Perché l’Italia dovrebbe fare la guerra fredda alla Russia? Uno dei ritornelli più consunti della politica internazionale che si leggono in queste ore sulla stampa italiana, dopo la scontata rielezione Putin alla presidenza russa e il caso Skripal, si chiama “solidarietà atlantica”. Ma per l’Italia in che cosa consiste? I termini militari questo: il nostro è il Paese della Nato con più ordigni nucleari americani in Europa anche se non li gestisce direttamente, oltre 70, di cui 20 nella base di Ghedi e 50 ad Aviano. Tra le testate ci sono anche bombe termonucleari della potenza di 50 chilotoni la cui presenza costituisce in caso di conflitto nucleare il motivo di un ipotetico attacco preventivo.
Se poi si passa alla politica, la cosiddetta “solidarietà atlantica” per l’Italia ha aspetti paradossali. Le atomiche degli Usa in Italia, come le basi o le “facilities” delle forze armate americane, sono quasi sempre per i politici italiani un argomento tabù, anche per quelli che hanno appena vinto le elezioni: non se ne parla mai perché il gradimento di Washington a un leader o a un partito resta un aspetto fondamentale. L’ombra di Sigonella, con lo scontro nel 1985 tra Craxi e gli Stati Uniti di Reagan sulla la sorte dei sequestratori della nave Achille Lauro, permane come una sorta di monito: prima o poi i conti con Washington si pagano.
Nessuno vuole disturbare il manovratore della Nato, (cui per altro Donald Trump vorrebbe che gli europei contribuissero di più). Anche quando il manovratore non fa esattamente i nostri interessi: lo ha detto anche qualche tempo fa l’ex capo di stato maggiore Vincenzo Camporini quando Francia, Usa e Gran Bretagna decisero nel 2011 di bombardare la Libia Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Ricordiamo che all’epoca la Russia si astenne sula risoluzione Onu che diede il via ai bombardamenti: “Se non avessimo concesso le basi italiane per i loro aerei le operazioni di bombardamento sarebbero state più lunghe e difficoltose”. Quindi, è il ragionamento del generale, opporsi era tecnicamente possibile, invece ci siamo anche accodati ai raid con una decisione presa essenzialmente dall’ex capo di stato Giorgio Napolitano.
Per quanto riguarda la Libia, l’Italia la “solidarietà atlantica” ed europea l’ha vista davvero poco: decine di miliardi persi, centinaia di migliaia di profughi mentre l’argomento immigrazione è stato decisivo nel determinare il nuovo quadro politico. Insomma Salvini e Di Maio devono in parte i loro voti anche al fallimento di questa “solidarietà atlantica” (ed europea), che l’Italia non ha mai visto, al contrario.
E’ interessante il paragone con la Turchia di Erdogan, Paese membro della Nato dal 1952, che ospita un centinaio di testate nucleari e i missili americani puntate contro Mosca e Teheran. Erdogan ha ottenuto 6 miliardi dall’Unione europea per tenersi 2,5 milioni di profughi e la solidarietà atlantica per lui è carta straccia. In questi giorni è entrato con le truppe nella città curda di Afrin facendo 1.500 morti e 200mila profughi, bastonando proprio i curdi siriani alleati degli Stati Uniti contro il Califfato quasi sotto gli occhi delle truppe Usa schierate a Manbij.
Non solo. Il 4 di aprile incontrerà a Istanbul proprio Putin e il presidente iraniano Hassan Rohani, i due avversari della “solidarietà atlantica”, per mettersi d’accordo sulla spartizione in zone di influenza della Siria di Bashar Al Assad. Ora non si capisce perché l’Italia dovrebbe essere una nemica della Russia di Putin, visto che non riesce neppure a farsi rispettare da Erdogan, il quale, dopo essere stato in visita a Roma, ha pure bloccato con le navi militari la piattaforma Eni della Saipem 12000 nelle acque di Cipro. In altri tempi un atto di guerra. Neppure in questo caso si è vista la solidarietà atlantica ed europea. Eppure la Turchia sarebbe un alleato.
I nuovi leader italiani dovrebbero essere franchi con gli Stati Uniti: la guerra fredda alla Russia di Putin la facciano loro con la Gran Bretagna, che non vuole pagare i conti della Brexit, e la Francia. Ma c’è un dettaglio: nel 2016 l‘export di armi italiane ha raggiunto un record di 15 miliardi di euro con un aumento dell’80% rispetto all’anno precedente e nel 2017 probabilmente ci sarà un nuovo risultato eclatante grazie all’export nelle monarchie del Golfo. All’Italia, Paese che ha perso la guerra, la “solidarietà atlantica” serve soprattutto a questo. Basta non ammantarla delle fesserie ideologiche che si leggono sulla stampa italiana.