L’ulltimo libro di Danilo Quinto

“e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga…”

Di Danilo Quinto

La ragione di questo libro sta nel tentare di indagare – attraverso gli strumenti e le spiegazioni che la Sacra Scrittura, il Magistero e la Tradizione della Chiesa mettono a disposizione – il mistero dell’immortalità dell’anima e la sorte che una moltitudine di uomini ha avuto e avrà nell’eternità: la purificazione dei propri peccati prima di accedere alla visione beatifica di Dio e di vivere in Dio per l’eternità.

Sono due i fatti principali che riguardano la nostra vita: ciascuno di noi, fino a qualche tempo fa, non esisteva; senza sapere quando, ciascuno di noi abbandonerà il suo viaggio terreno. La morte, di cui la Chiesa modernista e il mondo scristianizzato e nemico di Dio non parlano – e se ne parlano è solo per incutere paura e angoscia, com’è accaduto in tempi recenti (e come accadrà ancora) quando il potere ha usato quella paura per compiere i suoi piani scellerati e criminali – è, senza alcun dubbio, l’evento più importante della nostra vita. Noi viviamo per compiere quel passaggio, che è ineludibile e che ci farà entrare nell’eternità.

È giusto – soprattutto quando quel passaggio si avvicina sempre più – porsi due domande. Da dove veniamo? Dove andremo?

Come tutte le cose che ci circondano, veniamo da Dio; questa è una certezza, della ragione e della fede. Il venire da Dio ha una conseguenza: nessuno di noi può dire che è autonomo o indipendente da Dio. Lo stesso nostro respiro, il nostro battito del cuore è consentito da Dio. Quel respiro e quel battito del cuore, prima o poi, si fermeranno, quando Dio lo stabilirà.

Scrive sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787): «Considera, anima mia, come questo essere che tu hai, te l’ha dato Dio creandoti a Sua immagine senza tuo merito; ti ha adottato per figlio col Santo Battesimo; ti ha amato più che da padre, e ti ha creato perché Lo amassi e servissi in questa vita, per poi goderLo in Paradiso. Sicchè, non sei nato, né devi vivere per godere, per farti ricco e potente, per mangiare, bere e dormire, come i bruti, ma solo per amare il tuo Dio e salvarti in eterno. E le cose create te le ha date il Signore in uso, perché t’aiutassero a conseguire il tuo gran fine. Oh, me infelice, che a tutt’altro ho pensato fuorchè al mio fine! Padre mio, per amor di Gesù, fate che io cominci una buona vita tutta santa e tutta conforme al Vostro divin volere. Considera come in punto di morte sentirai grandi rimorsi, se non hai atteso a servir Dio. Che pena quando alla fine dei tuoi giorni vedrai, che di tutte le ricchezze, grandezze, glorie e piaceri, non ti resta altro in quell’ora che un pugno di mosche. Stupirai come per vanità e cose da niente hai perduta la grazia di Dio e l’anima tua, senza poter rifare il mai fatto, né aver più tempo di mettersi nel buon cammino! Oh, disperazione! Oh, tormento! Vedrai allora quanto vale il tempo, ma tardi; lo vorresti comprare col sangue, ma non si potrà. Oh, giorno amaro per chi non ha amato Dio […]. Considera come deve finire questa vita. È uscita già la sentenza, devi morire. La morte è certa, ma non si sa quando ci viene. Che ci vuole a morire? Una gocciola che cade sul cuore, una vena che ti si rompa nel petto, una soffocazione di catarro, un torrente impetuoso di sangue, un animaletto velenoso che ti morda, una febbre, una puntura, una piaga, un’inondazione, un terremoto, un fulmine, un lampo basta a levarti la vita. La morte verrà ad assalirti quando meno ci pensi. Quanti la sera si sono posti a dormire e la mattina si son trovati morti. Non può forse ciò succedere anche a te? Tutti quelli che sono morti di morte improvvisa non pensavano di morire così: sono morti! E se si trovavano in peccato, ora dove stanno? E ivi staranno per tutta l’eternità. Ma sia come si voglia, è certo che deve venire un tempo nel quale per te si farà notte e non giorno, o vedasi il giorno, e non vedrai la notte. “Verrò come ladro alla sordina e di nascosto”, dice Gesù Cristo. Ti avvisa per tempo il tuo buon Signore, perché ama la tua salvezza. Corrispondi a Dio, approfitta dell’avviso, preparati a ben morire prima che venga la morte. È tempo di prepararsi per trovarsi in quel momento preparato. È certo che devi morire, deve finire la scienza di questo mondo per te, e non sai quando. Chi sa se fra un anno, fra un mese, se domani sarai vivo? Gesù mio, perdonami».

Purgatorio - Gustave Dore

Dopo la morte, che cosa succederà? Siamo in grado di saperlo?

Se ci affidassimo alla ragione, dovremmo riconoscere che possediamo un’anima immortale, che non subisce la distruzione della nostra materia corporale; che il bene sarà ricompensato e il male sarà punito; che aspiriamo ad una felicità infinita ed eterna, che non potrà mai essere soddisfatta da alcuna cosa terrena.

Sappiamo qualcosa di più? Sì, lo sappiamo. Direttamente da Dio. Suo Figlio ci ha detto che i dannati «se n’andranno nell’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25, 46) ed ha aggiunto: «Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre Suo con i Suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le opere sue» (Mt 16, 27).

Saremo, quindi, giudicati secondo le nostre opere nella vita e destinati ad un eterno supplizio o alla gioia della vita eterna, che è il fine ultimo della nostra vita: Dio, infatti, ci ha creati per la Sua gloria e per la nostra eterna felicità. Egli non aveva bisogno di noi, ci ha creati per un pensiero d’amore e per farci vivere la Sua vita eterna.

«Perché Dio è buono, noi esistiamo», dice sant’Agostino (354-430). Siamo stati creati per godere eternamente Dio, per possederLo, ma Dio, che è Spirito e Amore, può essere posseduto solo con la conoscenza e con l’amore; per questo ci ha dotato di intelligenza e volontà. La fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro peregrinare su questa terra. Allora, come dice san Paolo (4-64/67), vedremo Dio «a faccia a faccia» («In questo momento noi vediamo traverso uno specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia; ora io conosco parzialmente, allora conoscerò per intiero, come anch’io sono stato conosciuto» – 1 Cor 13,12), «così come egli è» («Carissimi, noi siamo ora figliuoli di Dio; ma non è ancora manifesto quello che noi saremo. Sappiamo che quando si manifesta, saremo simili a Lui, perché Lo vedremo come Egli è» – 1 Gv 3, 2).

La fede è già l’inizio della vita eterna. Scrive san Basilio di Cesarea (330-379): «Fin d’ora contempliamo come in uno specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che le promesse ci riservano e che, per la fede, attendiamo di godere»[1]. Ora, però, «camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2 Cor 5, 7) e conosciamo Dio «come in uno specchio, in maniera confusa […] in modo imperfetto» (1 Cor  13, 12). San Paolo aveva intravisto la felicità eterna e scriveva: «Ciò che occhio non vide né orecchio udì, né ascese al cuor dell’uomo è ciò che Dio preparò a quelli che lo amano. A noi lo rivelò Dio per mezzo dello Spirito suo, poiché lo Spirito penetra tutte le cose, anche le profondità di Dio. E infatti chi fra gli uomini conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui, così anche le cose divine nessun altri le sa fuor che lo Spirito di Dio. E noi non lo spirito del mondo abbiamo ricevuto, ma lo Spirito che vien da Dio, affinchè conosciamo le cose da Dio a noi [graziosamente] donate; le quali noi esponiamo non con le parole che t’insegna l’umana sapienza, ma con quelle insegnate dallo Spirito, adattando cose spirituali a cose spirituali. Ma l’uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio; per lui sono stoltezze e non le può intendere, perché non si possono giudicare che spiritualmente. Invece l’uomo spirituale giudica sì tutto, ed egli non è giudicato da alcuno. Giacchè chi mai ha conosciuto la mente del Signore da poterla comprendere? Noi invece la mente di Cristo la conosciamo» (1 Cor 9, 15).

Per godere in Cielo della felicità eterna, bisogna, sulla terra, guadagnarla, meritarla, benchè senza la grazia di Cristo noi non possiamo meritarla in giustizia.

«L’uomo è creato», scrive sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), «per lodare, onorare e servire Dio e, in questo modo, salvare la sua anima». Possiamo comprenderlo attraverso la nostra intelligenza e la nostra volontà, che sono dono di Dio e che possiamo usare per riconoscerLo come nostro Padre buono, dandoGli la prova del nostro amore e obbedendo ai Suoi comandamenti. Così, meriteremo la felicità eterna. «Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode», scrive sant’Agostino, «grande è la tua virtù e la tua sapienza incalcolabile (Sal 144, 3; 146, 5). E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure, l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti e ti invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. Ma chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali e il mio unico bene abbraccerai: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, sì che tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me e minacci, se non obbedisco, gravi sventure, quasi fosse una sventura lieve l’assenza stessa di amore per te? Oh, dimmi per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di’ all’anima mia: “La salvezza tua io sono!”. Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile, e di’ all’anima mia: “La salvezza tua io sono”. Rincorrendo questa voce, io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia, per non morire, per vederlo».

Scrive san Paolo: «Lavorate alla vostra salvezza, con timore e tremore» (2 Fil, 12). Il tempo è breve, afferma altrove, «la scena di questo mondo passa» (1 Cor 7, 37). E ancora: «Fratelli, adopero una similitudine umana, in considerazione della vostra debolezza: come un tempo offriste le vostre membra schiave dell’immondezza e della ribellione per essere dei ribelli, così ora offrite le vostre membra schiave della giustizia per santificarvi. Un giorno, schiavi del peccato, eravate liberi di fronte alla giustizia. Ebbene, qual frutto ne traevate? Cosa di cui ora arrossite! La morte ne è infatti il risultato finale. Ora, al contrario, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la santità e per fine la vita eterna. E naturalmente; poiché se il salario del peccato è la morte, il dono di Dio è la vita eterna nel Cristo Gesù, nostro Signore» (Rom 6, 19-23).

L’unico affare che conta nella nostra vita è la salvezza della nostra anima. Dall’altra parte c’è la dannazione eterna. Non temiamo la morte, che è solo il compimento di questo soffio di vita terrena, che ci può aprire la porta per la beatitudine eterna, se questa meriteremo. Racconta san Girolamo (347-420) sulla monaca Paola: «Quella donna piena di saggezza sentiva che l’ora della morte era giunta, e che, già fredda ogni altra parte del corpo e delle membra, restava soltanto il tepore dell’anima come ultimo palpito di vita nel suo santo e sacro petto; e nondimeno, quasi andasse incontro a dei familiari e lasciasse degli estranei, sussurrava questi versetti: “Signore, ho amato la bellezza della Tua casa e il luogo dove abita la Tua gloria” (Sal 25, 8), e: “Quanto sono amabili le tue dimore, Signore delle potenze. La mia anima brama e si strugge per gli atri del Signore” (Sal 83, 2-3), e: “Ho scelto di essere disprezzata nella casa del mio Dio, piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori” (Sal 83, II). Quando io le domandavo perché tacesse e perché non volesse rispondermi quando le chiedevo se sentisse qualche dolore, mi rispose in lingua greca che non provava alcun fastidio, ma che in tutto era serena e tranquilla. Dopo queste parole, tacque e, chiusi gli occhi, quasi già disprezzasse ogni cosa umana, fino allo spirare dell’anima ripeteva gli stessi versetti, tanto che sentivo appena ciò che diceva; e tenendo il dito sulla bocca, tracciava il segno di croce sulle labbra. Il suo spirito era ormai allo stremo e anelava alla morte; e l’anima, desiderando ardentemente uscir fuori, trasformava in lodi del Signore lo stesso rantolo con cui finisce la vita dei mortali […]. E appena udì lo Sposo chiamarla: “Alzati, vieni, amica mia, mia bella, mia colomba, perché l’inverno è passato, la pioggia se n’è andata” (Cantico dei Cantici 2, 10-11), rispose lieta: “I fiori sono comparsi nei campi, il tempo della potatura è arrivato” (Cantico dei Cantici 2, 12), e: “Credo che vedrò i beni del Signore nella terra dei viventi” (Sal 26, 13)».

«È necessario che io cada in una o nell’altra eternità», dice sant’Ambrogio. O il Cielo o l’Inferno. Scrive sant’Alfonso Maria de’ Liguori: «Considera, cristiano e dì: Ho un’anima sola; se la perdo, ho perduto ogni cosa. Ho un’anima sola, se io con danno di quest’anima mi guadagno un mondo, che mi serve? Se divento un grande uomo e perdo l’anima, che mi giova? Se accumulo ricchezze, se avanzo la casa, se faccio diventar grandi i miei figli e perdo l’anima, che mi giova? Che giovarono le grandezze, i piaceri, le vanità, a tanti che vissero nel mondo, ed ora sono polvere in una fossa e confinato giù all’Inferno? Dunque, se l’anima è mia, se quest’ultima è sola, e se la perdo una volta, l’ho perduta per sempre, devo ben pensare a salvarmi. Questo è un punto che troppo importa. Si tratta di essere o sempre felice o sempre infelice. O mio Dio, confesso, e mi confondo, che finora sono vissuto da cieco, sono andato così lontano da Voi, non ho mai pensato a salvare quest’anima mia. Salvatemi, o Padre, per amor di Gesù Cristo. Mi contento di perdere ogni cosa, purchè non perda Voi, o mio Dio. Maria, speranza mia, salvatemi Voi colla Vosta intercessione».

La dannazione eterna è dietro l’angolo, se non serbiamo attimo per attimo, nella nostra vita, il timore del giudizio di Dio. Scrive padre Francesco Rivignez – l’episodio è riportato anche da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori – che in Inghilterra, quando c’era la religione cattolica, il re Anguberto aveva una figlia di rara bellezza che era stata chiesta in sposa da diversi prìncipi. Interrogata dal padre se accettasse di sposarsi, rispose che non poteva perché aveva fatto il voto di perpetua verginità. Il padre ottenne dal papa la dispensa, ma lei rimase ferma nel suo proposito di non servirsene e di vivere ritirata in casa. Il padre l’accontentò. Cominciò a fare una vita santa: preghiere, digiuni e varie altre penitenze; riceveva i Sacramenti e andava spesso a servire gli infermi in un ospedale. In tale stato di vita si ammalò e morì. Una donna che era stata sua educatrice, trovandosi una notte in preghiera, sentì nella stanza un gran fracasso e subito dopo vide un’anima con l’aspetto di donna in mezzo a un gran fuoco e incatenata tra molti demoni. «lo sono l’infelice figlia del re Anguberto», disse l’anima. «Ma come, tu dannata con una vita così santa?», chiese la donna. «Giustamente sono dannata», rispose l’anima. «Per colpa mia. Da bambina io caddi in un peccato contro la purezza. Andai a confessarmi, ma la vergogna mi chiuse la bocca: invece di accusare umilmente il mio peccato, lo coprii in modo che il confessore non capisse nulla. Il sacrilegio si è ripetuto molte volte. Sul letto di morte io dissi al confessore, vagamente, che ero stata una grande peccatrice, ma il confessore, ignorando il vero stato della mia anima, mi impose di scacciare questo pensiero come una tentazione. Poco dopo spirai e fui condannata per tutta l’eternità alle fiamme dell’Inferno». Detto questo disparve, ma con così tanto strepito che sembrava trascinasse il mondo e lasciando in quella camera un odore ributtante che durò parecchi giorni.

Il mondo in cui viviamo è destinato a svanire, insieme a coloro che si fanno credere i suoi padroni e che agiscano – nell’ambito ecclesiastico e in quello civile – per eliminare dalla storia dell’uomo Colui che ha sconfitto la morte per sempre. Coloro che credono sono sottoposti ad una prova che costituisce il percorso inevitabile del nostro cammino su questa Terra. Armiamoci, quindi, di umiltà e teniamo la lampada accesa, colmandola sempre d’olio, nell’attesa dell’incontro – di cui non sappiano né il giorno né l’ora – con il Re del Cielo e della Terra, consapevoli che se nel soffio di questa nostra vita Dio non ci concederà la Grazia di una purificazione completa, il nostro destino sarà «… quel secondo Regno… dove l’umano spirito si purga e di salire al Ciel diventa degno».

In un libro che è un tesoro di teologia – al quale queste povere pagine s’ispirano – padre Enrico Zoffoli (1915-1996) definisce il Purgatorio una «grandiosa e attrezzatissima clinica dello spirito: esso è destinato ad accogliere e curare la stragrande maggioranza dell’attuale famiglia umana; la quale, pur essendosi riconciliata con Dio e avendo ottenuto il condono della pena eterna per i meriti della Passione espiatrice, muore carico d’infiniti debiti con la Sua giustizia, perché resa quasi irriconoscibile per la deturpazioni ereditate dai disordini commessi. Ad essa appartengono individui colpevoli di tutti i crimini che la coscienza morale può registrare. Tra loro possono figurare fedeli di tutte le classi sociali, compresi quanti in vita erano ritenuti esemplari e avevano raggiunto anche alti gradi della gerarchia ecclesiastica […]. La giustizia di Dio, pur essendo a servizio della sua misericordia decisa a salvare gli stessi penitenti dell’ultima ora, è inesorabile. In Purgatorio, non c’è ombra d’imperfezione, visione distorta della verità, giudizio o sospetto infondato, distrazione volontaria, dimenticanza colpevole, parola risentita od oziosa, critica amara, maldicenza indiretta, sorriso ironico, lamento ingiustificato e mille altre mancanze ritenute inezie, che non abbiano alterato la fisionomia di ciascuno; e ciò tenuto conto delle grazie che per tutta la vita li hanno sollecitati a realizzare una santità, rimasta soltanto un ideale per loro colpa. Moltitudine, quindi, inimmaginabilmente differenziata, diversamente ansiosa e supplicante, che muta da un momento all’altro per l’incessante fluire delle anime che s’immergono nel provvidenziale lavacro, e di altrettante che ne escono, purificate e radiose di gioia».

QUEL SECONDO REGNO

Dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno

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