Scuola, cosa ci aspetta a settembre
di Elisabetta Frezza (da Renovatio21)
C’è chi si diverte. Gioca con il telecomando che muove le masse a compiere gesti conformi e ha scoperto che funziona a meraviglia. Gli omini telecomandati si muovono secondo impulso da remoto, obbedienti, ligi, e contenti di essere cittadini modello. Per i riottosi basta sventolare la minaccia del TSO e anche loro, obtorto collo, si adeguano. In ogni caso, c’è sempre l’esercito pronto a schierarsi per mantenere l’«ordine», il nuovo ordine.
L’esperimento dunque dimostra che i terminali non soltanto rispondono, ma ormai già hanno introiettato la prima serie di comportamenti conformi, divenuti gesti rituali.
Per entrare in un qualsiasi posto che non sia casa propria – ma presto nel grande panopticon digitale sarà controllata anche quella – ci si mette in fila per uno, socialmente distanziati, e si aspetta il proprio turno per disinfettare le mani, farsi puntare la pistola laser alla fronte, declinare le generalità, fornire i propri recapiti e autocertificare il proprio presunto stato di salute fino a prova contraria.
SE il telecomandante inserisse altre funzioni – tipo fare una piroetta sul posto, cinque flessioni, tre salti su una gamba sola, intonare la prima strofe di bella ciao – il bravo cittadino eseguirebbe, grato a chi vigila sulla sua incolumità senza, bontà sua, trascurare il fitness.
Il telecomando funziona così bene perché è alimentato dalle pile potenti della paura. Agitare lo spauracchio della malattia potenzialmente mortale risveglia il terrore atavico per la pestilenza e, specie in un popolo privato di ogni appiglio trascendente, riesce a ottenere uno stato di sudditanza perfetta, perché consenziente. Anzi, devota.
Ora il telecomando lo stanno programmando per le scuole, che a settembre dovranno riaprire i battenti militarizzate a dovere. Così scolari e insegnanti, oltre a subire le misure sociali e sanitarie che saranno partorite per loro, si dovranno abituare a corrispondere agli ordini dell’autorità costituita o sedicente tale, a prescindere da ogni previo vaglio di legittimità e di ragionevolezza. Saranno educati a obbedire a qualsiasi idiozia venga contrabbandata come civicamente necessaria e guai a chi si manifesti refrattario a replicarla pedissequamente. Già i dirigenti annunciano che l’obbedienza alle regole emergenziali inciderà doppiamente sul rendimento, attraverso il voto in condotta e attraverso quello in educazione civica, e non è uno scherzo.
Riproducendo i connotati della società degli uguali, irenista e omogeneizzata, anche la comunità scolastica degli uguali in divenire non ammette dissidenze né di pensiero né di comportamento. Piccoli schiavi crescono. E mica da oggi, ma da ben prima della cosiddetta pandemia, anche se nessuno se n’era accorto.
Il Comitato Tecnico-scientifico e i suoi vaticini
I fenomeni al governo, centrale o locale, emettono suoni in libertà, in una gara di dissennatezza senza precedenti a memoria d’uomo, travolti dal proprio delirio di onnipotenza. La sindrome del kapò si trasmette a cascata ai gradi inferiori e si esprime in misura direttamente proporzionale all’ignoranza, all’opportunismo e alla piaggeria dei suoi portatori. Dunque, nella rete burocratica delle scuole, trova terreno fertile più che mai.
Ma sopra questa gerarchia di opachi esecutori insiste un’entità intoccabile e sacra: un oracolo che, interpellato, dà segni, indica la direzione e legittima ogni levata di ingegno dei suoi adepti. Tutto infatti si riconduce, religiosamente, al Comitato Tecnico Scientifico, cioè alla accolita di aruspici che gravita tra l’Istituto Superiore di Sanità, il Ministero della salute, l’OMS, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), il policlinico Gemelli (area vaticana), con anche qualcuno che detiene cariche di vertice in corporazioni professionali.
Appare subito evidente, quindi, l’assoluta indipendenza dell’organismo dalle istituzioni, la sua distanza dai centri di potere, la sua estraneità a interessi di parte o a compromissioni con, chessò, le multinazionali del farmaco. Davvero nessun dubbio può colpire chi legga nomi e qualifiche dei componenti del consesso che tiene in pugno le sorti di una nazione intera e dei suoi figli, senza peraltro patirne alcuna ricaduta in termini di responsabilità.
Ebbene, dopo il vaticinio dello scorso 28 maggio, l’oracolo si è pronunciato di nuovo il 7 luglio, rispondendo ai quesiti posti dal ministero dell’Istruzione. Se la cantano e se la suonano. Nel frattempo la titolare del dicastero è stata messa sotto tutela, oltre che delle due task force di «esperti» di cui già si era munita da sola, forse cosciente dei suoi limiti, anche di un commissario per la ripartenza, nominato attraverso il c.d. «decreto semplificazioni» nella figura di Domenico Arcuri, homo non novus ad incarichi di emergenza. Ne esce, insomma, un apparato di sostegno all’altezza (numericamente) della levatura della sostenuta.
Arcuri – ci è detto – si occuperà delle forniture di mascherine (e ha già annunciato ce ne vorranno dieci milioni al giorno, mentre i seguaci della eco-minorenne scandinava tacciono), di gel, arredi scolastici e ogni altro bene strumentale alla riapertura in sicurezza e con ogni probabilità gli verrà affidata anche la gestione dei test che il Comitato tecnico-scientifico ritiene utili per la prevenzione del contagio. Anche lui, certo, segue l’oracolo e avrà a disposizione la forza pubblica, già allertata per assicurare che le operazioni si svolgano senza intralci, sia mai qualcuno non si sottomettesse volontariamente ai trattamenti sanitari prescritti (sempre dal Comitato dal quale tutto si muove e al quale tutto si riconduce).
Il nuovo responso riguarda in prima battuta la questione delle distanze di sicurezza e merita di essere riportato testualmente, almeno nel suo incipit: «Il previsto distanziamento di un metro è da intendersi, relativamente alla configurazione del layout delle aule, nel senso della necessità di prevedere un’area statica dedicata alla “zona banchi”. Nella zona banchi il distanziamento minimo di 1 metro tra le rime buccali degli studenti dovrà essere calcolato dalla posizione seduta al banco dello studente, avendo pertanto riferimento alla situazione di staticità. Con riferimento alla “zona cattedra”, nella definizione del layout resta imprescindibile la distanza di 2 metri lineari tra il docente e l’alunno nella “zona interattiva” della cattedra, identificata tra la cattedra medesima e il banco più prossimo ad essa […]».
E uno non può nemmeno prenderla troppo sul ridere, considerando il tutto come una straordinaria prova di umorismo involontario perché, andando avanti nella lettura del documento, la voglia di ridere gli passa: dopo vari sproloqui, che tra le altre belle cose tornano a confermare l’uso obbligatorio della mascherina sopra i sei anni – salvo che per i pasti (sic!) e l’attività fisica – i tecnoscienziati del Comitato sottolineano «il ruolo degli esercenti la responsabilità genitoriale nel preparare e favorire un allenamento preventivo ai comportamenti responsabili degli studenti».
Cioè io «esercente», durante l’estate, dovrei «allenare» lo studente (figlio mio, dell’esercente) alle pratiche demenziali escogitate da venti signori intenti a divertirsi a pagamento sulla pelle degli italiani. Da notare, peraltro, la beffarda insistenza sulla responsabilità altrui a fronte della propria totale irresponsabilità, sia giuridica sia politica.
Ri-educazione civica
Ma questa particolare «responsabilità» a cui tutti saremmo chiamati, e che costituisce conditio sine qua non per essere ammessi nel consesso sociale pacificato, non nasce dal nulla: è figlia della obbedienza a cui deve essere forgiato fin dalla prima infanzia lo scolaro programmato per diventare il «cittadino globale» (ovvero l’apolide cosmopolita) del terzo millennio.
In tal senso, l’apparato pseudo-educativo preesistente nelle scuole di ogni ordine e grado, già intasato di diversivi ideologici trasportati dentro il carro delle «competenze trasversali», o della c.d. educazione alla cittadinanza, alla legalità, eccetera eccetera, si arricchirà dal prossimo settembre della nuova educazione civica di Stato.
Nessuno pare rendersi conto del processo prepotente attraverso il quale si sta svuotando la scuola italiana di ogni contenuto propriamente culturale, cannibalizzando tempo e spazio all’insegnamento e allo studio delle materie fondamentali, per incrementare correlativamente l’indottrinamento obbligatorio al pensiero unico e al suo incondizionato ossequio.
Tutto quanto serve (è sempre servito) a costruire le fondamenta per strutturare un patrimonio di conoscenze che permetta di sviluppare pensiero critico e autonomia di giudizio viene spazzato via dall’ammasso di paccottiglia beota, farcitura standard per il bravo ominide omologato. L’automa incolto, ma inconsapevole di esserlo perché «imparato» di tecnologia, di problem-solving e altre abilità, infatti, non è in grado di intralciare in nessun modo le simmetrie del potere. È il suddito perfetto.
Con la riforma che introduce la nuova educazione civica obbligatoria (legge 20 agosto 2019 n. 92) è stato ufficialmente creato uno straordinario ulteriore veicolo di propaganda. Sfruttando una etichetta familiare associata nel comune sentire a un significato buono e a un insegnamento edificante si introdurrà, di fatto, tutto il pacchetto di dogmi del vangelo globalista.
La nuova materia scolastica condivide solo il nome di battesimo con la vecchia educazione civica che era abbinata alla storia e riguardava i rudimenti del diritto costituzionale (forma di governo, poteri dello Stato, organi istituzionali): quel contenitore sarà riempito di tutt’altro contenuto, e si materializzerà in un polpettone ad alta carica ideologica.
Sarà articolato in tre filoni fondamentali: la Costituzione, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale.
Quanto all’insegnamento della Costituzione, dal ministero ci spiegano che «l’obiettivo sarà quello di fornire a studentesse e studenti (rigorosamente così declinati) gli strumenti per conoscere i propri diritti e doveri, di formare cittadini responsabili e attivi che partecipino pienamente e con consapevolezza alla vita civica, culturale e sociale della loro comunità». I soliti ingredienti buoni per tutte le ricette della nuova pseudo-etica mondialista. Che la Costituzione, che è una legge positiva, sia scritta in un linguaggio tecnico (com’è quello giuridico) e che la sua comprensione richieda quantomeno una conoscenza, da parte di chi la insegna, delle categorie corrispondenti, al legislatore à la page, quello che verga capolavori come la “buona scuola”, non passa nemmeno per la testa. Per lui la Costituzione è un simpatico manualetto delle giovani marmotte, buono per tutte le età e per tutte le stagioni.
Quanto invece allo sviluppo sostenibile, «alunne e alunni (rigorosamente così declinati) saranno formati su educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio, tenendo conto degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Rientreranno in questo asse anche l’educazione alla salute, la tutela dei beni comuni, principi di protezione civile».
Tutto ruota, appunto, intorno a quella Agenda ONU 2030 sullo sviluppo sostenibile alla quale i vari fu ministri della fu pubblica istruzione si sono tutti votati con inusitato trasporto. Già la signora Fedeli – che ora siede nel CdA della Fondazione Agnelli e da lì può continuare con profitto la sua opera su quella scuola da lei non troppo frequentata – aveva stanziato qualche centinaio di milioni di euro per il potenziamento della educazione alla cittadinanza globale all’interno della Agenda 2030, statuendo con solennità degna del tema che «l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite impegna tutte e tutti (rigorosamente così declinati) a correggere la rotta dello sviluppo […] Ci impegna a farlo non in un orizzonte nazionale, ma in un’ottica globale. Ci ricorda che, ben prima di essere cittadine e cittadini (rigorosamente così declinati) di una nazione, siamo cittadine e cittadini (ancora) del mondo. Questo investimento è un passo importante verso l’obiettivo di fare del sistema di istruzione uno dei principali agenti di cambiamento per la realizzazione degli obiettivi della Agenda 2030».
Quanto infine alla«cittadinanza digitale», la locuzione parla da sé.
Quella di cui sopra, dunque, sarà la desolante cornice che connoterà insegnamenti e apprendimenti nella scuola che verrà, per ogni suo ordine e grado, ovvero dai tre anni in su, secondo la nota filosofia del Life Long Learning (cioè TreeLLLe). E sarà una nuova autostrada di accesso per una pletora di «esperti» esterni, personaggi senza arte né parte ma organici al sistema, a libro paga del contribuente, con licenza di entrare nelle classi e pontificare la propria «esperienza» rapinando ore alle materie curricolari (insegnanti, vi va bene così?).
L’emergenza sanitaria oggi è il pretesto per consolidare un impianto già steso da decenni grazie a un’opera sistematica di annientamento culturale e di demolizione identitaria e per renderlo coercitivo, senza via di scampo, attraverso un nuovo potente ricatto sociale e terapeutico.
Catechesi e omiletica globalista
Inutile pensare che il mondo delle scuole paritarie sia in tutto o in parte al riparo da questa deriva. Anzi, ne è capofila.
La saldatura tra tecnocrazie e neochiesa, da tempo perseguita e ormai ermeticamente compiuta, si manifesterà presto nel grande evento in programma per il prossimo 15 ottobre in Vaticano, il Global Compact on Education, ovvero il patto educativo globale espresso nella nuova lingua sacra che ha sostituito il latino. Esso non è altro che la copertina patinata di un lavoro certosino partito da molto lontano e che ha portato le gerarchie della chiesa che fu cattolica a professare pubblicamente, in toto, la religione dell’ONU e dei suoi magnati, a parlare la stessa lingua dei potentati sovranazionali e a spartire la stessa torta.
Una bella cartolina di questa santa alleanza ritrae il segretario di stato Parolin al Bilderberg 2018, così come tante istantanee immortalano la corrispondenza di amorosi sensi tra Bergoglio e la Fedeli coltivata durante tutto il ministero della intraprendente signora diversamente istruita, autrice tra l’altro della prefazione del saggio di Bergoglio sulla educazione dal suggestivo titolo Imparare a imparare (edito dalla Marcianum Press fondata dal cardinale ciellino Angelo Scola).
Ecco che ora finalmente il capo della chiesa postcattolica mette a tema la necessità di «ricostituire il patto educativo globale per costruire il futuro del pianeta», come da decalogo mondialista risultante dal combinato disposto della Agenda ONU 2030 e della enciclica Laudato sì, due facce della stessa medaglia.
Egli invita dunque in Vaticano «i rappresentanti delle principali religioni, gli esponenti degli organismi internazionali e delle istituzioni umanitarie, scienziati e pensatori, economisti, educatori, sociologi e politici, artisti e sportivi», per sottoscrivere «un patto educativo globale che educhi alla solidarietà universale, a un nuovo umanesimo». «Per capire quanto urgente sia la sfida che abbiamo davanti – dice – bisogna puntare sulla educazione» poiché «dobbiamo fondare i processi educativi sulla consapevolezza che tutto nel mondo è intimamente connesso ed è necessario trovare altri modi di intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso». E conclude: «Faccio appello a tutte le personalità pubbliche che a livello mondiale sono già impegnate nel delicato settore della educazione delle nuove generazioni, occupano posti di responsabilità e hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni. Ho fiducia che accolgano il mio invito. E faccio appello anche a voi giovani a partecipare all’incontro e a sentire tutta la responsabilità nel costruire un mondo migliore».
A occhio accorreranno in molti a Roma, molti infatti hanno «a cuore» il futuro delle nuove generazioni, di sicuro anche noti filantropi pieni di buona volontà e tanto attivi sul fronte sanitario ed educativo.
Per inciso, il «nuovo umanesimo» è la stessa parola d’ordine, per combinazione, adottata dal tenutario di palazzo Chigi, che ci ha costruito intorno il discorso di insediamento in tenuta giallofucsia.
Di fatto, quindi, con il Global Compact on Education – un nome, un programma – ci viene fornita ora una summa teologica ufficiale di quel pedagogismo globalista in salsa umanitaria che già da tempo pervade il sistema scolastico ed educativo italiano, garantendo agli scolari un sicuro e confortevole stato di analfabetismo, funzionale alla pacifica imposizione di qualsiasi comando sia diramato dalla centrale.
La teologia globalista si presenta al mondo in veste egualitaria, pacifista, ecologista, scientista e genderista, e diventa un programma contro-culturale (e a-culturale) da imporre alle masse a uso e consumo del Potere; di qui, la sua implacabile vocazione fondamentalista, nel senso che quanti non vi si convertano sono ipso facto rigettati dal consesso civile.
Nel tempo di tutte le libertà, abbiamo felicemente conquistato un forziere pieno di obblighi inderogabili, primo tra i quali quello al monopensiero destinato a coprire ogni esigenza di ragione.
Modello autunno-inverno?
A settembre dunque partirà un nuovo modello di scuola, o meglio si realizzerà nella sua forma compiuta il modello in cantiere da decenni e finalmente giunto, grazie all’evento incrociatore della epidemia, al capolinea programmato.
La scuola della DAD, delle app e delle piattaforme; la scuola delle mascherine e dei corridoi a senso unico alternato; la scuola adibita a presidio sanitario in cui somministrare test a tappeto e magari farmaci obbligatori; la scuola della nuova educazione civica di Stato; la scuola degli «esperti» esterni muniti di patente a norma europea e di certificato di sana e robusta fede politica e religiosa; la scuola del voto in devozione ai dogmi del komitato tecnico-scientifico; la scuola dell’ONU e della cittadinanza globale; la scuola di Bergoglio, del suo culto e dei suoi affiliati; la scuola dei burocrati, dei nani e delle ballerine; questo carrozzone da circo che caricherà a bordo i nostri figli, semplicemente non è più una scuola: è un allevamento intensivo di umanoidi senz’anima, pronti per essere fagocitati dal dispositivo elettronico che viene loro graziosamente fornito in dotazione.
Da questo scempio si salvi chi può e salvi chi riesce.
Elisabetta Frezza