L’IMPERO DELLE BOMBE DEMOCRATICHE  

 


                                                     di Roberto PECCHIOLI

L’impero delle bombe democratiche, l’America che, disse Jefferson, innaffia ad ogni generazione “l’albero della libertà con il sangue dei tiranni e dei martiri” (altrui), ha colpito ancora. Il generale iraniano Suleimani è caduto in Iraq nell’adempimento del dovere di soldato comandato in missione dalla sua Patria. Decliniamo lealmente le generalità: chi scrive è antiamericano fin dalla giovinezza. Figlio di chi contro gli “Alleati” aveva combattuto sul campo, detesta gli occupanti della sua terra e più ancora chi nasconde imperialismo, volontà di dominio, colonialismo militare e culturale sotto le mentite spoglie della democrazia e della libertà. Balle ad uso dei gonzi.

Distinguiamo naturalmente la maggioranza dei popoli che vivono negli Usa dalle loro classi dirigenti, le uniche a meritare il nostro disprezzo. Intanto, un altro morto è sulla coscienza dei “goodfellas” a stelle e strisce, nel silenzio imbarazzato del mondo politico e mediatico europeo. L’Italia, come al solito, brilla per assenza, tra ipocriti comunicati governativi, roboanti manifestazioni di entusiasmo del neo americano Salvini e pensosi pistolotti della stampa progressista allineata come sempre alla “Merica”, terra dei sogni e, concretamente, luogo di origine dei loro privilegi.

Il più serio è stato il vecchio democristiano Mastella; commentando la morte di Suleimani e il silenzio governativo, Clemente da Ceppaloni ha detto la verità scherzando: l’Italia non ha un ministro degli esteri in quanto quel ruolo è già occupato da Mike Pompeo, segretario di Stato dell’amministrazione Trump, abruzzese d’origine. Non è colpa di Giggino Di Maio se siamo una colonia di serie B, una periferia dell’impero nemmeno degna di essere avvertita in anticipo delle intenzioni delle loro maestà di Washington. Dobbiamo morire in conto terzi, occuparci del catering, montare qualche ospedale da campo nelle “missioni internazionali di pace “. Guerra è parola impronunciabile per opinioni pubbliche europee “incapaci di morire e di uccidere”, come scrisse Albert Camus sessant’anni fa. Importante è partecipare, al fianco degli amiconi d’oltreoceano e, ça va sans dire, pagare il conto a piè di lista, come per le spese delle oltre cento basi militari americane in Italia.

E allora, lasciateci sfogare, e dichiarare il nostro tenace, irriducibile dissenso dai signori americani. Non solo nella circostanza dell’assassinio del militare iraniano in un paese terzo, ma rispetto all’intera “american way of life” e alla politica imperiale a stelle e strisce. In Italia non risulta che alcun movimento politico ponga il problema della permanenza nella Nato e della pubblicazione dei protocolli riservati di pace che ci legano ai “liberatori”, quelli che ci hanno portato la cioccolata, le sigarette, la democrazia e ridotto a lustrascarpe.

Sciuscià, ecco quello che vogliono dagli altri popoli di là dell’Oceano. Ricordate il film neorealista di Vittorio De Sica sul bimbo napoletano lustrascarpe dei soldati Usa al tempo della guerra? Repelle già il nome: l’adattamento italiano di shoe shine, poiché lorsignori non si disturbano a capire, tanto meno imparare l’idioma altrui. L’America è perfetta, non si può desiderare nulla di diverso dal suo modo di vita, dalla sua organizzazione sociale ed economica, di conseguenza dobbiamo anche parlare come vogliono loro.

Saremo gli unici, ma non ci stiamo oggi come ieri e come per tanto tempo non ci stettero molti italiani di diverse ideologie. Restiamo quindi nella Nato- sorta per combattere un nemico scomparso 30 anni fa! – e continuiamo a inchinarci alla volontà imperiale di chi (forse) ci ha liberati 75 anni fa, ma che resta in casa nostra, come in quella di tanti altri popoli, a nostre spese, per comandarci senza che neppure si possa alzare il dito.

Altri saranno in grado di imbastire un coerente discorso geopolitico legato all’attuale presenza Usa in Medio Oriente, noi ci limitiamo a un’osservazione da bar dello sport: sarebbero interessati, gli Old Boys, all’Iraq e a combattere l’Iran se non ci fossero di mezzo colossali interessi di politica energetica e se non avessero imposto nel Mediterraneo orientale, insieme con gli inglesi, ex titolari dell’Impero, lo Stato d’Israele? Alcuni amici che si dichiarano di destra con la mano sul cuore, esultano per la nuova impresa americana, accusando noi di essere “talebani” e di non capire che la battaglia è “tra Oriente e Occidente”.

Premesso che non siamo interessati a trascorrere la vita tra mullah, ayatollah e pasdaran, ma non abbiamo dubbi sul fatto che ogni popolo abbia il diritto, anzi il dovere, di vivere in base ai principi della cultura che si è dato. Di passaggio, rileviamo che i feroci talebani non hanno invaso territori altrui e stroncarono con la forza il traffico di oppio in Afghanistan. Quanto al conflitto Oriente –Occidente, gran parte della destra italiana è in ritardo di 30 anni. Sarebbe il caso di avvertire della fine del comunismo e dell’avvento del globalismo a trazione americana.  Parlano di sovranismo senza arrossire, ma è la pesca delle occasioni, come denunciava inascoltato negli anni 80 del secolo passato Beppe Niccolai. Altri ci accusano di parteggiare per regimi dispotici e antifemminili; dimenticano che gli amici loro sono non solo alleati, ma soci in affari (vadano su Wikipedia e cerchino Aramco) dell’Arabia Saudita e degli emirati del golfo persico, noti paradisi di tolleranza, democrazia e femminismo.

Giusto per infrescare la memoria selettiva dei servi sciocchi e felici, ricordiamo che i sauditi hanno ucciso e addirittura smembrato un loro connazionale giornalista, Kashoggi, direttamente all’interno dell’ambasciata in Turchia, che conducono una guerra sanguinosa e dimenticata contro lo Yemen, che stanno ricevendo sofisticati, costosissimi armamenti da Washington, finanziano l’islamismo più estremista in giro per l’Europa e, tanto per gradire, sono alleati di fatto di quelli che dovrebbero essere i loro più irriducibili nemici, gli israeliani. A proposito: il Davide ebraico alleato e mosca cocchiera del Golia a stelle e strisce possiede almeno 200 testate nucleari in grado di raggiungere anche Roma.

Lo storico militare israeliano Martin Levi Van Creveld ha ammesso in un libro del 2003 (The Gun and the Olive Branch) che la cosiddetta “Operazione Sansone”, ovvero il lancio di missili nucleari come ultima risorsa, fa parte delle opzioni di Tel Aviv. Dimenticavamo: da 70 a 90 testate nucleari sono dispiegate in territorio italiano. Ci correggiamo: sono all’interno di basi americane, enclavi extraterritoriali in Italia. Non le controlliamo, non abbiamo potere alcuno su di esse, ma se, Dio non voglia, in uno scenario di guerra quelle basi fossero colpite, le conseguenze, tragiche, sarebbero a carico della nostra popolazione.

Gli americani hanno confidenza con le bombe. Sul Giappone ne hanno lanciate due atomiche, Little Boy e Fat man. Carine, democratiche e giocherellone le bombe dai simpatici nomignoli, nickname Ragazzino e Grassone. Vien voglia di provarne gli effetti. Grida vendetta soprattutto la seconda, quella che ha distrutto Nagasaki, poiché si conoscevano le conseguenze che stava già sperimentando la povera Hiroshima. Se i ricordi storici non ci ingannano, una giustificazione di Truman è esattamente uguale al discorso di Donald Trump: abbiamo evitato perdite di vite umane americane. Non possiamo accusarli di razzismo, per la composizione multietnica degli States, ma almeno di xenofobia ossessiva e di sociopatia. Del resto, gli americani già negli anni 20 del XIX secolo- duecento anni fa – elaborarono l’ineccepibile dottrina Monroe: l’America agli americani. Il problema è che al colonialismo spagnolo, francese e britannico sostituirono il loro attraverso una lunga serie di guerre, che debordarono in Asia (la guerra contro la Spagna per le Filippine) e poi in Europa, a partire dell’intervento nella Prima Guerra Mondiale.

Tutelarono i loro interessi in funzione filo britannica e, già che c’erano, misero i loro piedoni nel nostro continente. Secondo molti, fu soprattutto la galassia Rothschild, noti banchieri “patrioti” che prestavano denaro a tutte le parti in causa, a convincerli a sbarcare dalle nostre parti. Non se ne sono ancora andati: segno che si trovano bene qui, in Medio Oriente e dovunque nel mondo. Lo fanno per noi. Ci portano la democrazia, la libertà, il Mercato, la finanza e intanto ci colonizzano attraverso il cinema, lo spettacolo, la lingua, la musica.

Agli amerikani destri di casa nostra un piccolo consiglio: andate a vedere da dove sono partite tutte le idee che non vi piacciono, femminismo esacerbato, multiculturalismo, mondialismo, politicamente corretto, cultura della droga, omosessualismo, erotizzazione della vita, abortismo, libertarismo sfrenato, materialismo pratico e tanto altro. No, non è l’Unione Sovietica e neppure il pianeta Plutone. Il male ha un’incubatrice, l’America e un vettore, il denaro della finanza, apolide ma con sede laggiù, le università private legate al sistema e l’immenso apparato di potere riservato che chiamano “deep State”, Stato profondo.

Intanto lanciano bombe, esportano democrazia. Una fulminate vignetta di questi giorni – bisogna conservare un minimo di buonumore nonostante tutto- mostra Trump davanti a un doganiere iraniano che gli pone la fatidica domanda rivolta a decine di milioni di immigrati negli Usa: che cosa sei venuto a fare? Trump, che custodisce un piccolo missile nella mano destra, risponde: esporto democrazia. Bene, cerchiamo di fare a meno del prodotto, tanto più che è tutto a nostro carico. Ne sanno qualcosa i cittadini dei paesi interessati dalla cosiddette “primavere arabe” organizzate da lorsignori, dai loro terminali informatici e riservati, dai loro uomini di paglia, svelati da Assange e Wikileaks. Morti, rivolte, nuova instabilità: il caos organizzato per dominare meglio.

E che dire delle guerre balcaniche degli anni 90, la nascita di paesi fantoccio in mano a mafie alle porte di casa nostra, l’Ucraina destabilizzata, spinta alla guerra con la secessione della sua parte orientale, utilizzando gruppi nazisti locali, derubricati da “male assoluto” ad affidabili alleati, o meglio utili idioti? Non amiamo il Venezuela e il suo presidente Maduro, ma ci piace ancor meno l’amicone Guaidò, e comunque la nazione di Bolìvar deve decidere da sola di se stessa. Di Caracas e dintorni, peraltro, si disinteresserebbero sovranamente, a nord del Rio Grande, se non ci fossero il petrolio e l’oro.

Di invasioni e colpi di Stato se ne intendono. Il più suggestivo fu contro il panamense Noriega, un criminale trafficante di tutto che, ohibò, avevano mandato al potere loro stessi anni prima. L’elenco potrebbe continuare a lungo, magari ricordando le minacce di morte di Kissinger a Moro, poi ucciso dalle Brigate Rosse (mah…) e la fine di Craxi che aveva osato ricordare al potente alleato che Sigonella è in Italia. Craxi aveva torto. Le basi americane sono sul nostro territorio, ma non sotto la nostra sovranità.

Qualcuno ricorderà la tragedia del Cermis, quando aerei militari Usa in volo d’addestramento abbatterono la funivia di Cavalese provocando una catastrofe. Quei top gun girano liberi, poiché non possiamo processarli in Italia. La costituzione, pallido foglio di carta brandito come una bandiera di cui non si ammette l’inservibilità, afferma che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Perfetto, il giudice dei militari americani sta negli Usa anche se distruggono un’infrastruttura italiana e decine di vite in un’azione non di guerra.

Vogliamo continuare? Donald Trump minaccia l’Europa di ritorsioni commerciali se oserà tassare al 3, dicesi 3 per cento i giganti tecnologici con sede in Usa: Google, Amazon, Facebook, Apple. Strano che il gioco non gli riesca con la Cina, a cui ha dovuto cedere in parte. La tecnologia 5G è essenzialmente cinese, ma cinesi sono innanzitutto le “terre rare”, i minerali senza i quali non funzionano computer, telefoni cellulari e gli altri appartati di uso comune.

Ultima obiezione, dopo la quale tacciamo per non incavolarci troppo, è alla cosiddetta democrazia americana. Qualunque presidente venga eletto, per la scarsa partecipazione popolare alle elezioni – significherà pur qualcosa sulle convinzioni di tanti americani che non contano nulla- è frutto della volontà (manipolata) di un quarto degli elettori. Per concorrere occorrono miliardi di dollari. Quella è la loro democrazia, in cui si scontrano due partiti espressione di gruppi di potere, interessi, idee che sono d’accordo sull’essenziale. Alternanza senza alternativa: l’hanno esportata brillantemente in Europa.

Non piace sentirselo dire, ma cari europei e italiani, non sapete di essere un continente occupato? Che fareste, se foste ancora vivi come gli altri popoli, anziché spettri in gita nei centri commerciali, se vedeste soldati stranieri, carri armati stranieri nelle vostre strade? Da uomini, insorgereste: è quello che fanno in giro per il mondo, testardi zoticoni che non gradiscono l’importazione del “sogno” americano.  Ricordate Moriconi Nando, il geniale personaggio di Alberto Sordi innamorato dell’America? Dopo aver assaggiato il loro cibo spazzatura, torna agli spaghetti, esclamando il mitico: “Rigatone, m’hai provocato, me te magno! “. Altri tempi. Adesso ragazzi italiani in bicicletta girano le città per consegnare spazzatura commestibile nel nome di multinazionali americane. Pochi spiccioli, la distruzione della civiltà materiale nostra, rischio a carico dei nostri giovani. Qualcuno è già morto, travolto dalle automobili nel traffico, magari per la fretta e la stanchezza.

Eccola l’american way of life, quello è il sogno americano illuminato dalla fiaccola della statua della libertà. Un amico, riflettendo sul mondo contemporaneo, in gran parte una costruzione americana, ci ha detto: non so se Dio esiste, ma Satana esiste certamente ed è al lavoro. Reagan chiamava l’URSS impero del male. Non aveva torto, ma sembra più una chiamata di correo che una rivendicazione del bene. Da parte sciita, chiamano l’America il Grande Satana. Neanche loro sono dei santi, ma hanno buona parte di ragione.

Lo ammettiamo: siamo di parte, ma non potremo avere rispetto dell’America – e di noi stessi- finché non avrà ripreso la strada di casa. L’America agli americani: perfetto. L’Iraq agli iracheni, l’Afghanistan agli afgani e così via. Chi nasceva nel 1945, quando i carri armati Sherman vincevano la guerra e gli aerei alleati bombardavano le nostre città (vi dice niente, cari “destri” filo americani, la scuola milanese di Gorla?) ha ormai 75 anni. E’ nella fase discendente nella vita, ma ha conosciuto un unico scenario: quello delle basi americane a due passi da casa, pagate con le tasse sue e delle generazioni precedenti. Se abita in Sicilia, ha il privilegio di ospitare il MUOS, il centro radar che controlla l’Africa e il Medio Oriente per conto di Washington e le cui radiazioni rovinano la salute di sgradevoli italianuzzi; se vive in Lombardia, Veneto e Friuli ha le bombe atomiche all’angolo. Che sarà mai un morto in più, oltretutto un generale pasdaran, per la coscienza a forma di dollaro degli old boys?

Popolo di sciuscià, smettila di lustrare scarpe e riprendi la tua dignità. Impara dai cavernicoli afgani, dai siriani, dai sudamericani, dai russi del Donbass. Al di là del caso Suleimani, esigi dal tuo parlamento che voti la stessa risoluzione di quello iracheno che ha chiesto la partenza degli eserciti stranieri. Davanti all’esercizio della loro democrazia, esportata con tanta grazia, gli americani non potranno che commuoversi e fare fagotto. O no?