I documenti guida per il prossimo sinodo pan-amazzonico contengono “il progetto di una nuova Chiesa”, sono permeati di “tribalismo” e presentano la “stregoneria” come un nuovo paradigma per la teologia.
Parola di Julio Loredo, autore di Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri (Cantagalli, 2014), secondo il quale “per il lettore medio, l’idea della società tribale come modello per l’Occidente e la stregoneria amazzonica come nuovo paradigma per la teologia possono sembrare sconcertanti”, tuttavia “per qualcuno che ha studiato il processo storico rivoluzionario, ha perfettamente senso.”
Signor Loredo, lei sarà il moderatore della conferenza Amazzonia, la posta in gioco, che si terrà a Roma il giorno prima dell’apertura del sinodo sull’Amazzonia. Qual è lo scopo della conferenza e quali sono le questioni che verranno discusse?
La nostra conferenza internazionale a Roma ha diversi obiettivi, che cercherò di riassumere.
Prima di tutto intende informare il pubblico sulla reale situazione della regione amazzonica. Il sinodo, come l’enciclica Laudato si’ da cui trae ispirazione, si basa in gran parte su dati pseudo-scientifici diffusi dalle lobby ambientaliste. A tal fine abbiamo invitato diversi esperti a parlare alla conferenza, a cominciare da Bertrand d’Orleans e Braganza, principe imperiale del Brasile e autore del best seller Psicosi ambientalista. Poi c’è il professor Luiz Carlos Molion, un noto meteorologo dell’Università di Alagoas, in Brasile. Un oratore importante sarà Jonas Macuxí de Souza, un leader indigeno della tribù Macuxí di Roraima. Porterà a Roma la voce dei veri indiani amazzonici.
Un secondo obiettivo della conferenza del 5 ottobre è quello di approfondire le basi dottrinali che ispirano il sinodo. Poche persone in Europa hanno familiarità con la cosiddetta Teologia indigena, che deriva da quella Teologia della liberazione formalmente condannata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, salvo poi essere riabilitata da papa Francesco. L’enciclica Laudato si’ e lo stesso sinodo amazzonico attingono fortemente a questa teologia. In effetti, sia il Documento preparatorio del sinodo sia l’Instrumentum laboris sono stati chiaramente scritti da persone che appartengono a questa corrente eretica.
Riferendosi a queste teologie, il cardinale peruviano Pedro Barreto dichiarò che il Sinodo “porta a compimento un processo iniziato nella Chiesa latinoamericana quarant’anni fa”. Avendo studiato l’argomento per quasi mezzo secolo, posso dire che le impronte della Teologia della liberazione sono ovunque, anche se in versioni più aggiornate e radicali, già tendenti al panteismo.
Il compito di analizzare le basi dottrinali del sinodo sarà diviso tra vari oratori: James Bascom, del TFP Washington Bureau, il professor Stefano Fontana, dell’Osservatorio Cardinale Van Thuan, il professor Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, e José Antonio Ureta, autore di Il cambio di paradigma di Papa Francesco.
Il terzo obiettivo della nostra conferenza è quello più importante: infondere un senso di fiducia e di speranza. Santa Madre Chiesa sta attraversando un periodo difficile, che non è iniziato con l’attuale Pontefice, ma sta certamente raggiungendo un apice con lui. Vogliamo proclamarci figli devoti della Chiesa, denunciando le insidie verso le quali si sta dirigendo se il Sinodo farà la sua strada. È un grido di amore e di preoccupazione per la Chiesa cattolica romana. La Chiesa, tuttavia, è immortale e risplenderà con una santità ancora più radiosa. La nostra conferenza si chiuderà con un messaggio di fedeltà e speranza.
Lei ha menzionato che alla conferenza interverrà il leader di una delle tribù amazzoniche in Brasile. Di cosa discuterà e quali sono le domande che lui solleverà riguardo al sinodo amazzonico?
In realtà c’erano diversi leader indigeni che volevano partecipare. Abbiamo dovuto sceglierne uno, e quindi abbiamo scelto Jonas Macuxí de Souza. Come ho detto, porterà a Roma la voce dei veri indios amazzonici, e non di quelli falsi esibiti dai media. Gli europei devono rendersi conto che molte, se non tutte, le figure che compaiono sul circuito dei media sono in realtà semplici portavoce delle lobby ambientaliste. Sono portati su aerei privati e ricevuti ai massimi livelli, attirando un’enorme copertura mediatica. Tuttavia, non rappresentano l’Amazzonia.
Prendiamo ad esempio il cacique Caiapó, Raoni Metuktire, che è stato recentemente ricevuto dai leader europei, tra cui papa Francesco e il presidente Macron. Secondo il leader indigeno Kayna Munduruku, “Raoni non rappresenta noi, popoli amazzonici”. Secondo Kayna, Raoni rappresenta semplicemente le ONG “che si sono abusivamente arrogati il diritto di parlare per noi. Chi ha dato loro questo diritto? Sappiamo chi siamo e cosa vogliamo. Non abbiamo bisogno delle ONG che, a proposito, sono milionarie mentre i popoli amazzonici soffrono”.
Per descrivere al meglio il messaggio che desideriamo trasmettere alla conferenza di Roma, userò le parole di un’altra leader indigena, Silvia Nobre Waiãpi, segretario nazionale per la salute indigena in Brasile. Lei ha detto: “Noi nativi vogliamo essere protagonisti della nostra storia. Non vogliamo continuare a dipendere da persone e organizzazioni, come le Ong, che ci dicono cosa fare. Alcune Ong fanno un buon lavoro, ma la maggior parte non sono altro che strumenti politici e ideologici. Coloro che vogliono mantenere gli indios allo stato selvaggio, vogliono semplicemente tagliarli fuori dallo sviluppo, al fine di sfruttare le loro terre. Noi vogliamo invece che gli indios si integrino, siano informati, abbiano accesso ai meccanismi decisionali, prendano il loro futuro nelle loro mani”.
Sin dalla sua origine la Chiesa ha evangelizzato civilizzando e civilizzando evangelizzando. Fede e cultura, come ha ricordato Papa Giovanni Paolo II, si intrecciano nella missione della Chiesa. Questo punto va sottolineato. I promotori del Sinodo, d’altra parte, negano categoricamente che la Chiesa debba evangelizzare, e tanto meno civilizzare. Dicono che la Chiesa deve imparare sia la vera fede che la vera civiltà (il cosiddetto “buon vivere”), dagli indios amazzonici. Non il contrario. Quindi, capovolgono due millenni di evangelizzazione.
I veri indios amazzonici vogliono essere evangelizzati. Una prova scioccante di ciò è l’enorme aumento delle sette evangeliche nella regione. Mentre la Chiesa abbandona il suo spirito missionario, questo vuoto viene colmato dai protestanti.
Che importanza ha questa conferenza per il mondo al di fuori della regione amazzonica e per la Chiesa universale? In altre parole, perché i lettori dovrebbero prendere nota di questa conferenza e considerarla importante?
Il vescovo Franz-Josef Overbeck, di Essen, che è uno degli organizzatori del sinodo, è stato molto chiaro riguardo ai suoi obiettivi: “Dopo il sinodo di ottobre niente sarà più come prima. [Il sinodo] porterà a una rottura nella Chiesa cattolica”. Un segno è il ruolo schiacciante che i vescovi progressisti tedeschi stanno assumendo nel Sinodo. Sembra ovvio che vogliano approfittarne per far avanzare la loro agenda. Per prendere in prestito la metafora di padre Ralph Wiltgen, i tedeschi stanno usando il Rio delle Amazzoni per aiutare il Reno a confluire nel Tevere. Non sorprende che alcuni promotori chiamino il sinodo “Concilio Vaticano III”.
Gli organizzatori e i promotori del sinodo sono abbastanza espliciti nel dire che vogliono “reinventare” la Chiesa, usando l’espressione coniata dal teologo della liberazione Leonardo Boff, uno dei principali collaboratori di Laudato si’. Il sinodo intende rinnovare la Chiesa ab imis fundamentis, dandole un “volto amazzonico”. In altre parole, il sinodo vuole reinterpretare l’intera Chiesa – la sua dottrina, la sua liturgia, i suoi sacramenti, la sua organizzazione – da ciò che (abusivamente) chiama una prospettiva “amazzonica”. In questo senso l’importanza del sinodo va ben oltre i confini della regione amazzonica.
Leggendo il documento preparatorio e l’Instrumentum laboris si vede chiaramente il progetto di una nuova Chiesa. Questi documenti contengono una nuova teologia che implica un nuovo approccio pastorale. E questo influenzerà l’intera Chiesa. Ad esempio, questi documenti contengono un nuovo concetto di Rivelazione, immanentista e non più trascendentale. Contengono un nuovo modello di Chiesa, comunitario piuttosto che gerarchico. Contengono una nuova teologia dei Sacramenti, non più segni che trasmettono grazia ma atti che trasmettono l’immanenza divina. Contengono un nuovo concetto di “ministero” che includerebbe persino gli stregoni amazzonici.
Alcuni ottimisti (li definirei ingenui) affermano che il sinodo vuole semplicemente aprire alcune eccezioni, come ordinare uomini sposati e accettare donne al diaconato, in una regione molto ristretta, cioè l’Amazzonia, per esigenze pastorali molto specifiche. Sappiamo benissimo come va il gioco: apri un’eccezione per un’esigenza specifica e il passo successivo è che essa diviene pratica universale in tutta la Chiesa. La comunione sulla mano e i ministri “straordinari” dell’Eucaristia sono esempi classici.
C’è qualcosa che desidera aggiungere?
Per il lettore medio, l’idea della società tribale come modello per l’Occidente e la stregoneria amazzonica come nuovo paradigma per la teologia possono sembrare sconcertanti. Tuttavia, per qualcuno che ha studiato il processo storico rivoluzionario, ha perfettamente senso.
Ne L’origine della proprietà privata, della famiglia e dello stato, Friedrich Engels afferma che il tribalismo è l’obiettivo finale del comunismo. Dopo la dittatura del proletariato e una fase di transizione del socialismo autogestionario, la società comunista finale – il “socialismo ad un livello superiore” – sarebbe come la tribù, dove non c’è proprietà privata, né famiglia né Stato e, quindi, nessuna “alienazione”. I pensatori marxisti consideravano il tribalismo il “comunismo originale”, a cui la storia tornerà, completando così il suo ciclo evolutivo.
Ecco perché il comunismo ha sempre promosso l’indigenismo come un modo per promuovere la rivoluzione, specialmente in America Latina. Il primo congresso indigenista interamericano ebbe luogo nel 1940 a Pátzcuaro, in Messico. Tutti i pensatori e leader indigeni nel ventesimo secolo appartenevano a partiti comunisti o socialisti.
Più tardi la Teologia della liberazione iniziò a presentare gli indios come una classe “oppressa” bisognosa di “liberazione”. Da qui la nascita della teologia indigena, che successivamente venne adottata da diversi episcopati latinoamericani, in particolare in Brasile.
Nel 1977 il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira scrisse il libro Tribalismo indigeno: ideale comunista-missionario per il Brasile nel XXI secolo. In esso il leader cattolico denuncia le correnti indigeniste che dominavano la Conferenza episcopale. Capitolo dopo capitolo, mostra come queste correnti avessero abbandonato l’ideale missionario. Per loro non si trattava più di evangelizzare gli indios, ma di imparare da loro, che presumibilmente avevano mantenuto una sorta di innocenza primordiale in comunione con la natura, ormai persa dalla società occidentale. Presentavano la tribù sia come ideale religioso che sociale. In questa luce, affermava Plinio Corrêa de Oliveira, i popoli amazzonici sarebbero i veri evangelizzatori del mondo. Sfogliando questo libro del 1977 si ha quasi l’impressione di leggere brani dell’Instrumentum laboris del sinodo pan-amazzonico fissato per il prossimo ottobre. Tutto era stato previsto.
Per capire la prospettiva che anima il prossimo sinodo dell’Amazzonia, in partenza il prossimo 5 ottobre a Roma, è utilissimo leggere il libro “Getsemani” del cardinale Giuseppe Siri. Il libro è stato pubblicato nel 1980 dalla casa editrice (ora scomparsa) “Fraternità della Santissima Vergine Maria” e dalla stessa ristampato nel 1987 in seconda edizione. È stato tradotto e pubblicato anche in francese, inglese, spagnolo e tedesco.
Perché è utile leggerlo per capire il sinodo? Lo spiega bene un breve capitolo del libro dal titolo “Reinterpretazione globale del cristianesimo”. La teologia modernista assume il principio secondo cui la rivelazione divina deve essere reinterpreta e fecondata da un’autointerpretazione profana che l’uomo possiede in una determinata epoca, ossia dall’atropologia in un certo contesto esistenziale. Si legga per esempio questo passaggio di Karl Rahner, citato da Siri: “La teologia è genuina e predicabile solo nella misura in cui riesce a entrare in contatto con tutta l’autointerpretazione profana che l’uomo possiede in una determinata epoca, a entrare in dialogo con essa, ad assimilarla e a lasciarsene fecondare per quanto riguarda il linguaggio, ma ancor più per quanto riguarda la cosa stessa”.
Ora – nota Siri – se la teologia autentica deve lasciarsi fecondare da questa concezione profana, quando da ciò deriverà una nuova teologia anch’essa dovrà a sua volta farsi fecondare dalla concezione profana della nuova epoca e ci sarà una continua assimilazione da parte della teologia della concezione profana dell’uomo e una continua fecondazione della teologia da parte dell’opinione profana assimilata. Commenta Siri: “Il Cristo è venuto per salvare il mondo, per fecondare il mondo, con il messaggio e la speranza della vita eterna. Non è venuto per essere fecondato dal mondo”.
Una simile teologia è fondata sulla coscienza storica, sull’ermeneutica o continua interpretazione delle precedenti interpretazioni, e sull’esistenza. Evidentemente è evolutiva, sempre nuova e una continua reinterpretazione del cristianesimo.
È la teologia, continua il cardinale, del relativismo esistenziale assoluto. “Il verbo dell’uomo ha la sua origine nel Verbo di Dio”, ma nella prospettiva esistenziale vista sopra, la parola umana si perde dentro i flussi e riflussi delle interpretazioni esistenziali, per cui viene meno la certezza del significato. Per Hans Küng non è possibile avere un credo certo, perché le proposizioni di fede sono sempre mediate dalla parola umana, la quale non corrisponde alla realtà in quanto sempre fraintendibile, non mai perfettamente traducibile, sempre in movimento e sempre ideologizzabile. Rifiutato il fondamento ontologico della parola nessuno può più sentirsi nella verità.
I tre elementi della nuova teologia – coscienza storica, ermeneutica, riferimento esistenziale – richiedono una reinterpretazione continua della fede cristiana ed anche il sinodo dell’Amazzonia è incentrato proprio su questo. Non essendo la parola di Dio consegnataci in Gesù Cristo e nella sua Chiesa a dover fecondare la realtà esistenziale e storica dell’Amazzonia, ma il contrario, non ne nascerà una nuova Amazzonia ma un nuovo cristianesimo. Karl Rahner – citato da Siri -, diceva che “Dio è precisamente dove noi siamo e solo lì lo possiamo trovare”. Dio lo si incontra solo dentro la storia, incontrando gli uomini nella storia.
Dal 5 ottobre lo si troverà nei popoli dell’Amazzonia e saranno loro a dare Dio ai Padri sinodali e non il contrario. Non un Dio definitivo però, bensì un Dio itinerante e progressivo, perché la storia continuerà anche dopo il sinodo dell’Amazzonia e i suoi documenti finali, e il Messaggio cristiano dovrà essere ulteriormente fecondato da nuove realtà umane ed esistenziali. A ciò potrebbero provvedere i successivi sinodi.
di Stefano Fontana
Edward Pentin, in questo suo articolo pubblicato sul National Catholic Register, ci illustra alcune delle figure che parteciperanno al prossimo Sinodo dell’Amazzonia.
I due prelati statunitensi sono tra i 185 membri invitati all’evento del 6-27 ottobre, a cui parteciperanno anche ogni vescovo della regione, i superiori religiosi, gli esperti, i delegati fraterni e i capi dei dipartimenti vaticani.
Il Cardinale O’Malley, membro di fiducia del Consiglio Cardinalizio del Papa (ex C9, ndr) e capo della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, ha un forte interesse per l’America Latina e parla correntemente lo spagnolo.
Mons. McElroy è stato un fautore esplicito della lotta contro il cambiamento climatico, egli ha affermato nel luglio di quest’anno che [il cambiamento climatico] dovrebbe essere una “priorità centrale” per la Chiesa statunitense. Il Sinodo, il cui tema è “Nuovi percorsi per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, dovrebbe concentrarsi sulle preoccupazioni ambientali.
Parteciperanno anche un terzo vescovo americano, il Cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, e tutti i capi dipartimento vaticani, tra cui il Cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il Cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
Nonostante l’agenda spesso radicale pro-aborto e secolarista dell’O.N.U., la nomina di Ban Ki-moon come “invitato speciale” mette in luce il forte orientamento della Santa Sede verso l’O.N.U. e i suoi obiettivi, in particolare sull’ambiente, che è cresciuto sotto questo pontificato. Parteciperà anche un attuale funzionario delle Nazioni Unite, René Castro Salazar, cittadino americano che funge da vicedirettore generale del dipartimento clima e biodiversità della Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite.
All’inizio di questo mese, Papa Francesco ha detto, nel contesto di una risoluzione non vincolante delle Nazioni Unite relativa ad una disputa territoriale mauriziana, che i fedeli dovrebbero essere obbedienti alle istituzioni internazionali come l’ONU: “Se siamo un’umanità dobbiamo obbedire”, ha detto. E gli organizzatori del Sinodo hanno detto che la Chiesa intende “accompagnare” i popoli amazzonici “in varie sfere internazionali e regionali del sistema delle Nazioni Unite affinché possano presentare le loro preoccupazioni su situazioni particolari”.
Altri partecipanti al Sinodo annunciati sabato includono Jeffrey Sachs, un economista americano non cattolico. Sebbene Sachs affermi di “amare l’insegnamento sociale della Chiesa”, è un noto sostenitore del controllo della popolazione e dell’aborto. Partecipante alle conferenze vaticane dal 1999, si ritiene che Sachs abbia contribuito all’enciclica ambientale di Papa Francesco del 2015 Laudato Si’ – un documento che fa da sfondo a questo sinodo. Parteciperà anche il professor Hans Schellnhuber, climatologo tedesco, un ateo che ha partecipato anche a Laudato Si’.
Partecipanti tedeschi
L’elenco dei partecipanti al Sinodo rivela anche l’influenza significativa che si pensa che la Chiesa tedesca eserciterà sulla riunione. Il Papa, oltre a scegliere personalmente il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha invitato a partecipare anche i responsabili di due grandi agenzie tedesche di aiuti ecclesiastici, Misereor e Adveniat.
Da un’indagine del National Catholic Register nel corso dell’estate è emerso che le due organizzazioni di aiuti hanno dato significativi contributi finanziari e di altro tipo in preparazione del Sinodo, in particolare alla Rete ecclesiale pan-amazzonica (REPAM). Hanno anche piani ambiziosi per il Sinodo, sperando che il suo esito si estenda oltre la regione amazzonica.
In una prefazione congiunta alla traduzione tedesca dell’Instrumentum Laboris del Sinodo di luglio, Mons. Permin Spiegel, direttore generale di Misereor, e Padre Miguel Heinz, presidente di Adveniat, hanno affermato che il Sinodo sarà per la Chiesa “un segnale inequivocabile di allontanamento (dalla Dottrina, ndr)” e avrà “un significato per la Chiesa universale”. Il documento di lavoro del Sinodo, hanno aggiunto, ha chiesto “un profondo cambiamento nella Chiesa”.
In un’intervista a Dom Radio del 25 luglio, Mons. Spiegel ha detto che “sarà emozionante osservare” se il Papa sarà “disposto ad accettare” le proposte sinodali per i viri probati (ordinazione di uomini sposati per portare l’Eucaristia in zone remote) e le donne diacono, e se tali cambiamenti “avranno ripercussioni per noi qui in Germania”.
Tra gli esperti speciali del Sinodo c’è anche padre Eleazar López Hernández, un teologo messicano della teologia della liberazione considerato l’”ostetrica” della teologia indiana. La Congregazione per la Dottrina della Fede lo ha spesso avvertito per i suoi scritti, e il cardinale Joseph Ratzinger ha commentato nel 1996 – avendo in mente, a quanto si riferisce, padre López – che tale teologia è regressiva e vuole “mettere da parte il cristianesimo ….come se il Vangelo fosse stato opprimente”.
Nel 2012, padre López ha scritto che tali teologie indigene “non usano un linguaggio discorsivo o filosofico, ma mitico-simbolico” e che “tutta la teologia ecclesiale dovrebbe essere così perché Dio non può essere oggettivato come gli altri oggetti della conoscenza e della scienza”.
Un altro invitato controverso, anche se non inaspettato, essendo stato una figura chiave dietro il Sinodo e la sua preparazione, è padre Paulo Suess. In un’intervista del 2014, l’81enne esperto tedesco di teologia dell’inculturazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia ha detto che “possiamo scoprire la Rivelazione di Dio tra questi popoli indigeni” – una posizione che è apparsa anche nel documento di lavoro (Instrumentum Laboris, ndr), e che è stata fortemente criticata.
Membro del gruppo Amerindia che difende e promuove la teologia della liberazione, padre Suess ha lavorato per molti anni in Brasile con il vescovo Erwin Kräutler, emerito di Xingu, Brasile, figura chiave dietro il Sinodo e partecipante.
Nonostante il Sinodo amazzonico sia a quanto pare sull’evangelizzazione, la conversione degli indigeni alla fede non sembra essere in cima all’agenda di nessuno dei due uomini di chiesa. Nel 2014, ha detto padre Suess, piuttosto che evangelizzazione, il “principio della vita è stato il più importante” per gli indigeni e per questo “hanno bisogno della terra e devono essere rafforzati nella loro identità”. Mons. Kräutler, membro del consiglio pre-sinodale e autore dell’Instrumentum Laboris del Sinodo, molto criticato, una volta si è vantato di non aver mai “battezzato un indigeno” e di non avere “l’intenzione di farlo mai”.
Tra i 33 invitati papali anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee; il cardinale eletto Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea, e il cardinale eletto Fridolin Ambongo Besungu di Kinshasa, Congo.
Il Papa ha invitato anche il cardinale Oswald Gracias di Bombay, membro del Consiglio dei Cardinali, i padri gesuiti Antonio Spadaro, consigliere pontificio ed editore de La Civilta Cattolica, e Giacomo Costa, vicepresidente della Fondazione Cardinal Carlo Maria Martini.