di Roberto Pecchioli
A pensar male, diceva Giulio Andreotti, si fa peccato, ma talvolta si colpisce il bersaglio. E’ in uscita in Italia un film che batterà certamente primati di spettatori ed incassi, proiettato in ben 589 sale della penisola. Si tratta di Gemini Man, interpretato da uno dei più amati attori di Hollywood, Will Smith, diretto da un regista famoso, il premio Oscar Ang Lee. Viene presentato come uno straordinario esperimento di effetti speciali e di innovazione tecnologica al servizio della cinematografia. Il filo conduttore della trama è la clonazione umana. Il retropensiero di cui parlavamo all’inizio è che la pellicola, oltreché uno strumento per realizzare profitti in tutto il mondo per la ben oliata macchina di intrattenimento e colonizzazione culturale made in Usa, sia anche un espediente per “far passare” tra il pubblico la pratica della clonazione umana, ovvero la creazione tecnologica in laboratorio di esseri umani perfettamente identici per aspetto, impronta genetica, indole, comportamento ed idee.
Il film narra di un maturo agente della DIA (Defense Intelligence Agency, il principale apparato d’intelligence per l’estero degli Stati Uniti), un killer provetto desideroso di chiudere con la sua singolare professione. Per la sua abilità, i superiori non intendono fare a meno di lui, ma, dinanzi al rifiuto di svolgere altre missioni da assassino di Stato, gli mettono alle calcagna per ucciderlo il suo clone, più giovane di venticinque anni, creato attraverso la manipolazione del DNA. Divenuto bersaglio di un se stesso con le medesime abilità, in grado di anticipare ogni mossa e con il vantaggio della giovinezza, l’ex assassino intraprende una lotta senza esclusione di colpi contro il suo duplicato, nel tentativo di salvare la propria pelle e quella del clone prima che si distruggano a vicenda. Il film è una sfida tecnologica dagli spettacolari effetti speciali, e attorale, con Will Smith impegnato ad interpretare un personaggio di mezza età e insieme se stesso più giovane, ma esattamente identico nel corredo genetico, nell’aspetto, nelle modalità d’azione e di pensiero.
Saremo eccessivamente sospettosi, ma Hollywood raramente fa qualcosa per caso. L’industria cinematografica è un formidabile elemento di orientamento e formazione dell’opinione pubblica, nel senso voluto dalle élite americane liberal, per cui il film merita di essere commentato per il messaggio che veicola. Le prime recensioni sembrano confermare le nostre perplessità. Una riferisce che “la sensazione di partecipare a un videogioco si mescola allo sforzo degli attori di non renderlo tale, mentre il piano narrativo e quello metanarrativo si confondono e si mescolano ripetutamente”; la sciatteria dei dialoghi è tale da vanificare ogni entusiasmo o riflessione sul possibile futuro dell’uomo, lamenta un altro.
Le sale cinematografiche hanno una clientela prevalente di giovani e giovanissimi, inevitabilmente ricettivi come spugne, di bocca buona, a cui vengono fatte introiettare le idee e le visioni del mondo che interessano il potere, senza alcun approfondimento e giudizio morale. Chissà che non vogliano abituarci, a colpi di effetti speciali, grafica postmoderna e tecniche che rendono più veloci le sequenze, a una nuova frontiera dell’umanità, sdoganando preventivamente il confine tra umano e transumano rappresentato dalla clonazione. Il recensore di un sito specializzato ha la pulce nell’orecchio e conclude con una certa preoccupazione: “E se la verità fosse un’altra? Cosa cerca di dirci sull’immagine e sulla permanenza del suo spettro Ang Lee?”.
Non lo sappiamo, ma stiamo in guardia: lo spettacolo, spiegò Guy Debord, è l’essenza della nostra società, un rapporto di potere mediato dalle immagini. In più, rappresenta il veicolo privilegiato per normalizzare pratiche, idee, possibilità prima condannate o interdette dalla morale comune (finestra di Overton). Nella fattispecie la clonazione, cioè la possibilità di plasmare la vita, riprodurre l’individualità umana, replicandola attraverso tecnologie di controllo genetico. Una delle chiavi consiste nel tacere, bypassare ogni obiezione di tipo etico. Nel film, la clonazione è già un fatto, uno strumento utilizzato dal potere. Specie nelle menti giovanili, ciò induce a non riflettere, dare per scontato, rimuovere le obiezioni di tipo morale e ignorare i profili di rischio. Il passo successivo è l’inevitabile normazione giuridica, in base al principio enunciato dal giurista tedesco Otto Lenel: il diritto nasce dal rispetto del fatto, ovvero l’accettazione psicologica collettiva di un dato di fatto creato o imposto da un potere materiale. La clonazione è una pratica tecno scientifica le cui possibilità sono già esplorate. Secondo la legge di Dennis Gabor, fisico premio Nobel, ciò che diventa possibile tecnicamente, verrà inevitabilmente realizzato.
Indipendentemente dalle intenzioni del film, dunque, il dibattito si animerà. Vale la pena mettere alcuni punti di fermi. La possibilità di fabbricare esseri umani “à la carte” con la clonazione non è per l’immediato, ma i progressi scientifici la rendono possibile in un tempo non determinato. La manipolazione dei geni è già in agenda. In Cina un paio di mesi fa è stata annunciata la nascita del primo gatto clonato, copia del defunto Garlic, il micio di un giovane imprenditore. Con la spesa, tutto sommato modica, di 35 mila dollari, è nato un Garlic nuovo di zecca, dal medesimo DNA del precedente, con il difetto di fabbricazione di una macchiolina nera sul pelo, dovuta allo sviluppo embrionale.
A tutt’oggi, nessun essere umano è stato clonato, nessun DNA completo è stato copiato. Il futuribile replicante umano sarà fisicamente identico al suo predecessore genetico. Che cosa sarà del suo carattere, dei suoi gusti, idee, maniera di comportarsi? Non siamo solo geni, rassicura qualche scienziato, convinto (ancora) dell’unicità della persona. “Il 50 per cento è DNA, l’altro è determinato dall’ambiente, dall’educazione e dalle esperienze.” Speriamo di cuore che sia così ed avesse ragione l’approccio comportamentista della psicologia introdotto agli inizi del secolo XX da John Watson, ma non siamo assolutamente tranquillizzati, specie per l’egemonia del pensiero strumentale. Nessuna obiezione di tipo etico, antropologico e ontologico è ammessa se una scoperta può essere oggetto di mercato. La forma merce domina su tutto e scavalca senza difficoltà il principio di prudenza.
Il cinema mostra lo spettacolo della clonazione umana, i suoi effetti pratici, mentre manca ogni normativa internazionale al riguardo, tranne, per l’Unione Europea, la Convenzione di Oviedo, un protocollo che la vieta esplicitamente per “proteggere i diritti umani e la dignità dell’essere umano” rispetto alle applicazioni della biologia e della medicina. Il trattato venne firmato nel 1997, pochi mesi dopo la prima clonazione animale, la pecora Dolly “prodotta” a partire da una cellula adulta, l’inizio di una rivoluzione bioscientifica e bioetica. Da allora si cerca con modesti risultati di fissare le frontiere etiche delle biotecnologie.
La mercificazione globale, che ha raggiunto il corpo umano e la sua dimensione più intima, quella genetica, non fa ben sperare. In vent’anni sono stati creati (usiamo il verbo creare per dare conto della grandiosità di quanto avviene, nonché della dimensione morale e antropologica sottostante) i primi primati frutto di clonazione, i macachi Zhong Zhong e Hua Hua, nati nel 2018 in laboratori cinesi. Sono stati nel frattempo conseguiti grandi traguardi nella biomedicina: la riprogrammazione cellulare valse al medico giapponese Shinya Yamanaka il Nobel del 2012. La scoperta dell’enzima detto CRISPR-Cas9 è il fulcro del processo di “edizione” del genoma, proteina capace di praticare tagli all’interno della struttura a doppia elica del DNA.
Il problema è che molti paesi non hanno firmato o ratificato i vari protocolli e raccomandazioni emanati negli ultimi anni. La riservatezza delle sperimentazioni, coperte da segreto industriale o di Stato, non permettono di conoscere che cosa sta accadendo nelle officine di Vulcano dei genetisti. Non esiste un accordo internazionale che impedisca di modificare la linea germinale degli esseri umani, cioè generare persone con modificazioni genetiche ereditabili dalla discendenza. Pochi mesi fa, uno scienziato cinese ha annunciato di aver varcato il confine della manipolazione umana, creando i primi bebè geneticamente modificati per via embrionale. Un atto irresponsabile, ma non illegale in Cina, nonostante le tecniche legate all’enzima CRISPR siano all’inizio e non si conoscano le conseguenze del loro utilizzo. Un grande rischio, dunque, non giustificato neppure dalla cura di malattie genetiche, ma solo per “migliorare” il genoma delle bimbe coinvolte. Scienziati europei sottolineano che non è neppure dimostrato che l’obiettivo sia stato raggiunto. Le bimbe sono state consapevolmente esposte a rischi sconosciuti e potenzialmente elevati, che riguardano l’intera specie umana, giacché le modifiche genetiche potrebbero essere trasmesse alla discendenza.
Le ricerche cinesi, inoltre, sono state svolte nel più assoluto riserbo e contro l’opinione della comunità scientifica. Si ha la raggelante sensazione di vivere nel gabinetto del dottor Caligari di un vecchio film dell’orrore. Siamo ancora lontani dalla possibilità di associare caratteristiche particolari con il patrimonio genetico sottostante. Ci troviamo nella fase di speculazione e di fabulazione che può indurre paure irrazionali, ma in soli vent’anni sono stati conseguiti grandi risultati nella clonazione animale, nella biomedicina tesa alla riprogrammazione cellulare e nelle scoperte che permettono di “editare” il genoma, ossia la totalità del DNA, l’acido disossiribonucleico contenente le informazioni genetiche relative agli organismi viventi.
La scienza, come avverte la legge di Gabor, corre sempre più in fretta del senso comune, della legge scritta e non subisce alcun condizionamento morale, in particolare allorché si intravvede lo sfruttamento economico di una innovazione tecnoscientifica. Molti suggeriscono di adattare semplicemente la legislazione alle scoperte. Non siamo d’accordo: gli imperativi morali e politici devono ritrovare la loro centralità, a partire da una formulazione più stringente della Dichiarazione Universale sul Genoma e i Diritti Umani promossa dalle Nazioni Unite
Non succederà nulla, temiamo. Le ricerche scientifiche spinte dagli interessi economici e da quelli di dominio – creare un’umanità “su misura” è il sogno di ogni ideologia totalizzante – sono immensi, le diverse sensibilità culturali tra le civiltà umane fanno il resto. Non si riconosce più all’uomo lo statuto di creatura intangibile, dotata di un patrimonio culturale, personale, etico e genetico indisponibile, così come non si riesce a fermare lo sfruttamento intollerabile della natura. Il sistema vigente aborre ogni limite, tratta creato e creature come mezzi, cose da sfruttare. Non tollera obiezioni, ostacoli, frontiere, divieti. Possedendo un potere pressoché totale, manipola senza posa i suoi sudditi, noi tutti. Anche la clonazione, ovvero la ri-creazione genetica dell’uomo, un’impresa dagli esiti imprevedibili e giganteschi, è banalizzata, ricondotta a spettacolo da consumare, fatto già “digerito”, elaborato, persino divertente ed avvincente, come nel film Gemini Man.
Il grande matematico e fisico Henri Jules Poincaré scrisse che non ci può essere una morale scientifica, ma nemmeno una scienza immorale. Tuttavia, la dimensione etica è stata espulsa dal perimetro illimitato della modernità, e la regola è realizzare tutto ciò che è tecnicamente possibile, procura guadagno o estende il potere di chi ha il controllo dei mezzi. Non ci resta che rammentare invano l’Elogio della follia dell’umanista Erasmo da Rotterdam: “Dio, architetto dell’universo, interdisse all’uomo di assaggiare i frutti dell’albero della scienza, come se la scienza fosse veleno per la felicità”.