L’INCONTRO TRA PUTIN E ERDOGAN MIRA AD APPIANARE LE DIVERGENZE E AD ACCORCIARE LE DISTANZE TRA GLI ALLEATI

 

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

 Tradotto da: Alice Censi

Nella prima settimana di ottobre gli Stati Uniti informavano la Turchia e la Russia della loro intenzione di ritirarsi dal nord-est della Siria (NES). Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a quel punto metteva in atto un piano, pronto in realtà da più di un anno, per far entrare le sue truppe nel NES e prendere così il controllo di alcune città come Manbij, Ain al-Arab e Ras al-Ayn, una zona complessivamente lunga 440 km e profonda 35 (km). Il comando centrale statunitense e il comando militare russo venivano informati, insieme ad altri paesi tra cui la Siria,  delle intenzioni turche di avanzare approfittando del vuoto che si andava creando. Ankara è convinta che questa incursione in territorio siriano serva alla sua sicurezza e le permetta di collocarvi milioni di rifugiati siriani che attualmente vivono in Turchia oltre a tutti coloro che vorranno andarsene da Idlib nel momento in cui inizierà la liberazione della città. Erdogan ritiene che sia necessario creare una zona di sicurezza tra il confine turco e questa parte della Siria che è controllata dal ramo siriano del PKK, l’ YPG, inserito nella lista delle organizzazioni  terroristiche degli Stati Uniti, dell’ Europa, della NATO e della Turchia.  

La veloce decisione della Turchia metteva in allarme Washington e il presidente Donald Trump mandava una lettera al suo omologo ad Ankara, (considerata umiliante dalla Turchia) in cui lo esortava a “non fare il pazzo” e ad aspettare prima di agire. Contemporaneamente il presidente Putin convocava una riunione del consiglio di sicurezza della Russia per discutere del ritiro delle truppe degli Stati Uniti e dell’intenzione turca di rimpiazzarle nel NES. Fonti dell’intelligence inoltre confermavano che erano in corso i preparativi per la partenza delle forze americane. Veniva interpellato il presidente siriano Bashar al-Assad dopo essere stato informato delle intenzioni degli Stati Uniti e della Turchia.  

Chi prende le decisioni in Siria valutava la situazione: informazioni preliminari confermavano che gli Stati Uniti erano determinati ad andarsene malgrado l’attitudine del presidente Trump a cambiare idea frequentemente all’ultimo minuto. Alla fine tutti decidevano di prendere in seria considerazione la decisione americana e di affrontarla, radunando le truppe da mandare nel NES.  

Prima dell’annuncio ufficiale da parte degli Stati Uniti, Damasco cercava di mettersi in contatto con i curdi siriani per saggiare la loro reazione alla decisione del ritiro americano, decisione che avrebbe indiscutibilmente cambiato le carte in tavola. L’YPG si dimostrava sprezzante. Damasco a quel punto capiva che i curdi riponevano tutte le loro speranze in un intervento di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia volto a far recedere Trump dalla sua decisione. I leaders politici curdi erano chiaramente scettici in merito alla capacità di Trump di mettere in atto il suo proposito. 

Damasco si convinceva del fatto che i curdi non avevano imparato la lezione e continuavano a scommettere sulla  presenza di forze straniere, ( Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia e Israele) che, guarda caso, avevano deciso di ritirarsi e non occupare più illegalmente il NES. Era chiaro che i curdi sarebbero stati i grandi perdenti. Ma per il governo siriano era pure impensabile lasciare tutto il NES sotto il controllo turco se gli Stati Uniti se ne fossero andati.

I dirigenti siriani capivano che la Russia e l’Iran stavano privilegiando il dialogo con la Turchia per poter coordinare la presenza militare nel NES. Il loro scopo era quello di attenuare le tensioni con Ankara, di evitare lo scontro con le truppe turche in Siria, organizzare la loro presenza e limitarne l’avanzata per permettere la partenza delle truppe americane. Sarebbe ovviamente stato nell’interesse degli Stati Uniti uno scontro tra turchi e siriani nel NES, un’eventualità che la Russia e l’Iran hanno cercato in tutti i modi di evitare.

La preoccupazione di Ankara era quella che i curdi siriani, un ramo del PKK, organizzazione definita terroristica, scommettessero sull’appoggio americano ed europeo fino al giorno del ritiro delle loro truppe. Era d’obbligo riempire il vuoto creatosi e chiudere la strada a un possibile ritorno di queste forze. Le forze turche assicuravano la consegna della terra al governo siriano. Ciononostante Damasco adesso dovrà affrontare un’altra occupazione , quella turca, perché è probabile che la Turchia non si ritiri in breve tempo, a dispetto di tutte le promesse fatte da Ankara e Mosca.

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L’incontro tra Putin e Erdogan mira ad appianare le divergenze e ad accorciare le distanze tra gli alleati