Luigi Copertino
Massimo Cacciari di questi tempi è alquanto in fregola a causa dei successi elettorali che il sovranismo va mietendo. Egli teme il ritorno della “barbarie”, della “xenofobia”, del “razzismo” e per questo non manca occasione, ad ogni comparsata televisiva, ad ogni articolo di quotidiano, per ripetere il suo altisonante “caveat!”. Ma l’oggetto principale della sua preoccupazione sembra essere la possibilità che l’Europa perda il suo “spirito”. Ma qual è, per il filosofo barbuto, questo spirito europeo? Diciamo subito che esso, per Cacciari, nulla ha a che fare con l’“enracinement”, il radicamento, che una pur gnostica quale era Simon Weil al contrario esaltava in una poco nota opera, “La prima radice”, scritta nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, ma pubblicata solo nel 1949, per tracciare i lineamenti di una nuova Europa post-totalitaria. Secondo Cacciari, al contrario, lo spirito dell’Europa è lo sradicamento, la vocazione all’uscita da sé e per converso all’inclusione dell’altro da sé (Cfr. M. Cacciari “Patria Europa” in www.francocardini.it). Da qui il viaggio come simbolo dello spirito europeo. Viaggio che d’altro canto può diventare anche conquista violenta o, nel miglior dei casi, missionarietà. C’è qualcosa di vero in quel che dice Cacciari ma sullo sfondo, o nel sottofondo, del suo discorso ricompare, quasi carsicamente, una sua antica ed ambigua lezione, che se non si hanno occhi per leggere in filigrana le sue parole non viene avvertita dall’ignaro lettore. Il tema nascosto è lo stesso che il noto filosofo fece trapelare in una intervista rilasciata a Maurizio Blondet e riportata nell’opera blondettiana “Gli Adelphi della dissoluzione” (Ares). Si tratta del tema apparentemente agostiniano, in realtà artatamente distorto, della presunta portata dissolutrice del Cristianesimo verso gli “ethoi” pagani. Agostino ricorda che la Vera Patria del cristiano non è nel mondo, nella patria terrena, ma in Cielo, sicché, ne deduceva Cacciari in quell’intervista, il Cristianesimo dissolve le culture che incontra. Fa opera di sradicamento, di volatilizzazione e di deresponsabilizza verso la Città degli uomini. Ergo per Cacciari il Cristianesimo non può pretendere di essere il Katéchon, la forza frenante che si erge contro il male perché Esso, al contrario, abbandona al male, al profano, l’ambito mondano dell’umana esistenza. Cacciari, in realtà, è un “furbo” – egli sa benissimo di barare – perché Agostino non ha mai inteso la dialettica tra Città di Dio e Città degli uomini nel modo oppositivo con il quale lo dipinge il nostro filosofo veneziano. Un modo in un certo senso inventato da Lutero benché già implicitamente apparso nelle illegittime pretese teocratiche dei Papi medioevali successivi alla riforma gregoriana. Cristo ha mai inteso quel che è di Cesare come la dimensione diabolica ontologicamente opposta alla Santità di ciò che è di Dio. Questo bipolarismo, questo “doppio contrario”, è piuttosto il retaggio di un antico approccio “gnostico” – quello dell’“esilio”, dell’“esodo”, dal mondo che sarebbe malvagio in quanto tale (nient’affatto, come nella concezione cristiana, originariamente buono benché successivamente ferito dalla superbia dell’uomo ma, ora, redento dalla Croce) – e sappiamo tutti che Cacciari di “gnosi” è un grande esperto (e forse spiritualmente, o almeno filosoficamente, anche un adepto). La storia della Chiesa – dico “Chiesa” al singolare per indicare solo quella con basi apostoliche, la cattolica, l’ortodossa e poche altre – al contrario sta lì a testimoniare, nella sua Luce divina frammista alle ombre umane dovute alla debolezza dei cristiani peccatori, che se è vero che il cristiano ha la sua Vera Patria in Cielo egli non può affatto disinteressarsi della patria terrena sia perché, come ogni creatura, anch’essa è cosa buona, benché non deve essere assolutizzata, sia perché solo se l’ambiente che respira nella patria terrena è spiritualmente favorevole, ossia orientato allo Spirito, al cristiano sarà agevolata, e non ostacolata come accade oggi più di ieri, la salita verso il Cielo. Quindi il giusto, non assolutizzato, amore per la patria terrena non è cristianamente contrario al fine ultimo e principale della vita ossia il raggiungimento della Patria Celeste. La patria terrena è, per dirla con José Antonio Primo de Rivera, “comunità di destino nell’Universale”. Non si può veramente amare Dio se si disprezza la propria appartenenza comunitaria storica che è fatta di legami naturali tra fratelli e quindi di prossimità anche in senso evangelico. Soltanto laddove la patria terrena viene assolutizzata, fino all’idolatria neopagana nazionalista o razzista, nasce il contrasto. Ma, repetita juvant, il culto pagano della nazione o della razza non ha niente a che fare con l’amor di patria mentre ha molto a che fare con un modus ideologico, quindi costruttivista, di approcciare la propria identità nazionale. Attenti, pertanto, a non pensare il Cristianesimo in senso antinomico come fa Cacciari. Un Cristianesimo del genere non è Cristianesimo ma vaghezza spiritualistica, incorporea, inconsistente. L’Amore di Cristo non è semplicemente ed astrattamente “Amore” ma, appunto, Amore di Cristo ossia di una Persona con un Nome. Una Persona dalla Quale nasce una storia che si radica nelle culture con le quali viene a contatto, trasformandole certo ma non negandole. Cristo purifica gli “ethoi” non li dissolve.
Da sempre uno dei problemi del cristiano è stato quello di tenere insieme la pratica della parabola del buon samaritano con il suo vivere nel mondo. Tommaso d’Aquino, nel cercare un soluzione, notava che: “Gratia naturam supponit, non tollit sed perficit”. Sicché il cristiano deve agire come il buon samaritano della parabola ma deve anche tener conto che, vivendo nel mondo, egli ha legami naturali santificati, non negati, dalla Grazia di Dio. Questo significa che, in presenza di scarse risorse, il cristiano il quale prima provvede alla sua famiglia, e poi agli estranei, non pecca. Rispettare l’ordine di natura nella Carità non è contrario alla parabola del buon samaritano. In fondo, siamo davanti a due prossimità diverse, una naturale (provvedere ai genitori, ai figli, al coniuge, alla propria città, alla patria) e l’altra spaziale (il forestiero, l’africano, che incontri per strada e ti tende la mano). Una non può negare l’altra. Ciononostante Santa Romana Chiesa ha sempre insegnato che, per i fedeli laici (diverso il discorso per i consacrati), vi è un ordine, una gerarchia, tra le due prossimità, onde evitare che il padre, magari nascondendosi furbamente dietro una pretesa di “amore universale” ma astratto, non provveda ai figli o viceversa. Attenzione: non si tratta di un espediente teologico inventato dai preti. Che esista un ordine nella Carità lo dice Gesù. In quel passo del Vangelo (Mc 7, 9-13) nel quale rimprovera i farisei di dichiarare, ipocritamente, “sacro” (“korbàn”) per il Tempio ciò che invece avrebbero dovuto donare ai genitori non più capaci di provvedere a sé perché anziani: «Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte». Gli ebrei, infatti, dicendo “sia Korbàn” consacravano un bene a Dio e nessuno, neanche il padre che versava in estrema necessità, poteva più vantare alcun diritto su di esso. Quindi la Carità verso chi con noi ha legami naturali è perfettamente cristiana. Anche la Carità di patria, verso chi condivide con noi nascita, storia, lingua e cultura. La Carità astratta da legami, siano essi di prossimità naturale o spaziale, non è Carità ma ipocrita filantropia come quella di chi è aduso a parlare, magari in un bel salotto, ma non a fare. L’Amore senza Nomos non è l’Amore di Cristo ma l’inganno dell’A-Nomos. Ora, proprio per questo sono propenso a ritenere che Salvini – il quale ha certo atteggiamenti “ruspanti” e talvolta poco consoni – sbaglia, in quanto cristiano, quando inalbera il formalismo legalistico che fa leva sull’argomento dell’“illegittimità” dell’occupazione abusiva (il legalismo è nel Vangelo identificato, appunto, con il fariseismo), tuttavia non quando ci ricorda che è ipocrita chiudersi gli occhi davanti alla povertà dell’italiano – e qui non conta affatto se il povero italiano è presuntivamente meno povero dell’africano (che oltretutto è questione da verificare caso per caso) – per poi piangere su quella dell’immigrato e magari usare quest’ultima come specchio per le allodole onde distrarre, come fa la sinistra, i propri militanti ed elettori dalle sofferenze dei compatrioti in difficoltà. Entrambe sono povertà che il cristiano è chiamato a lenire. Ma quale è il giusto ordine da seguire? La Chiesa non può fare troppe distinzioni e dunque non deve scandalizzare se Essa aiuta sia l’italiano che l’africano (anche se ci sono segnalazioni di parroci i quali, all’insegna dell’“andare verso le periferie”, aiutano prima o solo gli immigrati). Ma lo Stato non può non tener conto prima del cittadino e dopo del forestiero. Chi professa la fede in Cristo ed è un fedele laico deve aiutare, nel limite delle sue possibilità, l’immigrato, che incontra per strada, ma al tempo stesso può legittimamente votare un Salvini o una Meloni senza, per questo, incorrere in “scomuniche” o in sensi di colpa. Va poi considerato il fatto che l’immigrazione è un dramma innanzitutto per gli immigrati – andar via dalla terra natia è sofferenza per chiunque – sul quale speculano tanto le Ong quanto la finanza alla Soros che ha bisogno, e non è necessario ricorrere al vecchio Marx per capirlo, di un “esercito industriale di riserva”, manovalanza a buon mercato per abbassare i salari anche dei nostri lavoratori. Sicché non si capisce quale razzismo o fascismo ci sia nel denunciare questo retroscena dei flussi migratori, del quale la sinistra sembra essersi completamente dimenticata. Certo, il cristiano di fronte all’immigrato che gli tende la mano non può mettersi a fare ragionamenti politico-sociologici. Nel Giorno del Giudizio il Signore non ci chiederà di spiegarGli le cause storico-sociali dell’immigrazione ma soltanto se Gli abbiamo dato da mangiare quando Lo abbiamo incontrato nel povero, compreso l’immigrato. Però, finché viviamo nel mondo, dobbiamo tener conto, per non essere ingenui (il cristiano deve essere puro come una colomba ma astuto come una serpe), anche dell’esistenza di tristi realtà come quella dello sfruttamento organizzato dell’immigrazione. Che non è solo delle multinazionali, le quali stanno spogliando Africa ed il resto del mondo, ma anche di chi, dopo aver spolpato una terra, favorisce l’esodo degli autoctoni per mettere in concorrenza i forestieri poveri con i residenti poveri e così favorire i propri interessi. Da parte mia non ho rimproverato al cardinale elemosiniere pontificio di aver fatto un gesto di carità, quanto il modo con cui, nella fattispecie della palazzina dell’Inps occupata, l’ha fatto. «Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt. 6,3), dice il Vangelo. Che, nello stesso passo, così prosegue «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. (…) la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt. 6, 1-4). Quindi non è Carità perfetta quella di chi dopo averla fatta se ne vanta pubblicamente. Costui ha già avuto la sua ricompensa. Voglio dire che il cardinale elemosiniere – egli avrebbe potuto agire nel silenzio pagando lui la bolletta scaduta e così far riattivare l’allaccio elettrico alla Palazzina – sapeva benissimo che, nel clima arroventato dalle vicine elezioni, il suo gesto sarebbe stato strumentalizzato dall’una e dall’altra parte e sarebbe finito sulle prime pagine dei giornali ed in apertura di tutti i tg. Quindi egli ha già avuto la sua ricompensa, in termini di notorietà. Molti santi raccomandavano di stare attenti a quella forma di vanità che può derivare dalla stessa carità ossia il desiderio di essere visti e lodati. I farisei erano rimproverati da Gesù proprio per questo, perché facevano le opere della Legge per essere lodati dal popolo. Invece Cristo chiede che la Carità sia fatta in silenzio, nascostamente. Tanto, poi, le folle, prima o poi, si accorgono da sole se in qualcuno brilla la Sua Luce ed accorrono verso colui dal quale traspare quella Luce. Come è capitato allo stesso Gesù ed è capitato a tutti i santi nella storia cristiana. Madre Teresa di Calcutta iniziò la sua opera in silenzio, senza clamori, rifuggendo da ogni notorietà, anche quando le hanno dato il Nobel per la Pace. Pare che si ribellò furiosamente, lei di solito mite e umile, ai suoi collaboratori i quali le proponevano di riorganizzare in modo manageriale le sue opere. La Santa di Calcutta sapeva benissimo che in tal modo, preoccupandosi dell’organizzazione, la Carità viene snaturata. Purtroppo nelle cose umane anche l’organizzazione è necessaria ma bisogna stare attenti a non far prevalere le sue esigenze su quelle vere della Carità. A volte mi chiedo se questo non è il rischio che corrono anche benemerite organizzazioni come la Caritas. Quando, ad esempio, vedo l’iperattivismo di tanti volontari e dello stesso cardinale elemosiniere (emblematica la foto circolata sui media che lo ritrae in un cortile vaticano a cavalcioni della sua moto, pronto a partire, in atteggiamento da “prete sprint”, salutato da Papa Bergoglio) ringrazio Dio ma al tempo stesso prego affinché non venga perso di vista l’essenziale ossia la Fonte stessa della Carità. Madre Teresa di Calcutta e le sue suorine pregavano circa tre ore, a partire dall’alba, prima di iniziare le loro opere quotidiane perché sapevano che senza la Sua Forza esse non sarebbero mai state in grado di fare alcunché e tutto si sarebbe ridotto a mero attivismo con il rischio della vanità, dell’autoglorificazione. La domanda, pertanto, è se il cardinale elemosiniere, che vedo attivissimo, fa lo stesso. Non è un giudizio, è una domanda.
Un’ultima considerazione. L’attuale Gerarchia dovrebbe chiedersi i motivi per i quali il “gregge cattolico” non segue più la sue indicazioni. Quasi tutti i parroci, la Cei, lo stesso Papa sono pesantemente intervenuti nelle recenti elezioni europee platealmente invitando i fedeli a votare contro i sovranisti in nome di un’Europa che è un frutto del pensiero massonico e che pratica, da sempre, scelte evidentemente contrarie alla fede cristiana, soprattutto in tema di morale familiare e di bioetica. Un intervento di tal genere non si vedeva dagli anni ’50 quando scattò la scomunica per i comunisti e per i cattolici che votavano per il Partito Comunista Italiano. Ma all’epoca la Gerarchia fu obbedita, oggi no. Qual è la ragione? Ecco il quesito che la Gerarchia dovrebbe porsi, che la Cei dovrebbe mettere all’ordine del giorno della sua prossima riunione plenaria. Nel mio piccolo provo a dare un cenno di risposta: non è forse che il “gregge” vessato, ormai, da quasi sessant’anni di progressismo teologico, di derisione da parte di teologi à la page, di bombe poste sotto le sue certezze di fede, di desacralizzazione della liturgia, di privazione del Sacro e del Cielo, è corso dietro al primo Salvini che ha tirato fuori un rosario ed invocato, non importa quanto strumentalmente (a me personalmente è sembrato sincero ma posso sbagliare), l’aiuto del Cuore Immacolato di Maria – una invocazione in qualche modo escatologica, dato che il leader della Lega non ha inventato nulla ma ha solo fatto memoria della Grande Promessa di Fatima – non, si badi!, come è stato slealmente scritto sui giornali, compreso Avvenire, pro domo sua, ossia per vincere le elezioni, ma per l’Europa sbandata e ingabbiata dalle multinazionali, dalle banche globali, dal potere satanico della finanza apolide?
Luigi Copertino