periodo, la potenza da secoli preponderante nel Vecchio Mondo, in quanto controlla la maggior parte delle vie di comunicazione traendone grandi profitti in tutta l’Eurasia. L’Islam non avrebbe avuto alcun interesse a superare i confini della sua area di influenza. La Cina ha una fitta rete di relazioni marittime con paesi a breve distanza. ”
Caracca, forse la prima nave a vela europea per navigare in alto mare
Non pare che a questa domanda sia stata data una risposta soddisfacente. Eppure sarebbe importante dare risposte valide e convincenti perché nel mondo globalizzato di oggi non sappiamo quale ha da essere il ruolo dei paesi che sino a prima della seconda guerra mondiale dominavano il pianeta.
La prima risposta venne dall’Illuminismo: la razza bianca era superiore a tutte le altre, quindi aveva il diritto-dovere di governare su tutti gli altri popoli. Questa idea nella storia non era mai sorta prima. Per di più si cercò di dare una giustificazione scientifica a questa convinzione. Questo è proseguito sino a tempi molto recenti e sopravvive in modo mascherato presso molti popoli. In particolare gli ebrei hanno sempre dato una giustificazione religiosa alla loro convinzione di essere il popolo eletto.
Quando si celebrano i fasti dell’Illuminismo si dimentica il suo ruolo ideologico nel giustificare lo sfruttamento dei popoli che vivevano nelle terre conquistate. Questo sfruttamento venne giustificato anche per i lavoratori europei per tutto il XIX secolo, compreso il lavoro imposto ai bambini, particolarmente utili per intervenire nelle macchine tessili.
Rispetto agli altri popoli una differenza c’era: gli europei erano cristiani e questo dava loro il compito di evangelizzare tutti i popoli della Terra. Peccato che questa nobile missione sia stata degradata dalla volontà di arricchire sul lavoro e sullo sfruttamento dei popoli. Ma il valore e la forza del messaggio cristiano non viene cancellato dall’infamia dello schiavismo, praticato in diverse forme anche nella stessa Europa. Solo che qualche volta il Supremo Dio manda qualche segnale della sua disapprovazione.
Quando i cinesi, quasi un secolo prima degli europei, si avventurarono nella conquista del mondo, avevano intenzione di creare una rete di alleanze legate principalmente da patti di non aggressione e da scambi commerciali. Grazie alla loro enorme superiorità navale ed alla loro tecnica erano di fatto la nazione guida.
Cosa fecero gli europei
Gli europei si mossero portandosi dietro le loro contraddizioni. Rapina e sfruttamento violento erano propri delle società europee. Le scoperte di nuove terre diventarono conquiste, possesso illimitato con le popolazioni locali non considerate umane ma animali da lavoro. Questo creava un conflitto con la fede cristiana. I gesuiti, che nelle nuove colonie avevano creato strutture sociali cristiane, autonome, avrebbero impedito lo sfruttamento schiavistico e quindi avrebbero limitato i guadagni dalle risorse delle colonie. La Chiesa, che si era schierata a difendere i regnanti, riceveva in cambio da questi ostilità e disprezzo. La nobiltà era ansiosa di arricchire e voleva mano libera per trasformare in schiavi le popolazioni delle colonie. Questo desiderio di arricchire verrà ereditato dalla borghesia.
Mentre la Chiesa alla fine accettava la chiusura dell’Ordine dei Gesuiti, contemporaneamente, senza troppo rimpianto, doveva abbandonare le sue antiche attività sociali, alienandosi il favore delle popolazioni europee che si stavano insediando attorno alle nascenti industrie. In realtà la Chiesa era divisa tra l’alto clero, formato in prevalenza da nobili, ed il basso clero, che veniva dal popolo e si prodigava per il popolo. Così la Chiesa fece due errori contemporaneamente. Appoggiò le case regnanti, inimicandosi la borghesia rivoluzionaria. Per coerenza dovette dichiararsi contro la schiavitù e lo sfruttamento nelle colonie, ma non seppe sostenere la stessa linea in Europa, contro lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria. Così si alienò il favore delle classi operaie.
Dice Braudel che l’Occidente superò nettamente la Cina e l’Islam con l’occupazione del Bengala nel 1764 ad opera di lord Clive e con la guerra dell’oppio (1839 – 1841). Si dovrebbe aggiungere anche la conquista dell’India ad opera degli inglesi, che seppero sfruttare l’insofferenza delle popolazioni indiane verso il dominio degli imperatori Mogul.
Dapprima l’Europa ha controllato le rotte marittime e gli scambi tra India, Cina e Giappone. Ma se voleva le merci asiatiche doveva pagarle, magari con l’oro che veniva dall’America. In realtà Braudel non riesce ad indicare alcuna causa che giustifichi la superiorità europea. Alla fine cita un argomento che oggi sappiamo non aver avuto alcun peso. Braudel ricorda l’economista belga Fernand Baud’huin che nel 1959 ascoltò le parole profetiche del Prof. Medi, italiano, nel ruolo per lui improprio di presidente dell’Euratom. Medi profetizzava le meraviglie di un futuro beneficiato dalla diffusione dell’energia atomica, che avrebbe ripetuto il miracolo dell’energia ottenuta dalle macchine a vapore. Baud’him scrisse: “Se nel 1750, all’alba della macchina industriale, il presidente di un’Eurovapore avesse annunciato l’imminente trasformazione, avrebbe di certo sbalordito il suo uditorio. Invece della forza muscolare degli uomini e degli animali, invece della potenza dei mulini a vento o ad acqua, avrebbe evocato macchine funzionanti con il fuoco, capaci di produrre energia in quantità illimitata. Avrebbe detto che le imbarcazioni a vela sarebbero state ben presto soppiantate da navi a vapore. … Egli avrebbe probabilmente suscitato la stessa impressione generata dall’annuncio fatto dal Prof. Medi di una serie di scoperte destinate a rivoluzionare il mondo e la produzione”.
In realtà attorno al 1750 ci furono alcuni illuministi che diffondevano le promesse di un futuro radioso se l’umanità avesse abbandonato le superstizioni diffuse dalla religione e si fosse affidata alla ragione, per cercare di carpire i misteri della natura. A partire dalla metà del ‘700 la strada fu lunga. Fu anche una strada irta di difficoltà e di atrocità commesse nella prospettiva di arrivare al benessere strappato alla natura, impiegando il lavoro di milioni di uomini ridotti in schiavitù, anche nella stessa Europa.
Una digressione sulla strada italiana verso il progresso
Il prof. Medi contribuì a creare un Euratom da cui i Francesi trassero tutti i vantaggi perché ne utilizzarono i finanziamenti ed i laboratori, compreso quello di Ispra, per progettare le loro centrali nucleari, le migliori mai realizzate. Anche noi italiani varammo un programma per arrivare a fare le nostre centrali nucleari, ma tutto venne affidato a Felice Ippolito, un brillante inguaribile chiacchierone, che andava dicendo che l’Italia avrebbe fatto uno sfracello in fatto di progressi nelle centrali nucleari. Gli americani stavano costruendo le loro centrali e non gradivano concorrenza, specialmente da parte di una nazione come l’Italia che doveva restare un alleato sottomesso. Purtroppo si convinsero che Ippolito parlava seriamente, gli credettero e delegarono il loro uomo di fiducia: Saragat per distruggerlo. La magistratura italiana generosamente decise di collaborare all’opera di distruzione della figura di Ippolito. Alla fine poterono condannarlo solo per aver usato illegalmente un’auto dello stato. Ma intanto Ippolito era stato messo fuori gioco, mentre noi andammo avanti senza Ippolito nel settore delle centrali nucleari e combinammo un gran pasticcio, spendendo molti soldi su progetti sbagliati ed alla fine rimediammo un referendum che metteva fuori legge l’energia nucleare. Per tentare di spiegare perché l’Europa vinse la competizione, Braudel non poteva fare una citazione peggiore.
La Chiesa e l’Illuminismo, la fede in Cristo e la fede nella ragione
Passati i secoli ruggenti delle spedizioni in terre lontane, emersero i problemi dei nuovi assetti sociali interni alle maggiori nazioni europee. Le spedizioni navali dal Portogallo, dall’Inghilterra, dalla Spagna, dall’Olanda e dalla Francia poterono continuare anche durante situazioni politiche ingarbugliate perché i navigatori europei andavano alla ventura con poche navi, con poca spese per i rispettivi governi, dove la Chiesa aveva ancora un ruolo di primo piano. I problemi sollevati dalla conquista delle colonie e dal loro sfruttamento si sommarono ai problemi sociali che nascevano dalla transizione da una società prevalentemente agricola ad un società basata sul lavoro nell’industria. Per la Chiesa non fu un incontro fortunato e venne condotto con molti equivoci e molto spargimento di sangue.
La Chiesa aveva una solida struttura piramidale, gerarchica, che si riteneva avrebbe potuto costituire un argine alla volontà sovversiva dei “lumi”. Questa idea era stata accolta già nella prima enciclica di Pio VI, con il risultato che alla fine venne sloggiato dal Vaticano ed infine fatto morire in carcere. Il Papa, che si era prodigato per creare consenso ai regnanti, neppure aveva avuto rapporti facili con alcuni regni europei, compreso il reame di Napoli.
Questo orientamento appariva sin dalla prima enciclica: Inscrutabile divinae sapientiae (1775) con cui Pio VI irrigidisce la posizione della Chiesa contro l’ Illuminismo, che Papa Braschi presentò come un prodotto del diavolo “ad seducendos fidelium animos veneno suae falsitatis”; sotto un’apparente rivendicazione di libertà, esso si proponeva in realtà di diffondere l’ateismo e portare in tal modo alla dissoluzione di tutti i vincoli sociali.
In questa situazione, descritta in termini quasi apocalittici, il pontefice chiedeva ai vescovi di mobilitarsi: non per solo attivare il braccio secolare di sovrani che, a suo avviso, non sembravano percepire il pericolo; ma per affrontare direttamente la lotta, rafforzando le istituzioni e le strutture, nate dalla controriforma; vegliando sull’ortodossia del clero per impedire infiltrazioni di dottrine nemiche (3).
Era la guerra aperta. Le posizioni espresse dal papa erano state puntualmente recepite da vasti settori dell’episcopato. Con Il Giornale ecclesiastico di Roma verrà diffuso il principio del cattolicesimo indispensabile per il sostegno ed il mantenimento del consenso politico verso i poteri costituiti. Poteri che da qualche tempo ricambiavano la Chiesa cercando di ridurne l’influenza per avere mano libera nello sfruttamento del lavoro in patria e nelle nuove terre scoperte. Quando poi i regni caddero, alla Chiesa sarebbe stata addossata la colpa di averli sostenuti sino all’ultimo. Sarebbe seguita una strage di cristiani maggiore di quelle decretate dagli imperatori romani prima di Costantino.
Due secoli e mezzo dopo ben diversamente agirà Pio XII, che, grazie alla sua fede ed alla sua grandezza umana, in condizioni anche più difficili, si trovò a confrontarsi con la Germania di Hitler e la Russia di Stalin, riuscendo a salvare la Chiesa e centinaia di migliaia di perseguitati.
Pio VI, al secolo Angelo Braschi, allora fece la sua parte: accolse a Roma circa seimila perseguitati politici provenienti dalla Francia, spendendo ben 600 mila scudi. Ma i francesi ben presto occuparono Roma e tutto lo stato pontificio. I perseguitati non ebbero una sorte felice. Anche se vogliamo dare a Pio VI un giudizio positivo come uomo di fede, si deve riconoscere che svolse nel modo peggiore possibile il ruolo politico di capo di stato. Il suo successore Pio VII non fu da meno, anzi aggiunse l’errore della restaurazione, condotta come se non fosse successo nulla.
Papa Braschi sognò il ritorno ai fasti rinascimentali, fece costruire altri splendidi palazzi dilapidando le risorse finanziarie dello stato pontificio. Non capì assolutamente nulla di quello che stava accadendo. Ostinatamente condannò tutto ciò che avveniva, condannò persino la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Alla fine del secolo seguente, i papi sogneranno addirittura il medioevo, lasciando come unica eredità positiva splendide chiese in stile romanico o gotico. Per il resto bisognerà attendere Papa Pacelli per veder risollevate le sorti del Papato e della Chiesa di Roma. Almeno sino al Concilio Vaticano II.
In Europa Inizia il dominio della ragione
Gabriele Malagrida (4), un gesuita nato a Menaggio sul lago di Como, nel 1721 ottiene di essere inviato come missionario in Sudamerica, nello Stato del Maranhão, sotto il controllo della corona portoghese. Si batte contro la schiavitù, si fa una grande fama e gli vengono addirittura attribuiti miracoli. Nel 1749 il re del Portogallo, Giovanni V, lo vuole a Lisbona come suo padre spirituale. Lo ammira, gli è devoto, così come sua moglie, Maria Anna d’Austria. Di lì a poco, però, Giovanni muore (1750) e suo figlio, Giuseppe I, nomina Malagrida consigliere per i possedimenti d’ oltremare e lo rispedisce in Brasile. Giuseppe chiama al suo fianco, come primo ministro, Sebastião José de Carvalho, marchese di Pombal, che si affrettava a varare una serie di provvedimenti antigesuitici, «preceduti», scrive Ferlan, «da un’articolata campagna diffamatoria alimentata da libelli accusatori pubblicati e diffusi in buona parte d’Europa proprio con il sostegno del primo ministro portoghese». E quando, nel 1753, Malagrida decide di tornare in Portogallo, l’accoglienza è ben diversa da quella che gli aveva riservato Giovanni V: il gesuita taumaturgo viene esiliato a Setúbal. Nel 1755, Lisbona è sconvolta da un terremoto: le vittime sono decine di migliaia, la città è distrutta quasi per intero. Fu allora, ha scritto il gesuita Guido Sommavilla in La compagnia di Gesù (Rizzoli), «che quel sant’uomo di Malagrida, e ci dispiace tanto, sbagliò, dando luogo ad una tipica controversia oscurantistico-illuministica, nientemeno che tra lui e Pombal in persona».
Predicò nelle chiese superstiti e nei campi dei rifugiati gridando che il sisma era un castigo di Dio sulla città peccatrice. Gli illuministi lo presero a bersaglio, facendone l’emblema di una Chiesa oscurantista e superstiziosa. Quel mondo illuminista che era stato indifferente alla battaglia antischiavista di Malagrida, e anzi da John Locke a Voltaire, da David Hume a Denis Diderot, quel mondo aveva accettato la schiavitù, quando non aveva addirittura «investito i propri risparmi nel commercio degli schiavi». Pombal, che per molti degli illuministi di cui sopra era ora un politico di riferimento, ritenne fosse venuta l’ora di mettere i gesuiti fuori gioco. Li fece indicare come responsabili di un’agitazione di viticoltori ad Oporto. Fece insinuare all’orecchio del Papa che fossero dediti alla «mercatura». Benedetto XIV abboccò all’amo, mandò un visitatore pontificio a compiere indagini e subito dopo morirono all’improvviso sia il Papa che il patriarca di Lisbona. In un attimo si diffuse la voce che entrambi fossero stati «avvelenati dai gesuiti», registra Sommavilla, puntualizzando che si trattava di dicerie senza fondamento.
Ma il 3 settembre 1758 ci fu un attentato (fallito) a Giuseppe I. Ne nacquero innumerevoli mormorii e ci fu con ogni probabilità lo zampino del primo ministro Pombal nella diffusione in tutta Lisbona della notizia che i gesuiti fossero seriamente coinvolti nel complotto. Molti gesuiti furono tratti in arresto. Tra loro, Malagrida. Che rimase in carcere anche quando molti suoi confratelli furono rimessi in libertà. Dopo la scoperta che la congiura era stata organizzata dalla famiglia dei marchesi di Tavora. Malagrida, che all’epoca aveva settant’anni, venne addirittura accusato di aver sedotto l’attempata marchesa di Tavora. E fu mandato al rogo, come eretico e ciarlatano, il 21 settembre 1761. Nel frattempo, due anni prima, Giuseppe I aveva firmato un decreto di espulsione dei gesuiti dal Portogallo. Così Sommavilla ne ha descritto l’esodo: «I seguaci di Sant’Ignazio furono subito arrestati, imbarcati e gettati sulla spiaggia di Centocelle nello Stato pontificio». Il generale dell’ordine, Lorenzo Ricci, fu rinchiuso a Castel Sant’Angelo dove morì nel 1775. Non al rogo come Malagrida, ma pur sempre in carcere. E lo schiavismo poté imperversare fino al secolo successivo.
– Il vero contrasto tra gli stati cattolici ed i gesuiti era nella strenua opposizione condotta dall’Ordine contro lo sfruttamento delle popolazioni indigene, ridotte a lavorare come schiavi, con la benedizione del pensiero degli illuministi. I governanti avrebbero voluto che anche la Chiesa assolvesse e benedicesse gli schiavisti, che operavano per conto della nascente speculazione finanziaria. Quando, dopo pochi anni, scoppierà la rivoluzione Francese, incoraggiata dall’Illuminismo, di cui verranno dimenticati i programmi schiavistici, tutto il risentimento popolare verrà incanalato contro la Chiesa. Il terremoto di Lisbona divenne il banco di prova dell’efficienza della ragione, il marchese di Pombal divenne l’eroe che ricostruì Lisbona (inventò edifici antisismici e resistenti al fuoco con strutture di legno incorporate nelle murature). Il marchese di Pombal divenne il simbolo di un nuova civiltà nata dall’Illuminismo. Il terremoto, che i cristiani consideravano un castigo di Dio, divenne una prova della non esistenza di Dio ed insieme la dimostrazione di come la ragione umana può vincere contro le forze ceche della natura. Kant si mise a studiare geologia. La Chiesa con la sua opposizione basata su pregiudizi aveva fornito le armi ideologiche ai suoi carnefici. Le stragi di cristiani in Francia, in particolare nella Vandea, in Spagna, in Italia, saranno terribili.
Anche per un cattolico oggi è facile credere che le forze della natura siano ceche e prevedibili solo accrescendo le nostre conoscenze scientifiche. È facile convincersi che l’ira divina non c’entri per nulla nella tragedia del terremoto di Lisbona. Ma se consideriamo le malvagità compiute, proprio dai popoli cattolici e dai portoghesi in particolare, qualche sospetto che si sia trattato di un castigo di Dio può anche sorgere. –
Distribuzione del sisma che colpì Lisbona. Ricostruzione sulla base delle notizie dei danni e sulla conoscenze attuali della crosta terrestre.
Se guardiamo la zona del terremoto sembra che il dito di Dio abbia colpito proprio il Portogallo, un popolo così cattolico, così religioso, così arricchito con il lavoro delle popolazioni trasformate in una massa di schiavi. Malagrida poteva apparire un fanatico uscito dal Medioevo. Ma forse non aveva torto di dire che il terremoto era una tremenda punizione divina. Come un personaggio del Medioevo finì i suoi giorni sul rogo, ma i conti con la storia si stanno chiudendo oggi o nei prossimi anni. La ragione ha creato la Tecnica che ha trasformato il posto dell’uomo nel mondo. Ma, tolta la fede, la regione è rimasta da sola a giustificare la vita dell’uomo. E la ragione non ci riesce, anzi ci dice che non potrà mai farlo.
Non posso dimenticare una donna malata alle gambe che era sfiduciata e rattristata perché non voleva essere di peso per la figlia, sperava di morire, ma a parte le gambe, per il resto era sana. Le dissi di pregare. Mi rispose che ai nostri giorni non ha più senso pregare. Quella donna aveva più di novant’anni. Il pronto soccorso in cui ci trovavamo era pieno di nuove macchine per curare, per procrastinare la morte. La ragione aveva creato quelle macchine ma per la morte non sapeva dire nulla, neppure una preghiera aveva più senso.
Dio non si è dimenticato: Nostra Signora di Guadalupe
Con gli oltre venti milioni di pellegrini che lo visitano ogni anno, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, in Messico, è il più frequentato ed amato di tutta l’America. L’apparizione della “Virgen Morena” all’indio Juan Diego ha mostrato che Dio non si è dimenticato dei popoli dell’America. La basilica, ove attualmente si conserva l’immagine miracolosa, è stata inaugurata nel 1976. Pur essendo realizzata in uno stile “moderno”, non è orrenda ma è spalmata di una buona dose di cattivo gusto. Sul balcone della facciata sono scritte in caratteri d’oro le parole della Madonna: “No estoy yo aqui que soy tu Madre?” rivolte a Juan Diego, che nel 1990 è stato proclamato beato, infine dichiarato santo nel 2002.
Con lo sbarco degli spagnoli nelle terre del continente latino-americano (5) aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che aveva raggiunto un alto grado di progresso. Il 13 agosto 1521 aveva segnato il tramonto di questa civiltà, quando Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco, fu saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e per l’altro l’affacciarsi di una nuova civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti. E’ in questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’ apparizione della Madonna a un povero indio: Juan Diego, nei pressi di Città del Messico. La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la città, l’indio è attratto da un canto armonioso di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome con tenerezza. La Signora gli dice di essere “la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio” e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera le si eriga un tempio ai piedi del colle. Juan Diego corre subito dal vescovo, ma non viene creduto. Tornando a casa la sera, incontra nuovamente la Vergine Maria, a cui riferisce il suo insuccesso e le chiede di essere esonerato dal compito, dichiarandosene indegno. La Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte domande sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno. Ma il giorno seguente Juan Diego non può tornare: un suo zio, Juan Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del Tepeyac decide perciò di cambiare strada per evitare l’incontro con la Signora. Ma la Signora è là, davanti a lui, e gli domanda il perché di tanta fretta. Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere presso il vescovo l’incarico affidatogli, a causa della malattia mortale dello zio. La Signora lo rassicura, suo zio è già guarito, e lo invita a salire sulla sommità del colle per cogliervi i fiori. Juan Diego sale e con grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi “fiori di Castiglia”, che solo il vescovo conosceva: è il 12 dicembre, il solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione nè il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che porta alla Vergine, la quale però gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verità delle apparizioni. Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla tilma si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della S. Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio. La Dolce Signora che si manifestò sul Tepeyac non vi apparve come una straniera. Ella si presenta come una meticcia o morenita, indossa una tunica con dei fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura india denotavano le donne incinte. Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate, copre il suo capo e le scende fino ai piedi, che poggiano sulla luna. Alle sue spalle il sole risplende sul fondo con i suoi raggi. La straordinaria e bellissima icona è rimasta inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli. Questa immagine, che non è una pittura, nè un disegno, nè è fatta da mani umane, suscita la devozione dei fedeli di ogni parte del mondo e pone non pochi interrogativi alla scienza …
Il seguito della storia europea
Pio VII scomunicherà Napoleone quando questi decide di togliere alla Chiesa tutti i suoi beni. Quindi la massima condanna parte per difendere beni materiali, come i sontuosi palazzi romani ai quali pare che la Chiesa non potesse rinunciare. Invece la Chiesa, sempre per proteggere il suo fasto ed i suoi palazzi, aveva accettato che venissero sterminati gli indios che non volevano diventare schiavi degli europei. Fece seguito la soppressione dell’Ordine dei gesuiti e la loro persecuzione. Questo tolse alla Chiesa credibilità e prestigio e dette via libera alla campagna anticlericale ed anticristiana della quale il rappresentante più prestigioso fu il celeberrimo Voltaire, di cui si parlerà negli articoli riportati nelle Bibliografia..
La scomunica contro Napoleone rinnoverà i disastri ai quali già era andato incontro l’ altrettanto dissennato Pio VI. Il principio di una società sottomessa alla speculazione del grande capitale, in nome del progresso, si estese anche alle nazioni europee. Dei rapporti con Napoleone meglio non parlare troppo perché verrebbe alla luce la piccolezza umana e morale di Pio VII. Nel 1804 Napoleone iniziò a trattare con il papa la propria formale e diretta investitura come Imperatore. Dopo alcune esitazioni Pio VII si lasciò convincere a celebrare la cerimonia nella cattedrale di Notre Dame e a prolungare la sua visita a Parigi per altri 4 mesi ma, contrariamente alle aspettative, ne ricevette in cambio solo pochissime concessioni di secondaria importanza. Come testimoniato nello splendido quadro di David durante la cerimonia il papa si vide assegnato il ruolo umiliante di spettatore.
Il Papa, rientrato a Roma il 16 maggio 1805, fornì al collegio cardinalizio una versione ottimistica della situazione. Ma Napoleone presto cominciò a non rispettare il concordato del 1803, arrivando al punto da pronunciare d’autorità lui stesso l’annullamento del matrimonio del fratello Gerolamo. L’attrito fra la Francia ed il Vaticano montò così rapidamente che il 2 febbraio 1808 Roma fu occupata dal generale Miollis e, un mese più tardi, le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino furono annesse al Regno d’Italia. Rotte le relazioni diplomatiche fra Napoleone e Roma, con un decreto emesso a Schoenbrunn l’11 maggio 1809, l’imperatore annetteva definitivamente tutti i territori dello Stato Pontificio al Regno d’Italia. Pio VII emise allora una bolla di scomunica contro gli invasori; nel timore di un’insurrezione popolare il generale Miollis prese in custodia il Papa stesso. Nella notte del 5 luglio il Palazzo del Quirinale fu aperto con la forza e, in seguito all’ostinato rifiuto di annullare la bolla di scomunica e di rinunciare al potere temporale, il Pontefice fu arrestato e tradotto prima a Grenoble e in seguito a Savona. Qui egli si rifiutò di convalidare l’investitura dei vescovi nominati da Napoleone e, quando si scoprì che intratteneva segreti scambi epistolari, gli fu addirittura proibito di leggere e scrivere. Alla fine, debilitato dall’insonnia e dalla febbre, gli fu estorta la promessa verbale di riconoscere l’investitura dei vescovi francesi. Nel maggio 1812 Napoleone obbligò il vecchio e infermo pontefice a trasferirsi a Fontainebleau. Rientrato dalla Russia sconfitto, Napoleone intavolò una trattativa col papa che, il 25 gennaio 1813, accettò un concordato a condizioni tanto umilianti che non riuscì a darsi pace tanto che, su consiglio di alcun cardinali, lo rigettò pochi giorni dopo, comunicando la sua decisione pubblicamente il 24 marzo dello stesso anno. Nel mese di maggio, finalmente, osò sfidare apertamente il potere dell’imperatore sconfitto, dichiarando nulli tutti gli atti ufficiali compiuti dai vescovi francesi. Dopo la battaglia di Lipsia e il crollo del potere napoleonico, nel gennaio 1814, Pio VII il 24 maggio tornò a Roma dove inizialmente fu accolto da una folla esultante. Presto il favore popolare si sarebbe trasformato in ostilità. La legislazione introdotta dalla Francia, innovativa dal punto di vista sociale, veniva soppressa. Pio VII reintegrò l’Indice, i Gesuiti, l’Inquisizione ed il Ghetto, dove tornarono gli ebrei, che non pochi vantaggi avevano ricevuto dalla Rivoluzione Francese e dalle vittorie napoleoniche. Quando la Roma dei Papi tramonterà definitivamente e vi verrà insediata la capitale del nuovo Regno d’Italia, il primo sindaco sarà un ebreo. Circa un secolo dopo l’anticlericalismo e i furori giacobini, nati in Francia, si scatenarono anche in Italia, grazie alla politica suicida condotta da Pio IX ed alla pochezza dei Savoia. Pio VII riattivò anche le corporazioni delle arti e dei mestieri per cercare di costruire una societas cristiana. Queste corporazioni ebbero una vita stentata e si chiusero subito dopo la presa di Porta Pia. È noto che anche le corporazioni volute dal fascismo non decollarono. Le difficoltà nascono dal fatto che ora le novità della tecnica si susseguono rapidamente e quindi il patrimonio di conoscenze custodito dalle corporazioni si annulla in poco tempo. Nel Medioevo le innovazioni erano poche e distanziate nel tempo, quindi aveva senso mantenere il segreto dei processi di produzione, che spesso derivavano da scoperte fatte dai monaci nei loro conventi. Inoltre per la scarsità delle risorse a disposizione delle nuove corporazioni, sarà impossibile dare sostegno ai lavoratori anziani, abbandonati anche dallo stato. Ma per tutto il XIX secolo la Chiesa continuò a sognare il ritorno ad un Medioevo immaginario.
In epoca moderna il primo esperimento sociale cristiano fu quello creato dai Gesuiti nel Paraguay con gli indios guarani nelle reducciones. Questo esperimento sociale venne distrutto da spagnoli e portoghesi, accumunati nella volontà di sfruttare le ricchezze delle colonie utilizzando come schiavi gli abitanti locali ai quali dovettero aggiungere i negri presi in alcuni paesi africani. Di questo fatto storico di grande importanza si parla nella Bibliografia con articoli di Cardini e di Camilleri.
Quando nel 1773 il papa Clemente XIV decise di sopprimere l’Ordine dei Gesuiti, dopo che aveva di fatto autorizzato l’azione militare portoghese per distruggere in America quell’esperimento di organizzazione cristiana del lavoro e della società, la Chiesa distrusse qualsiasi credibilità futura per proporre un’alternativa alla società capitalistica, che nasceva sotto la falsa immagine del perfetto liberalismo. Alla fine, con papa Leone XIII, il 15 maggio 1891, arrivò l’enciclica rerum novarum, ma era troppo tardi e poi all’interno del mondo cattolico il contenuto dell’enciclica apparve troppo di sinistra, inaccettabile. Il rimedio alla deriva dei movimenti che organizzavano gli operai in sindacati comunisti atei, era indicato nella formazione di sindacati cattolici, con lo scopo di dare mutuo soccorso agli operai, organizzati in corporazioni che avrebbero dovuto unire imprenditori ed operai. Negli anni seguenti qualche cosa fu fatto in questa direzione ma la tendenza atea anticlericale ebbe più successo, come ad esempio in Spagna, in alcune regioni della Francia, in Toscana e nell’Emilia-Romagna. Questo avvenne a causa della nascita del proletariato: quella fascia sociale che viveva del lavoro dei figli bambini. Celebri scienziati si opposero alle leggi che vietavano il lavoro imposto ai fanciulli, una crudeltà che era sconosciuta all’ epoca di Roma antica. Presso i governi francesi gli unici a protestare furono i generali perché non avevano uomini da arruolare: sino all’ottanta per cento dei giovani a vent’anni non riusciva a reggere il fucile. La verifica venne con la guerra contro la Prussia, con la sconfitta di Sedan. A seguire la Comune di Parigi nel maggio 1871 finita in un bagno di sangue. I rivoluzionari questa volta furono sconfitti, ma finalmente l’anima dell’Occidente venne scossa. La schiavitù sia nelle Americhe che in Europa venne messa sotto accusa.
Tutto il periodo dei due secoli: ‘700 e ‘800, fu contrassegnato da una pochezza politica generale. Per i papi bisognerà attendere il secolo successivo con papa Pacelli: Pio XII, per avere una forte capacità politica. Napoleone, che si atteggiava a protettore delle arti e delle scienze, rivelò una insipienza politica totale. Sparse un fiume di sangue in tutta Europa e lasciò che venisse continuata la persecuzione contro i cristiani, incapace di scegliere un sistema politico accettabile e stabile. Aggiunse alle sue contraddizioni quella di aver chiesto e ottenuto l’incoronazione ad imperatore in Notre Dame alla presenza del papa Pio VII. Un gesto da operetta, una dimostrazione dell’effimero che ha dominato la vita pubblica europea per tutto il XIX secolo. Passò da una guerra all’altra, inseguendo il mito del potere regale, quello stesso potere negato e combattuto dalla Rivoluzione che gli aveva fornito l’esercito e gli ideali per cui combattere. Se vogliamo fare un confronto prendiamo Alessandro Magno, un gigante militare ed un gigante politico, ma aveva alle spalle Aristotele e la filosofia greca. Creò un enorme impero che sopravvisse alla sua morte prematura. Napoleone fu altrettanto grande militarmente ma fu incapace di concepire un sistema sociale stabile ed accettabile.
Le grandi navi nel frattempo sono diventate più grandi, più efficienti. Per la propulsione usano le eliche e motori a nafta sempre più efficienti. Ma le navi in giro per i mari della Terra sono sempre più numerose e inquinano molto. Così ci sono progetti per usare di nuovo le vele, vele ultratecnologiche azionate con motori elettrici, vele che potrebbero ridurre il consumo del combustibile del 50%.
Note
1) Federico Rampini, “Il mare della Cina – Quando la flotta imperiale, un’armata multiculturale, si fermò alle porte d’Europa”, La Domenica di Repubblica, 21 agosto 2005 Centro Culturale e di Studi Storici “Brigantino- il Portale del Sud” – Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright MMV: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.
2) Fernand Braudel (1902-1985), “Espansione europea e capitalismo 1450 – 1650”, il Mulino, 1999. Braudel ha insegnato al Collège de France e all’Ecole des Hautes Etudes. Opere importanti sono: “Civiltà materiale, economia e capitalismo” (1977-1982) Einaudi, “La dinamica del capitalismo” (1981) Mulino.
3) Daniele Menozzi, “La Chiesa cattolica e la secolarizzazione”, Piccola Biblioteca Einaudi 583, 1993,
4) Paolo Mieli “L’ora più buia per i gesuiti – La compagnia venne soppressa nel 1773 anche per il suo impegno antischiavista”, 20 gennaio 2015 – Corriere della Sera
5) Maria Di Lorenzo “Martirologio romano, Beate Maria Vergine di Guadalupe””
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