Ci sono i sondaggi ufficiali, che danno la vittoria a Macron. Poi ci sono sondaggi che circolano “sous le manteau”, sotto il mantello, che danno a Marine Le Pen il 34% al primo turno. Ne ha parlato Le Figaro, il giornalista Ivan Riufol. Con quella percentuale, non è più tanto sicuro che un avversario “moderato” la batta al ballottaggio.
“La linea Maginot delle oligarchie politicamente corrette sta cedendo”, ridacchia il giornalista, elencando una certa quantità di intellettuali e celebrità progressisti che hanno giurato, se vince la Le Pen, di emigrare, prendere il primo aereo per la Svizzera: giuramenti e minacce che rischiano di eccitare altri cittadini a votare per la candidata del Front National, sperando che i sinistri se ne vadano davvero.
Gli sviluppo sono seguiti col massimo interesse da Trump e dal suo circolo, che hanno bisogno della vittoria di un sovranista in Europa in funzione anti-Merkel, e trovare una sponda nel progetto neo-protezionista e anti-euro.
Sì, Trump è davvero stato intercettato.
Trump ha denunciato che Obama aveva fatto mettere sotto ascolto le comunicazioni telefoniche alla Trump Tower durante la campagna elettorale, crimine gravissimo. Sono seguite giornate di scherno dei giornali, di aggressione degli avversari politici, di furibonde smentite di Cia e servizi inglesi (Obama avrebbe chiesto a loro di fargli quel favore), offesi nella loro virtù ed alta moralità.
Dopo una settimana e più che media e politici deridono, anzi aggrediscono Trump per la sua uscita; dopo due giorni da che il capo dell’FBI Comey ha stentoreamente negato il minimo fondamento all’accusa, durante un’audizione parlamentare – ecco che Devin Nunes, il presidente della Commissione Intelligencer della Camera bassa, ammette alla stampa: sì, la “comunità d’intelligence” ha raccolto “incidentalmente” telefonate e messaggi. Sì,”membri del transition team di Donal Trump, e possibilmente Trump stesso, sono stati sotto sorveglianza durante l’amministrazione Obama, dopo l’elezione di novembre”. Sono stati “monitorati” ma durante una “raccolta incidentale” di dati. Però è stato tutto “legale”.
Trump ha detto che “si sente in qualche modo vendicato”. Tutto qui. La senatrice Dianne Feinsten (j), democratica, California, parlando con sostenitori che le chiedevano come fare a sbatter fuori The Donald, ha risposto: “Abbiamo un sacco di tecnici che studiano la cosa…penso che se ne andrà da sé”. I democratici, metà dei repubblicani, la Cia, Comey quindi l’FBI, scavano sulla “narrativa” dei rapporti di Trump con Putin, e qualcosa devono trovare. Hanno accusato Paul Manafort, il lobbista che ha diretto l’inizio della campagna elettorale di Donald, di avere un contratto per far avanzare gli interessi dell’oligarca russo Oleg Deripaska: laddove accettare contratti di lobbying con stranieri è ciò che fanno, poniamo, i fratelli Podesta del Pizzagate, che avevano come clienti i monarchi sauditi.
Il direttore dell’Fbi Comey e quello della NSA, Admiral Michael Rogers, stanno scavando la fossa a Trump, secondo Craig Roberts; sono due nominati da Obama, ma Trump non può licenziarli, perché i democratici e i media salterebbero al collo, a dire che li ha licenziati perché indagavano sui suoi affari con Putin.
Sì, Trump ha stretto la mano a Merkel
La falsità dei media risalta ancora una volta da un episodio apparentemente secondario: durante la visita della Cancelliera alla Casa Bianca, hanno scritto e ripetuto che Trump, “gelido”, ha “rifiutato di dare la mano ad Angela Merkel”.
In realtà, ecco come Trump ha accolto la Merkel sulla porta della Casa Bianca
E come le ha stretto la mano dopo la conferenza stampa:
Un vero gentiluomo. Si è solo rifiutato alla richiesta dei reporter, nel salotto dello studio ovale, di fingere una terza stretta di mano. Perché i media fanno così? Hanno parlato di una “disagevole” stretta di mano di Trump col premier giapponese Shinzo Abe, di una “imbarazzata stretta di mano” con il canadese Trudeau – per descriverlo come un rozzo maleducato, inadatto alla funzione. Sono tutti preparativi per la sua demolizione.
Intendiamoci, sulla vittoria della Le Pen al secondo turno non si deve contare troppo. Hollande ha dichiarato che “suo ultimo dovere”, prima di uscire dall’Eliseo, è non farci entrare Marine. Ed ha molte risorse. Magari, strategia della tensione… Già dobbbiamo accontentarci di apprendere che oltre ai sondaggi diffusi dai media – falsi – ci sono quelli veri: che circolano “sous le manteau”, come un tempo le foto porno che ci si passava tra studentelli. E i giornalisti se li passano ridacchiando.
L’attentato di Londra e quello di Orly.
L’attentato del ponte di Westminster ha qualche punto di contatto con l’attentato conclusosi all’aeroporto di Orly qualche giorno prima, sabato 18. In quel caso Ziyed Ben Belgacem, l’attentatore, era un delinquente comune, noto per rapine da 1500 euro in uffici postali mal sorvegliati. Quella mattina, alle 6.55, mentre guida a fari spenti una Clio, viene fermato Garges-lès-Gonesse (Val-d’Oise) dove abita da una pattuglia. Gli chiedono i documenti, e lui li mostra; poi però estrae ciò che viene chiamato “un revolver a pallini” e tira, ferendo leggermente un agente. Scappa. Ma telefona al padre: “Saranno state le 7 o le otto, mi dice: Papà, ho fatto una stronzata con un poliziotto; non riuscivo a capire: quale stronzata? Mi dice: ciao papà, ti chiedo perdono. Io: non ti perdono, se hai fatto qualcosa a un poliziotto”.
Zyed arriva a Orly e tenta di prendere un mitragliatore ad una soldatessa di pattuglia. Dice – o così pare – che vuole morire per Allah. Prende la soldatessa per il collo, se ne fa scudo, si rifugia in un negozio dell’aeroporto. Viene finito da tre proiettili. L’autopsia dirà che era strafatto di alcol (0,93 grammi per litro di sangue), di cocaina e di cannabis insieme. Suo padre: “Mai ha fatto la preghiera. Beve. Ci si riduce così, con la droga”.
Gli inquirenti dicono che si era “radicalizzato”. Improvvisamente, la notte prima, mentre si scolava due bottiglie di whisky che gli hanno trovato in casa. Cosa volesse veramente fare, non si capisce. Morire per Allah?
La consueta esercitazione.
Certo è che la notte del 6-7 marzo, undici giorni prima, ad Orly aveva avuto luogo una esercitazione che simulava un attentato terroristico: “Falsi terroristi sono penetrati nell’aeroporto facendo molte vittime, mentre un altro gruppo prendeva ostaggi passeggeri di un aereo e di un bus, e una sparatoria si scatenava nel terminale Ovest”. Questo lo scenario. Fu una cosa grossa, con l’intervento di diversi reparti di teste di cuoio della polizia e dell’esercito, pompieri, la cellula medico-psicologica d’emergenza, l’aviazione civile, i doganieri, procuratori – fin troppo grossa.
La videosorveglianza ad Orly è garantita da una ditta militare israeliana, che ha fornito ai media la foto del corpo di Belgacem e il video dove lo si vede aggredire la soldatessa. Un bello scoop, ben pagato di sicuro.
L’attentato di Londra, molto più letale, ha però certe caratteristiche analoghe: sembra essere l’effetto di un’improvvisazione, o di una idea improvvisa, un gesto d’impulso, come quello di Belgacem sotto alcol e coca. Anche l’attentatore di Londra era armato male, in modo inadeguato – un coltello, anche se riesce ad uccidere un agente con quello. Anche lui come Belgacem (39 anni) viene descritto come “un uomo di mezza età, asiatico”.
http://www.europe-israel.org/2017/03/la-video-de-lattaque-dans-le-hall-de-laeroport-dorly/
Presente alla strage è, casualmente, Radislav Sikorski, un politico polacco del giro di Donald Tusk, ex ministro della Difesa, membro del Center For European Studies di Harvard. Ha mandato un tweet con un video dei corpi sul ponte.