Il parlamento olandese ha legalizzato l’eutanasia nel 2002. Più precisamente (e ipocritamente) ha depenalizzato “l’interruzione della vita su richiesta”, evitando la parola eutanasia e suicidio assistito. Il fatto resta proibito in teoria, ma il medico può praticarlo se giudica il paziente soggetto “a sofferenze intollerabili e senza prospettive”.
Nel 2007, i suicidi medicalmente assistiti erano ancora meno di 2000. Nel 2017, sono stati 6.600, e un numero almeno pari di richieste è stato rifiutato. Nello stesso anno, 1900 olandesi si sono tolti la vita – e il numero di coloro che sono morti sotto sedazione palliativa (il che significa, realisticamente, morire per sete mentre si è stati resi in stato di incoscienza) ha raggiunto la cifra di 32 mila. Numero “sorprendente”, secondo l’inchiesta del Guardian da cui ho tratto i dati. ”Nell’insieme, nei Paesi Bassi, oltre un quarto di tutti i decessi nel 2017 sono stati indotti”.
Un quarto dei decessi in Olanda
Il 25 per cento. La quantità di candidabili alla morte sanitariamente somministrata si è rapidamente estesa dai cancerosi terminali che sarebbero comunque morti per la loro malattia in pochi giorni, ai malati di distrofia muscolare, poi ai sessantenni cui è stato fatto firmare un contratto in cui chiedono di porre termine alla loro vita se cadono nella demenza o perdono il controllo sulle loro deiezioni, si è arrivati alla suicidio assistito di giovani malati mentali “convinti” dai genitori a porre fine alle loro sofferenze.
Qualche medico ha resistito a porre fine alla vita di una anziana depressa, per scoprire che tornato dalle vacanze, la paziente era stata eliminata da un collega. In un altro caso, un anziano aveva firmato l’impegno a farsi suicidare se perdeva la ragione, poi, via via che la demenza avanzava, ha cercato di ritirare il suo consenso – ma la moglie ha voluto che il medico eseguisse lo stesso la sequenza sedazione-iniezione letale.
Adesso un caso simile ha dato origine a quello che è forse il primo processo olandese a un dottore per mal pratica nel suicidio assistito: la vittima, una 74 enne che aveva dato il suo “consenso informato” prima, ma poi ha ripetutamente detto che non voleva morire, ed è stata ritenuta incompetente a ritirare il consenso perché priva di ragione….Nei fatti, il medico le ha messo del sonnifero di nascosto nel caffè; poiché la signora non s’è addormentata, le ha iniettato altro sonnifero; sembrava si fosse finalmente assopita, ma quando il medico ha provato a iniettare il veleno fatale, si è alzata in piedi. A quel punto “il marito e il figlio adulto di lei hanno aiutato a trattenere la paziente in modo che il medico le iniettasse l’intera dose”. Il pubblico ministero ha ritenuto che con questo aiuto, “è stata superata la misura”.
Se il numero dei suicidi assistiti è diminuito del 9% nel 2018, la prima volta dal 2006, non è perché ne sia diminuita la richiesta da parte della popolazione, ma al contrario: per la resistenza dei medici sempre più a disagio di fronte a pazienti che li considerano dei semplici tecnici del suicidio indolore, privandoli del diritto di diagnosticare se occorre questa “cura” estrema, anzi persino di chiedere perché il paziente vuol metter fine alla propria vita. “Per i medici di base, affrontare richieste di eutanasia da parte di pazienti risoluti, che sanno il fatto loro, e che si risentono della minima riluttanza da parte del dottore, è diventata uno degli aspetti più sgradevoli della professione”. Come i pazienti normali esigono ormai dal dottore che firmi le ricette di farmaci di cui hanno letto su internet, così in Olanda esiste questa forma macabra di auto-somministrazione.
“L’offerta ha creato la domanda”
Spesso i revisori medici della pratica hanno constatato che i depressi o le persone anziane e sole esagerano i sintomi di una malattia fisica per rendersi candidabili all’eutanasia. “La volontà di morte precede la patologia fisica, la vera ragione è più profonda”, nota Theo Boer, ma lui è un teologo eticista – ha partecipato a varie commisisoni di controllo – non un dottore. Però Agnese van der Heide, docente di medicina palliativa allo Erasmus Medical Center di Rotterdam ammette: “Le richieste di eutanasia che pongono gravi problemi sono quelle in cui il paziente proclama la propria autonomia, quelli che dicono al medico: non sei tu il solo che puoi giudicare se io voglio morire”. E conclude: “L’offerta ha creato la domanda” . E’ il mercato, ragazzi.
La versione letale dello slogan sessantottino “il corpo è mio e lo gestisco io”. Infatti, dice la dottoressa Agnes, le richieste di questo tipo crescono fra i 70 enni, i baby-boomers nati attorno al 1945 che sono stati all’avanguardia delle lotte per la liberazione sessuale, l’aborto, la droga. Ma una volta “sistemati” questi, non si pensi – dice – che i giovani siano meno decisi ed assertivi . “Per i giovani, la libertà e autonomia è la base del loro modo di essere”.
Per venire incontro a questa autonomia, due anni fa il ministro della Sanità e quellolo della Giustizia hanno proposto insieme la messa a disposizione, a spese del servizio sanitario, di una “pillola della vita completa” per cui ogni settantenne abbia il diritto di ricevere il veleno letale, tagliando fuori completamente i medici dalla decisione. La proposta è per il momento ferma, ma la Società Olandese per la Eutanasia Volontaria (NVVE) si dà da fare perché essa venga approvata, come si è mobilitata perché il beneficio del suicidio assistito venga esteso ai malati mentali giovani e sani (ho detto che gli psichiatri si oppongono). La NVVE ha 177 mila membri, più di qualunque partito politico dei Paesi Bassi. “Nessun medico ha il decidere al posto mio quando posso morire”, ha detto il presidente, Steven Pleiter, che è anche il direttore della Levenseindekliniek, la clinica della buona morte dove praticano l’eutanasia assistita. Il costo, 3 mila euro, è pagato dalle assicurazioni. L’osservazione che così, in fondo, le assicurazioni risparmiano un sacco di soldi accorciando la vita costosissima di un malato grave, viene accolta con disgusto, dice il giornalista del Guardian. “Credo profondamente che non c’è nessun bisogno di soffrire”, gli dice Pleitner. Il giornalista ha seguito uno dei convegni del NVV e nota: il pubblico è di 60-70 anni che hanno condotto le battaglie permissive per cui l’Olanda è famosa, dal sesso alla droga liberta. Sono di alta classe sociale. Nessun musulmano”.
La banalizzazione del suicidio come cura medica, è infatti l’estrema di tutte “conquiste” pretese da questa generazione del baby boom (che è la mia) che si è liberata di Dio e di ogni pensiero dell’aldilà. Se permanesse anche il minimo dubbio, la più esile ipotesi, sul giudizio e la vita eterna, questa richiesta di farsi uccidere non sarebbe così stentorea. E’ la prima volta che è apparsa una umanità che ha scartato completamente – e con “successo” – dalla propria vita Dio. E adesso questa generazione che può voler tutto, vuole morire, estinguersi senza lasciare discendenza. Si obietterà che voglio solo non soffrire; ma è dire la stessa cosa con altre parole. La vita “è” sofferenza, e tutta la prova di una vita umanamente compiuta sta nell’accettare l’inevitabile sofferenza come espiazione come intercessione; renderla fertile, renderla significativa. Ora la sofferenza non ha significato – perché nel fondo, ha perso senso la vita, anche le sue gioie e felicità. Mancando il “telos”, la finalità, l’esistenza si riduce ad arraffare qualche piacere, e dopo poco Eros, consegnarsi a Thanatos, credendola il Grande Sonno. Tremendo equivoco, fallimento estremo: erano stati avvertiti del gelo dove non è che pianto e stridor di denti. Hanno – abbiamo – scelto le tenebre esteriori, non potranno lamentarsi.