Matteo D’Amico
Cari amici vi faccio notare un particolare: a Dublino è scoppiata una vera e propria sommossa, con incendi e devastazioni, dopo uno strano accoltellamento operato da uno squilibrato fuori da una scuola elementare. La polizia non ha rivelato l’etnia della persona arrestata, ma gira voce che sia algerino. In realtà pare sia persona naturalizzata da vent’anni (non cioè un immigrato recente). Ebbene perché è difficile credere alla natura spontanea degli eventi (sia l’assalto del “folle”, sia la reazione della folla)? Perché pochi sanno che l’Irlanda è il paese al mondo con la posizione più dichiaratamente e pubblicamente filo-palestinese. Forse i molto abili servizi segreti di un paese specializzato nel perseguitare i palestinesi ha pensato bene di dare un segnale ai politici irlandesi, tentando al contempo di rendere antiislamici i sentimenti della popolazione.
Libri. “Per l’onore di Irlanda. L’insurrezione irlandese del 1916” di Gulisano
by Maurizio Bergonzini – 7 Agosto 2016
30 aprile 1916: sedata nel sangue la rivolta di Pasqua a Dublino
Il centesimo anniversario della “ Rivolta di Pasqua”, l’insurrezione di Dublino contro la plurisecolare dominazione britannica, ha avuto in Italia un eco limitato nonostante il fascino che “l’ isola verde” emana. Paolo Gulisano con “Per l’onore di Irlanda. L’insurrezione irlandese del 1916” ( edito da IL Cerchio, euri 18, 160 pagine) offre un motivo di riflessione generale non solo una ricostruzione di quei fatti storici che William Butler Yeats, premio Nobel per la letteratura, così cantò «Li ho incontrati al cadere del giorno / mentre ritornavano animati in viso / da banchi di negozi / o scrittoi tra grigie / case del diciottesimo secolo. (…). Noi conosciamo il loro sogno / basta sapere che sognarono e son morti. / E che importa se eccesso d’amore / Li sconvolse fin che morirono? / Lo scrivo in rima: / MacDonagh e MacBride / E Connolly e Pearse. / Ora e nel tempo avvenire, / ovunque s’indossi il verde, / sono mutati, interamente mutati: / una bellezza terribile è nata».
Il volume di cui trattiamo ripercorre le vicende irlandesi dall’invasione, nel 1171, di Enrico II re normanno di Inghilterra alla colonizzazione di Elisabetta I con il conseguente tentativo anglicano di spezzare la Chiesa Cattolica irlandese, costretta alla clandestinità e perseguitata in ogni modo, dalla “ plantation” la colonizzazione dell’Ulster da parte di fanatici protestanti fedeli alla corona inglese cui furono concesse le terre confiscate alla ribellione del 1798 e all’abolizione nel 1829 dell’esclusione di cattolici e presbiteriani dalla vita pubblica.
Il dottor Gulisano (saggista, medico e fondatore e Vice Presidente della Società Chestertoniana italiana) dà giusto rilievo alla “grande carestia” che a metà ottocento portò alla morte un milione di irlandesi e ne costrinse all’emigrazione più di un milione e mezzo in gran parte verso gli USA e le città industriali britanniche. Questa tragedia e questo sradicamento misero in pericolo la stessa persistenza del gaelico divenuta la lingua dei poveri, dei contadini, dei pescatori, dei vagabondi.
E non a caso Yeats in Fiabe irlandesi scrisse : “Una lingua rappresenta la memoria collettiva «naturale» di una popolazione: se questa, per impossessarsi di un nuovo strumento linguistico, perde il contatto con il suo mezzo d’espressione più antico, diviene del tutto incapace di riconoscersi nelle proprie tradizioni: come potrà, allora, affermare la propria identità?” Da qui nasce, ed è al centro dell’analisi di Gulisano, uno sforzo e impegno corale che, al fianco dei tentativi politici e insurrezionali, si propone di ribadire l’identità irlandese dando ad essa rinnovata espressione dall’esperienza dell’Abbey Theatre inaugurato nel 1904 con la messa in scena di Cathleen Ni Houlihan di Yeats alla fondazione nel 1888 del Celtic nato nei quartieri di immigrati irlandesi poveri a Glasgow, dalla rinascita del football gaelico alla fondazione da parte di Patrick (o Padraig come preferiva essere chiamato) Pearse (uno dei fucilati dai britannici dopo la rivolta di Pasqua) della Scoil Enna che ambiva a incarnare il progetto di un’educazione bilingue tesa a “ valorizzare la cultura irlandese e fondata sui valori cattolici”.
In queste poche righe abbiamo un poco tralasciato la attenta e rigorosa ricostruzione dei fatti storici che Gulisano offre. Ma essa, pur importante,ci sembra non debba mettere in secondo piano quel che appare il dato fondamentale: la lotta per l’identità comunitaria, la lotta per non farsi strappare l’anima.
* Per l’onore di Irlanda. L’insurrezione irlandese del 1916 di Paolo Gulisano (Ed Il Cerchio euro18)
L’Irlanda ricorda l’aiuto del Sultano durante la Grande carestia
Le patate hanno un posto speciale nella cultura irlandese, poiché per secoli la popolazione dell’Isola di Smeraldo ha fatto affidamento su questo tubero come alimento base.
Una carestia durata sette anni, nota come Grande carestia, nel XIX secolo uccise più di un milione di persone e le vicende di quel periodo hanno lasciato profonde cicatrici sulla psiche nazionale.
La carestia in Irlanda, all’epoca sotto il dominio britannico, fu innescata dalla peronospora, malattia causata da un organismo simile a un fungo che intacca le coltivazioni.
Il più grande disastro che l’Irlanda abbia mai sofferto (An Gorta Mór in gaelico) costrinse più di un milione di cittadini a emigrare negli Stati Uniti, ma quelli troppo poveri per partire erano condannati a morire di fame o malattia.
Di fronte alla sofferenza, il filantropo inglese James Hack Tuke annotò che le persone nelle aree più colpite “vivevano, o piuttosto morivano, di fame, mangiando cime di rapa, anguille e alghe, una dieta che nessuno in Inghilterra considererebbe adatta alla bestia peggiore”
L’anno orribile della carestia fu il 1847 (Black ’47), ma proprio in quel momento giunse un aiuto inaspettato da molto lontano.
A migliaia di chilometri di distanza, nella capitale ottomana di Istanbul, il sultano Abdülmecid I fu reso consapevole della tragedia quando il suo dentista, che veniva dall’Irlanda, gli parlò della situazione.
Il sultano mise immediatamente a disposizione 10.000 sterline -poco più di un milione di sterline ai valori attuali- per aiutare il popolo affamato dell’Irlanda. Tuttavia, la regina Vittoria aveva già dato all’Irlanda 2.000 sterline e i suoi consiglieri si rifiutarono perciò di accettare qualsiasi offerta che eccedesse l’aiuto del monarca.
Di fronte al diktat, il sultano Abdülmecid ridusse gli aiuti a mille sterline., pur continuando a sentire il desiderio di fare di più per questa causa umanitaria.
“Era ansioso di fare di più, ed è per questo che ordinò a tre navi di portare cibo, medicine e altri beni di prima necessirtà in Irlanda”, ha ricordato l’ambasciatore turco a Dublino, Levent Murat Burhan, ala Analoud Agency. A suo parere, la storica perazione di sostegno si svolse di nascosto, poiché la marina britannica non avrebbe consentito a nessuna nave straniera di attraccare nella capitale Dublino o Cork.
“Le navi ottomane hanno dovuto viaggiare più a nord e consegnare gli aiuti nel porto di Drogheda”, sostiene Burhan. Le provviste furono consegnate al molo Drogheda sulla costa del fiume Boyne, ed è in quel luogo che la generosità dell’Impero ottomano viene ancora ricordata dalla gente del posto, 173 anni dopo.
I visitatori dei musei di Dublino possono trovare memoriali e informazioni su questo indimenticabile aiuto dei turchi ottomani. Una targa sul muro di un edificio centrale di Drogheda, svelata nel 1995 dal sindaco Alderman Godfrey e dall’ambasciatore turco in Irlanda Taner Baytok, recita, “La grande carestia irlandese del 1847 – In ricordo e riconoscimento della generosità del popolo di Turchia verso il popolo d’Irlanda.”
Covid, in Irlanda è vaccinato il 91% della popolazione ma gli ospedali sono al collasso. I medici: “vaccini non funzionano come speravamo”
Covid, in Irlanda la situazione è nuovamente critica nonostante il 91% di vaccinati. Le dichiarazioni del capo dell’ufficio medico del Paese, Tony Holohan
Il capo dell’ufficio medico del Paese, Tony Holohan (nella foto), ha detto che “i vaccini non stanno funzionando come speravamo in termini di prevenzione della trasmissione“, aggiungendo che “le vaccinazioni da sole non sono sufficienti per fermare la diffusione della malattia“, esortando la popolazione ad attenersi attentamente alle misure anti-contagio (igiene delle mani, distanziamento, uso della mascherina e isolamento in caso di sintomi) anche se si è vaccinati con doppia dose. “Anche le persone vaccinate – ha infatti aggiunto Holohan – possono contagiarsi e a loro volta diffondere il virus contagiando. Purtroppo non possiamo fare a meno delle altre restrizioni e di tutti gli accorgimenti contro il contagio soltanto perchè siamo vaccinati, e credo che nessun Paese al mondo può pensare di puntare solo sul processo di vaccinazione“. Il comitato medico del Paese non ha escluso di ripristinare anche chiusure e restrizioni qualora il numero di casi e ricoveri dovesse continuare a crescere.
Durante una visita del 2010 ad Ankara, l’allora presidente irlandese Mary McAleese espresse la gratitudine del popolo irlandese per l’aiuto, dicendo che il popolo di Drogheda aveva “incorporato nel suo stemma i vostri splendidi simboli, la mezzaluna e la stella, ed essi sono ancora lì”.
Si può infatti vedere l’emblematica mezzaluna turca e la stella in tutta la città e, soprattutto, nello stemma della squadra di calcio locale, il Drogheda United.
Oltre alla targa nel centro della città, la mezzaluna e la stella sono incise su pietre e dipinte su un muro.
Ma forse la prova più significativa dell’aiuto e della gratitudine locale per esso proviene da una lettera firmata dai dignitari locali di Drogheda.
Con orgoglio, l’ambasciatore Burhan sfoggia una copia della lettera nella sua stanza ufficiale a Dublino. Essa recita:
“In qualità di nobili, dignitari e persone irlandesi, presentiamo la nostra gratitudine al Sultano ottomano per la sua generosa assistenza durante la disastrosa carestia. È inevitabile chiedere l’assistenza di altri paesi per sbarazzarsi della minaccia di fame e morte.
La risposta generosamente offerta dal Sultano è stata un modello per i Paesi europei. Grazie al suo aiuto, molte persone sono state salvate dalla morte certa. Vi rivolgiamo la nostra gratitudine e preghiamo per il Sultano, affinché il suo Paese non debba affrontare una catastrofe come la nostra”.
Un articolo intitolato Benevolent Sultan, pubblicato da una rivista cattolica, elogiava la generosità di Abdülmecid: “Per la prima volta un sovrano [musulmano], che rappresenta moltissime popolazioni islamiche, ha manifestato spontaneamente simpatia per una nazione cristiana. Possano tali simpatie essere coltivate e conservate tra i seguaci della mezzaluna e della croce!”
Una rivista nazionalista irlandese celebrò l’approccio filantropico del sultano alla carestia irlandese, salutando Abdülmecid come “uomo buono, umano e generoso”.
“Un credente nell’Islam, ha agito nel vero spirito di un seguace di Cristo e ha dato l’esempio che molti cristiani professanti farebbero bene a imitare”.
Anche il leggendario romanziere James Joyce fece riferimento all’aiuto di Abdulmejid nell’Ulysses: “Even the Grand Turk sent us his piasters”, dice uno dei personaggi del libro, criticando la mancanza di aiuti da parte degli inglesi in quei tempi difficili.
L’ambasciatore Burhan ha visitato Drogheda diverse volte, ricevendo sempre un caloroso benvenuto dai politici locali. In effetti, il rispetto e l’amore per i turchi è ancora vivo. Burhan ricorda una corsa podistica di beneficenza con Frank Geoffrey, allora sindaco di Drogheda: “Andò a casa a prendere una bandiera turca per l’occasione”.
Burhan ha anche detto che l’ambasciata sta lavorando a piani per una partita di calcio di beneficenza tra Drogheda United e Trabzonspor, squadra turca della regione del Mar Nero. Avendo gli stessi colori sociali (marrone e blu) i due club si sono gemellati nel 2011, ennesima manifestazione dell’affetto che corre tra il popolo irlandese e quello turco.