DI FEDERICO DEZZANI
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Si accende in Spagna lo scontro tra Madrid e Barcellona: la Guardia Civil ha arrestato una quindicina di esponenti politici e sequestrato milioni di schede relative al referendum sulla secessione della Catalogna, già proibito lo scorso febbraio dalla Corte Costituzionale. La consultazione costituisce un vero e proprio attacco all’integrità della Spagna. Le autorità di Bruxelles, possibiliste sull’indipendenza della Catalogna, al momento tacciono, ma già si alzano dalla stampa critiche per la deriva “autoritaria” del premier Mariano Rajoy. La secessione di Barcellona si inserisce nel più ampio disegno degli Stati Uniti d’Europa, dove gli Stati nazionali dovrebbe essere sostituiti da un governo federale in alto, e dalla macroregioni in basso.
Secessione della Catalogna: “il Manifesto per una rivoluzione unitaria dell’Europa” diventa realtà
Gli sforzi dell’establishment euro-atlantico per riplasmare il Vecchio Continente procedono su più linee: dall’economia alla società, dalla demografia all’integrità degli Stati nazionali. In ambito economico, abbiamo assistito all’imposizione coatta delle “riforme strutturali” di stampo neo-liberista e alla somministrazione di quell’austerità che ha portato al lastrico l’intera Europa meridionale. Sotto l’aspetto dei costumi, siamo stati testimoni di un violentissimo attacco alla famiglia tradizionale e, parallelamente, alla promozione del modello LGTB. Per quanto concerne la demografia, prima si è inflitto un duro colpo alla già bassa natalità europea con le politiche economiche lato offerta, dal chiaro sapore malthusiano, e poi si è inondato il continente con flussi migratori crescenti dall’Africa e dal Medio Oriente, destabilizzati ad hoc. Ora, è la volta degli Stati nazionali, considerati un relitto dello scorso secolo e, sopratutto, un ostacolo verso quell’Europa federale tanto agognata dall’élite liberal. Pensiamo, ovviamente, a quanto sta accadendo in Spagna.
Non è nostro interesse approfondire la storia iberica: è sufficiente dire che lo Stato spagnolo, come la maggior parte degli omologhi europei, si è consolidato nei secoli raggiungendo i propri confini naturali ed inglobando al suo interno minoranze linguistiche. È proprio su queste faglie culturali-linguistiche che si inseriscono gli sforzi per smembrare oggi la Spagna: un domani non troppo remoto potrebbe essere il turno dell’Italia e, in prospettiva, il processo dovrebbe allargarsi all’intera Europa. La cartina geografica risulterebbe così stravolta: dissolti gli Stati nazionali, la loro eredità sarebbe raccolta da un governo federale al livello più alto (i massonici Stati Uniti d’Europa) e dalle macroregioni europee al livello più basso.
Chi scavasse un poco dietro il movimento indipendentista catalano ed i suoi omologhi europei (si veda il nostro lavoro sulla Lega Nord di Gianfranco Miglio ed Umberto Bossi) scoprirebbe infatti gli stessi poteri che si nascondono dietro le istituzioni di Bruxelles: tanto i secessionisti catalani sono spietati verso il proprio centrale, quanto sono ben disposti verso la moneta unica e la tecnocrazie europea1. Lo stesso discorso vale per i vetero-leghisti del calibro di Roberto Maroni, convinto sostenitore dell’autonomia della “macroregione del Nord” dal resto dell’Italia, all’interno, ovviamente, dell’Unione Europea2.
Il primo passo per condurre gli Stati nazionali alla frantumazione consiste nel sovraccaricarli di tensioni socio-economiche: a questo scopo adempie perfettamente l’austerità cui la Spagna (idem per l’Italia) è sottoposta a partire dal 2011. La caduta verticale degli indici macroeconomici, scatena “la lotta” per le risorse, utile ad alimentare le spinte indipendentiste: la ricca Catalogna (idem la Lombardia ed il Veneto) usa la tematica del residuo fiscale positivo (paga allo Stato più di quanto riceve) per rendere accattivante l’indipendenza dalla Spagna in bolletta.
Il secondo passo coincide con lo sprigionamento delle forze separatiste (il progetto del referendum nasce nel 2012), che agiscono in perfetta sintonia con la tecnocrazia europea: è importante notare, ai fini della nostra analisi, come la Catalogna che rivendica la propria secessione dalla Spagna sia la stessa che lo scorso febbraio è scesa in piazza contro la decisione di Madrid di bloccare la ripartizione degli immigrati caldeggiata da Bruxelles3. Chi volesse indagare più a fondo, dovrebbe interessarsi dei legami massonici che uniscono il movimento separatista catalano (si veda la bandiera con espliciti richiami alla libera muratoria) agli “illuminati” che siedono ai vertici della piramide di Bruxelles.
Il terzo passo è rappresentato dall’appoggio di Bruxelles alle spinte secessionistiche. Ora, bisogna distinguere tra appoggio “astratto” ed appoggio “pratico”: il primo può essere esplicito (perché non urta direttamente nessun Stato dell’Unione Europea), il secondo, calato nella realtà politica, deve essere molto più discreto, perché è grande il rischio di scatenare l’ira di qualche cancelleria. La teoria della scomparsa degli Stati nazionali, cannibalizzati dall’Unione Europea e dalle macroregioni, è esplicitamente illustrata nel libro “Per l’Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria”, opera degli euro-parlamentari Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit. Secondo i due autori, ferventi europeisti4:
“Gli Stati nazionali non servono più a niente, perciò è ora di voltare pagina e inaugurare la federazione europea, ovvero gli Stati Uniti d’Europa. (…). L’Europa federale è il cammino per proteggere la nostra sovranità e preservare il nostro modello sociale in un mondo dominato da imperi come Usa, Cina, India, Russia e Brasile (…) Ma cos’è in pratica la federazione europea? Il discorso è lungo, ma si può riassumere così: lo Stato nazionale (Roma, Berlino, Parigi e così via) viene scavalcato sia verso il basso, valorizzando ad esempio il ruolo degli enti locali e delle regioni, che verso l’alto, con la delega di tutta una serie di competenze a Bruxelles, come la politica estera, la difesa e, appunto, la politica economica. Una delle critiche che vengono mosse più spesso all’Euro, infatti, è di non avere uno Stato unitario dietro. Ecco che la federazione europea colmerebbe esattamente questa lacuna.”
Fin qui, la teoria. Ora si tratta di calarla nella realtà, ossia di procedere con la secessione della Catalogna dalla Spagna: su questo terreno, le autorità di Bruxelles devono necessariamente muoversi con passo felpato, per non innescare una crisi diplomatica con Madrid. Ecco quindi, Jean-Claude Juncker, presidente della commissione europea, dichiararsi possibilista alla secessione di Barcellona. Come si legge nell’articolo “Juncker apre uno spiraglio sull’indipendeza della Catalogna”5 del 14 settembre, il presidente della commissione si sbilancia:
“Abbiamo sempre detto che rispetteremo la sentenza della corte costituzionale spagnola e del parlamento spagnolo. Ma è ovvio che se un giorno l’indipendenza della Catalogna vedrà la luce, rispetteremo questa scelta. Ma in quel caso la Catalogna non potrà diventare membro dell’UE il giorno successivo al voto”.
Poco importa se la Corte costituzionale spagnola ha proibito il referendum ed il premier Rajoy lo ha dichiarato illegale. Se la Catalogna svolgerà comunque la consultazione ed otterrà l’indipendenza, bé, secondo Juncker, Bruxelles dovrà a quel punto avviare l’iter per l’ingresso del nuovo soggetto politico nell’Unione Europea. Le parole di Juncker sono quasi un “nulla osta” per i separatisti catalani, tanto più che coincidono conl’apertura ufficiale della campagna referendaria6. Di fronte alla volontà dei secessionisti di ignorare la Corte Costituzionale ed alla simpatia, neppure troppo velata, che Bruxelles mostra per una Catalogna indipendente, il governo centrale non può che passare all’azione: il 15 settembre Madrid assume il controllo delle finanze catalane ed il 20 settembre, attua un ulteriore giro di vite, con l’arresto di 14 esponenti politici ed il sequestro di dieci milioni di schede elettorali. Un intervento deciso che, immancabilmente, scatena l’immediata reazione dei secessionisti: “La polizia arresta 14 funzionari catalani per evitare il referendum: scoppia la tensione” scrive La Stampa.
La commissione europea è, ovviamente, costretta a trincerarsi dietro un “no comment”7 per evitare che la crisi degeneri in un pericolosissimo braccio di ferro tra Madrid e Bruxelles. Tuttavia, salta subito all’occhio come agli ambienti “europeisti” la causa catalana stia molto a cuore: il referendum per la secessione, proibito dalla Corte costituzionale iberica, è un’espressione di democrazia, mentre la reazione del governo centrale puzza di violazione dei diritti umani.
Ma è soprattutto leggendo la stampa che si evince come l’establishment euro-atlantico sia schierato a fianco dei secessionisti catalani: anziché presentare l’azione del governo centrale come una legittima difesa della costituzione e dell’ordinamento giuridico, grande enfasi è data al blitz della polizia, agli arresti, alla manifestazioni di piazza contro l’esecutivo, alla determinazione dei secessionisti catalani di procedere con il referendum, nonostante tutto. Sembra quasi di rivivere lo stesso copione cui abbiamo assistito tante volte in questi ultimi anni: le piazze delle Primavere Arabe contro i sanguinari “dittatori”, Euromaidan in Ucraina, le proteste di Gezi Park contro Erdogan, etc. etc. Già, il presidente Receo Erdogan: se la “svolta dura”8 di Mariano Rajoy dovesse intensificarsi, sono già pronti parallelismi con il sultano turco.
Poco importa, quindi, se l’Unione Europea sia agonizzante, i suoi leader più discreditati che mai, la moneta unica appesa ai destini di Mario Draghi e le forze centrifughe sempre più forti: finché la testa del serpente non sarà tagliata, bisognerà attendersi i colpi di coda dell’oligarchia euro-atlantica. Oggi tocca alla Spagna, vittima di un chiara manovra tecnocratica-massonica per smembrare la sua integrità territoriale. Un domani, potrebbe toccare all’Italia: c’è da chiedersi chi, in quel caso, sventerebbe i piani di balcanizzazione già tentati nel 1992-1993.
Federico Dezzani